Capitolo 26

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Ariel's POV.

Giorno 1

Mi chiamo Ariel Reed e ho ventidue anni. Vivo a Brisbane, in Australia, e sono stata in coma per nove mesi in seguito a un incidente.

Erano queste le parole che continuavo a ripetere in continuazione nella mia testa, per paura di dimenticarle. Per paura di dimenticare di nuovo tutto quanto.

Mi sentivo così vuota, come se esistessi solo fisicamente ma non del tutto.

Avevo dimenticato il mio nome, quanti anni avessi, chi fossi, cosa facessi nella vita. Tutto, non c'era più nulla, solo il vuoto. Solamente una grande voragine.

Ma mia madre, lei non l'avevo dimenticata; sapevo che era mia madre non appena l'avevo vista, una volta aperti gli occhi. Non sapevo il perché; forse perché era mia madre... in fondo ero stata dentro di lei per nove mesi, eravamo state direttamente collegate per nove lunghissimi mesi, e qualcosa dovrà pur significare.

Non ricordavo il suo nome, però, ricordavo solamente che fosse mia madre. Quando me l'aveva detto, avevo annuito. Sì, era vero. Mia madre si chiamava Megan.

Come avevo potuto dimenticarlo?

Non appena me l'aveva detto, solamente alla pronuncia della prima lettera, ricordai perfettamente il suo nome.

I medici dicevano che era normale; ero rimasta in coma per molto tempo, non potevo pretendere di svegliarmi ed essere come se nulla fosse successo. Ritenevano già un ottimo risultato il fatto di non aver avuto problemi più gravi, come il rimanere paralizzata oppure aver danneggiato la parte di cervello che gestiva il linguaggio.

Quello sarebbe stato più grave.

Sostenevano che la memoria sarebbe ritornata pian piano, col tempo, che fosse solo una questione temporanea.

Avevo parlato al telefono con mio padre; la sua voce me la ricordavo, il suo nome mi sfuggiva. Mia madre mi diede un indizio; non appena mi disse che cominciava con la lettera P, mi trovai a dire "Philip" in automatico, in neanche mezzo secondo.

Sorrisi insieme a lei; allora non mi ero dimenticata poi proprio tutto. Quando mi chiese se mi ricordavo il suo aspetto fisico, il mio sorriso scomparve.

No, non me lo ricordavo. Non benissimo, perlomeno.

Avevo un'immagine di lui in testa, ma non sapevo se me lo stessi inventando oppure avesse davvero quelle caratteristiche che vedevo. Dio, perché era così difficile riordinare tutto?!

Mentre riflettevo, arrabbiata con me stessa, gli occhi mi finirono sulla figura appoggiata al muro di fronte a me.

Aveva una gamba piegata contro la parete, l'altra protesa in avanti, le mani infilate nelle tasche dei jeans blu chiaro, mentre sopra indossava una maglietta bianca. I suoi capelli erano di un castano chiaro, pettinati all'indietro in un ciuffo disordinato, mentre i suoi occhi erano di un azzurro intenso, ma allo stesso tempo, quando mi fissava, mi davano la sensazione di essere di ghiaccio, tanto mi paralizzavano. Come il gelo.

Le labbra fini, di un rosa chiaro, erano premute tra loro in una linea dura, ed incorniciate da una barbetta fitta e ben definita che gli ricopriva anche le guance, arrivando fino alla linea ben pronunciata della sua mandibola.

Mi fissava in silenzio da quando mi ero svegliata. O meglio, sarebbe incorretto dire che era stato in silenzio per tutto il tempo; mi aveva parlato, non appena lo avevo fatto io, avvicinandosi al bordo del letto. Mi aveva perfino sorriso. Mi aveva detto qualcosa che mi aveva fatto capire che era contento che mi fossi svegliata, ma io proprio non riuscivo a ricordare chi fosse, o che ruolo avesse nella mia vita.

Haze||Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora