Capitolo 32

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Ero immobile; pietrificata.

Le labbra di Louis avvolgevano le mie, muovendosi lentamente contro di esse ma senza forzarle in alcun modo. Il mio labbro superiore era racchiuso completamente tra le sue, e i miei occhi erano spalancati a differenza di quelli di Louis, che erano invece serrati stretti.

Non c'era praticamente alcun movimento; aveva fatto combaciare le nostre labbra come due pezzi di un puzzle e poi era semplicemente rimasto lì, assaporando la sensazione.

Ad un tratto le sue ciglia vibrarono e vidi una lacrima uscire dal suo occhio sinistro e scorrere lenta lungo la guancia fino a posarsi sulla mia.

A quel punto si allontanò lentamente, portandosi con sé il mio labbro superiore che schioccò non appena lo lasciò andare, e poi, altrettanto lentamente, cominciò a schiudere gli occhi. Io continuavo a guardarlo con il cuore in gola e l'espressione che senza dubbio doveva sembrargli spaventata; ma "spaventata" non era l'aggettivo giusto per descrivere la mia situazione in quel momento. O meglio, ero spaventata da quello che stavo sentendo dentro il mio corpo.

Era la prima vera forte emozione che avevo vissuto da quando mi ero risvegliata; neanche alzarmi in piedi mi aveva portato tutte quelle sensazioni.

«Ariel.» sentii la voce di Louis leggera e ovattata, nonostante avessi gli occhi spalancati e fissi nei suoi.

Schiusi la bocca per rispondergli ma non riuscii a trovare nulla da dirgli; ero stata colta così di sorpresa, e tutto quel... muoversi dentro il mio stomaco era così inaspettato che...

«Ariel.» Louis mi chiamò di nuovo ed io mi ricordai di sbattere le palpebre.

Non appena lo feci, lui tirò un sospiro di sollievo e chiuse gli occhi per un secondo.

«Mi hai fatto spaventare.» ammise infine, preoccupato.

«S-scusa.» balbettai.

Louis si afferrò il labbro inferiore coi denti mentre continuava a guardarmi.

«Dì qualcosa, ti prego.» mi implorò dopo qualche secondo di silenzio.

Deglutii faticosamente, mi inumidii le labbra con la lingua e poi cercai di rivolgergli un sorriso che sicuramente risultò falso, anche se avrebbe dovuto essere tutto il contrario.

«Scusami.» disse infatti lui, mortificato, portandosi una mano a sfregarsi gli occhi.

Avevo passato con lui abbastanza tempo per capire che si stesse sentendo uno stupido per essersi spinto così in là senza pensarci due volte, quando invece non avrebbe potuto fare una cosa migliore di quella.

«Penso che potremmo rifarlo ancora, qualche volta.» dissi ad un tratto, cogliendolo di sorpresa.

Louis tolse la mano dagli occhi e mi guardò con le sopracciglia talmente sollevate che tra un po' gli sarebbero finite nei capelli; poi, la sua espressione si addolcì e i suoi denti fecero capolino tra le labbra quando sbuffò una risata. Ci guardammo e ci sorridemmo semplicemente per un tempo interminabile; poi, a malincuore, gli ricordai che saremmo dovuti tornare in ospedale.

Non appena arrivammo, riuscirono tutti a rovinarmi l'unica giornata bella che avevo passato nell'ultimo mese. I miei genitori erano fermi davanti alla porta della mia stanza, con la faccia scura e le braccia conserte. Louis mi spinse silenziosamente lungo il corridoio e, non appena ci fermammo davanti a loro, mio padre cominciò ad urlargli contro.

«Come diavolo ti sei permesso di portarla fuori!»

«Phil.» mi madre lo riprese per il tono alto e brusco, ma anche lei mantenne il suo sguardo severo.

Haze||Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora