Dato che aveva smesso di piovere, Ariel tolse il tetto alla jeep e passò tutto il tragitto, dalla biblioteca a casa sua, seduta in cima al sedile con le braccia in aria.
La sua felicità era decisamente contagiosa.
Alzai di più il volume della musica e risi quando la vidi improvvisare un balletto, muovendo sensualmente i fianchi ma senza staccarli dal sedile.
Non appena arrivammo a casa, balzò giù ed io la seguii; aprii il bagagliaio e le riconsegnai la tavola.
Ariel la prese, guardandola attentamente con un sorriso leggero sulle labbra.
«È offesa.» le annunciai. «L'hai maltrattata, l'hai lasciata mezza giornata in mezzo al fango, sotto la pioggia!»
«Mi dispiace, amore.» disse subito lei con una vocina, chiudendo gli occhi per lasciare numerosi baci su quest'ultima. «Non lo farò più, te lo prometto.»
«Io mi sono preso cura di lei.» dissi fiero, toccandomi il petto.
Ariel rise di gusto, poi lanciò di nuovo un rapido sguardo alla tavola.
«Ti ringrazia.» disse infine. «Ma ora basta, che sono gelosa.»
Mi sorrise maliziosamente e mi superò per dirigersi verso la porta di casa.
«Sei gelosa di me?» le chiesi senza neanche pensarci, alzando un sopracciglio.
«Ma no, scemo!» rispose lei prontamente, ridendo. «Della mia tavola!»
Risi insieme a lei e, scuotendo la testa, la raggiunsi.
«Sei stronza.» le sussurrai mentre lei apriva la porta di casa.
Ariel mi rivolse una smorfia di soddisfazione, ma poi rise e attraversò la cucina per posare la tavola al suo posto.
«Come va in albergo?» mi chiese quando tornò. «Devo avere qualcuno sulla coscienza per averti cacciato da questo luogo sicuro?»
«Sono ancora vivo.» risposi, allargando le braccia. «In realtà ora va molto meglio. I primi due giorni dopo che tu le hai tradite, alcune fan continuavano ad aspettare davanti all'entrata, ma erano davvero poche. Così alla fine ho deciso di scendere, ho passato un po' di tempo con loro e ho gli chiesto il favore di lasciarmi tranquillo per un po'. Non hanno opposto resistenza, ho fatto qualche foto, firmato qualche autografo e poi se ne sono andate. Non sono tutte pazze come quella che hai visto in albergo l'altro giorno.»
«Sono contenta.» disse Ariel sincera, sorridendo.
«Mi piace il rapporto che ho con le fan.» le confermai, annuendo. «Alcune a volte esagerano e mi dispiace, ma la maggior parte di loro sono molto rispettose. Si tende sempre a fare di tutta l'erba un fascio, e io stesso, a volte, quando capitano cose che mi danno un dispiacere, lo faccio. Però ci sono giorni, come ieri, in cui mi rendo conto che sbaglio.»
Ariel non disse nulla, si limitò a stringersi le braccia al petto e sorridermi.
«È tardi.» osservai, lanciando un rapido sguardo all'orologio appeso alla parete. «Devo andare.»
«D'accordo.» sussurrò lei, staccandosi dal ripiano per accompagnarmi alla porta.
«Sono davvero contento che le cose si siano sistemate.» le dissi quando uscii, rimanendo sulla soglia. «Grazie per avermi ascoltato.»
Ariel annuì, continuando a sorridermi, infine fece un passo verso di me e mi abbracciò stretto.
«Ti voglio bene.» mi sussurrò all'orecchio, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia e tornare a stringermi.
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Haze||Louis Tomlinson
FanfictionMi chiamo Ariel Reed e ho ventidue anni. Vivo a Brisbane, in Australia, e sono stata in coma per nove mesi in seguito a un incidente. Mi sono ripresa abbastanza bene, il mio cervello non ha nessun difetto; riesco a fare tutte le cose che mi servono...