-- Capitolo 4 --

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- ALESSANDRO. -

Ho già avvisato i miei amici di non fare nulla di stupido, di comportarsi bene e di non provarci troppo spudoratamente con Giorgia e le sue amiche. Io ho la precedenza e poi non voglio nessuna scenata nei prossimo giorni, o settimane, o mesi. Voglio rimanere in quell'appartamento!

Premo il bottone del citofono per l'ennesima volta, ma non risponde nessuno. Se Jack mi ha dato appuntamento, ma si è dimenticato ed è rimasto da qualche ragazza, è la volta buona che lo uccido. Fa troppo freddo qui a Milano e mi sono alzato presto solo perché aveva bisogno di me. Mi ha mandato un messaggio ieri sera, ma poi non mi ha più scritto nulla.

Prendo il cellulare e lo chiamo, oltre che attaccarmi al citofono. Non mi interessa se disturbo i vicini, se ne faranno una ragione. Come se poi fosse la prima volta che mi attacco al citofono.

<<Sandro!>> esclama qualcuno alle mie spalle.

Mi volto trovando Jack sudato nella sua tenuta sportiva. Pantaloncini e una maglietta termica a maniche lunghe di un blu elettrico. I capelli sono umidi di sudore e si toglie le cuffiette prendendo il cellullare e spegnendo la musica.
È andato a correre al mattino presto, perciò deve aver incontrato, o sentito, i suoi genitori. In ogni caso nulla di buono.

<<Ti sei dimenticato che mi hai detto tu di venire?>>

Guarda l'ora sullo schermo. <<Scusa, pensavo di arrivare prima.>>

Giacomo che si scusa, che va a correre e che si dimentica di un appuntamento non ha nulla di positivo. Avrei fatto bene a fermarmi in un bar a prendere caffè e cornetti.
Sono ancora troppo addormentato, ma a quanto pare ha più bisogno del previsto.

<<Allora, cosa ti hanno detto i tuoi?>>

Alza gli occhi al cielo aprendo il cancello. <<Solite cose.>>

<<Se fossero le solite cose, non mi avresti scritto.>> dico seguendolo per le scale.

Saliamo in silenzio e una volta entrati nell'appartamento finalmente posso stare al caldo. Mi tolgo il cappotto appoggiandolo sulla poltrona più vicina e poi mi siedo sul bracciolo del divano nero mentre lui rimane ancora in silenzio e si aggira per il salotto irrequieto.

Lo seguo con lo sguardo mentre cammina dalla porta d'ingresso, all'isola bianca della cucina, per poi tornare indietro. Decisamente gli hanno detto qualcosa che non gli va affatto bene, probabilmente avrà parlato con il padre. Lui lo mette ancora più in agitazione.

Si ferma di colpo voltandosi verso di me. <<Vogliono che faccia uno stage questa estate.>>

<<Non va bene?>> chiedo incerto.

<<Nell'azienda di famiglia.>> sottolinea sbuffando.

<<Potrebbe non essere così male.>>

Mi fulmina con lo sguardo. <<Sai cosa vuol dire? Che non potrò suonare perché dovrò stare a casa loro e i due pianoforte sono chiusi dentro una stanza. Penso che ci abbiano messo pure il lucchetto a quella porta. Avranno messo le sbarre alle finestre. >>

<<Puoi scrivere.>> propongo cercando di trovare il lato positivo.

<<Sai che non scrivo.>> ribatte a denti stretti. Si passa una mano fra i capelli. <<Scusa, non ce l'ho con te.>>

Vorrei tanto aiutarlo, ma non so come fare. Io e i miei genitori andiamo d'accordo e mi sostengono sempre nei miei sogni, non hanno mai provato ad intralciarmi se non per il mio bene e prima di una decisione ci confrontiamo sempre. Non mi hanno mai costretto a scegliere che scuola, o università frequentare e non si permetterebbero mai di spegnere i miei sogni.
La stessa cosa non si può dire dei genitori di Jack, loro vogliono imporre la loro idea, i loro scopi e troppo spesso lui non può fare a meno di eseguire. Vogliono perfino fargli smettere di suonare il pianoforte, cosa che io ritengo assurda perché ha talento. Avrebbe dovuto intraprendere il conservatorio e non certo economia che odia più di qualsiasi cosa. È bravo anche a comporre, a creare nuove sinfonie, anche se è da tempo che non scrive. Dall'incidente di suo fratello ha smesso di farlo. Dall'incidente di suo fratello i suoi genitori sono peggiorati.

Sotto il cielo di Milano [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora