Giorno 7.
Era il mio compleanno.
Me l'ero ricordato da sola? No, ovviamente.
Solo quando mia madre, il giorno prima, mi aveva detto che avrei compiuto ventitré anni il giorno seguente, me ne ricordai.
Io continuavo a sostenere che non fosse solamente la parte del cervello che conservasse i ricordi recenti ad essere danneggiata, ma il medico diceva che, essendo stata in stand-by per molti mesi, era normale che mi servisse un aiuto anche per quando riguarda il mio passato più remoto.
Era normale.
Tutto quello che sapevano darmi in risposta ad ogni problema che sollevavo, erano queste due parole: era tutto normale, secondo loro. Per me invece, non c'era niente di normale in tutta quella situazione.
Da quando ero salita su quella maledetta bilancia, non avevo fatto altro che guardarmi le gambe tutto il giorno, tutti i giorni. Mi alzavo la camicia da notte, piegavo le ginocchia e mi toccavo le cosce; quando Louis mi aveva sorpresa a farlo era andato su tutte le furie, così adesso stavo attenta e mi accertavo che non fosse nei paraggi prima di farlo.
Mia madre mi aiutava a fare la doccia; di solito era una cosa di cui si occupavano le infermiere, ma io avevo richiesto espressamente mia madre e loro alla fine avevano acconsentito. Così, ogni volta mi portava con la carrozzina in bagno e mi faceva sedere nel luogo apposito, sotto il getto della doccia. Ma quando era il momento di svestirmi, l'enorme specchio al muro - lungo tutto la parete, esattamente davanti alla doccia - rivelava tutti i miei difetti.
Louis lo tolse personalmente; arrivò un giorno con un martello e un cacciavite, senza nemmeno salutare, e si fiondò in bagno.
Gli urlai più volte cosa diavolo stesse facendo, sentendo dei rumori sordi, ma lui non mi rispose mai; lo capii solamente quando uscì con l'enorme specchio tra le braccia. Uscì in corridoio e lo percorse tutto mentre le infermiere gli gridavano dietro che non poteva fare nulla di simile, ma lui ovviamente se ne infischiò. Attesi dei lunghissimi minuti senza sapere nulla, né dove fosse né cosa stesse facendo, fino a quando non rientrò in stanza con uno specchio quadrato, in cui sarei riuscita a vedermi solamente la faccia e nient'altro.
Odiavo vedermi così, quindi avevo cominciato a mangiare più cibo di quanto il mio stomaco potesse contenere e finii per vomitare ogni giorno, dopo pranzo. Louis ordinò di non darmi porzioni di cibo più grandi di quelle che potessi mangiare, e risolse anche questo problema.
Fece piazza pulita di tutti i biscotti che la gente mi portava quando veniva a trovarmi, che conservavo nel comodino, e rimaneva ad ogni pasto per accertarsi che non combinassi nulla che avrebbe potuto farmi del male. Io non volevo farmi del male, volevo solamente mettere su peso e poter tornare ad essere in forma e a camminare; magari, se avessi mangiato di più, i miei muscoli sarebbero stati più forti e mi sarei rimessa prima.
Mi sentivo a disagio sotto gli occhi di Louis, ultimamente, perché era l'unico che aveva capito cosa stessi facendo e per quale motivo. Non ero così stupida da mettermi contro di lui, comunque. Non gli avevo mai urlato dietro per avermi tolto lo specchio, o per aver parlato al mio posto per quanto riguarda il cibo e nemmeno quando aveva buttato tutti i biscotti nel cestino sotto i miei occhi.
Ero rimasta semplicemente lì, immobile a guardarlo, e nessuno dei due aveva parlato dell'argomento. Anzi, a dire il vero, da quando avevo iniziato a fare quelle cose non parlavamo più di niente.
Non era come i primi giorni, in cui mi faceva ridere e divertire o rimanevamo su la notte a chiacchierare fino all'alba. Louis non aveva più piacere a farlo, evidentemente, e sapevo che la motivazione fosse che era arrabbiato con me.
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Haze||Louis Tomlinson
FanfictionMi chiamo Ariel Reed e ho ventidue anni. Vivo a Brisbane, in Australia, e sono stata in coma per nove mesi in seguito a un incidente. Mi sono ripresa abbastanza bene, il mio cervello non ha nessun difetto; riesco a fare tutte le cose che mi servono...