Capitolo 31

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Giorno 14

La mattina seguente, mi svegliai nel momento in cui sentii il rumore del carrello di metallo sulle piastrelle del corridoio, segno che era già ora della colazione. Non capivo perché si ostinavano a voler portare la colazione alle sei e trenta del mattino; era troppo presto!

Aprii gli occhi e mi ritrovai la faccia di Louis a pochi centimetri dalla mia; le labbra dischiuse da cui usciva uno sbuffo di fiato ad intervalli lenti e regolari. La sua mano era aperta e appoggiata delicatamente sul mio fianco; i nostri piedi erano incastrati tra loro, sotto le coperte.

Sorrisi spontaneamente e, senza pensarci, alzai la mano a spostargli il ciuffo di capelli che gli ricadeva sugli occhi. Louis inspirò profondamente in automatico e strinse maggiormente gli occhi prima di corrugare la fronte e sbattere lentamente le palpebre, cercando di socchiuderle.

«Buongiorno.» gli sorrisi quando vidi uno spiraglio di azzurro tra le ciglia.

Louis accennò un sorriso monco e richiuse gli occhi, spostando la mano dal mio fianco alla schiena per tirarmi delicatamente verso di sé e avvolgermi con entrambe le braccia. Ridacchiai divertita e appoggiai la faccia nell'incavo del suo collo quando Louis appoggiò il mento sopra la mia testa.

«Hai dormito bene?» gli chiesi dopo qualche secondo.

«A parte il tuo culone che mi spingeva continuamente giù dal letto e il tuo russare costante per tutta la notte?» disse con la voce rauca e graffiata. «Una meraviglia!»

«Io non russo!» esclamai, slegandomi dalla sua presa per guardarlo in faccia, offesa.

«Russi, Ariel.» mi confermò lui, guardandomi con gli occhi gonfi. «Mi dispiace che tu non voglia accettarlo, ma è così.»

Gli schiaffeggiai la spalla e lui rise, afferrandomi il polso per tirarmi di nuovo al suo petto e stringermi tra le braccia, impedendomi di muovermi.

«È una cosa tenera, comunque.» aggiunse dopo un po'.

«Sì, certo.» commentai, roteando gli occhi al cielo.

«No, davvero.» continuò. «Mi fa sentire che ci sei.»

Alzai leggermente il viso verso il suo e Louis lo abbassò verso di me. Ci guardammo per qualche secondo e poi sorridemmo entrambi nello stesso momento; la signora della colazione che bussò alla porta interruppe quell'attimo.


Giorno 40

Era passato più di un mese da quando mi ero risvegliata; un mese che non lasciavo quest'ospedale. Un mese che facevo sempre le stesse cose, mangiavo le stesse cose, vedevo le stesse facce.

E ancora, nessun accenno di miglioramento; né fisico né per quanto riguarda il mio cervello.

Inoltre, si era aggiunta un'altra questione da sistemare; non avevo il ciclo mestruale.

Indovinate cosa mi avevano detto?

Era perfettamente normale.

Quella mattina stessa mi avevano portata a fare una visita ginecologica, e la dottoressa mi aveva detto che le mie ovaie erano solamente ancora in letargo, ma non sembrava esserci nulla di grave. Non ovulavo, e questo era uno dei motivi per cui non riuscivo ad avere il ciclo, ma la ginecologa mi aveva subito tranquillizzata dicendomi che era un'altra delle conseguenze del coma e del fatto che il mio organismo dovesse riabituarsi a riprendere le normali funzioni.

Sicuramente, influiva anche il fatto che fossi sottopeso; inoltre, il trauma che comunque ancora riportavo - a livello soprattutto emotivo e psicologico - era un altro dei fattori che rendevano difficile l'arrivo delle mestruazioni.

Haze||Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora