042

54 5 8
                                    


Per tutto il tempo in cui la mia fuga si concretizzò, rimasi in uno strano stato. Sa com'è quando si fa un grande salto? Subito dopo la spinta c'è un istante in cui si è distaccati da tutto, perfino dai propri pensieri. Sembra di volare con una sorta di mistica libertà, prima di piombare al suolo scatenando un bel polverone. Fu così che me ne andai, e ad oggi resta una delle scelte più importanti che feci. Arrivai alla stazione degli autobus a tarda sera, con me solo lo zainetto il cui contenuto comprendeva il giovane Holden di Salinger, un diario, una confezione di biscotti. Una penna a sfera ed una bottiglia d'acqua. La notizia della mia scomparsa era già stata diramata.

C'era un autobus pieno di turisti e non mi interessava sapere dove andassero. Scivolai nel parcheggio e saltai nello scompartimento per i bagagli in un angolo buio e scuro. Nessuno mi notò, e venne rinchiuso subito. Restai in quella gelida e claustrofobica oscurità per chissà quanto. Non nego di aver avuto paura, volevo dormire così da impedire ai miei pensieri di agitarmi, ma proprio essi me lo impedivano. Ci fermammo una volta, credevo fossimo in una stazione di servizio ma poi udii delle voci. Compresi che eravamo al confine con gli Stati Uniti, e la dogana effettuava i normali controlli di routine. Quando li sentii armeggiare per aprire il bagagliaio entrai nel panico. Ebbi davvero paura per la prima volta. L'idea di essere scoperta pareva terrificante, peggiore della morte, perché sarebbe stata una sconfitta su tutti i fronti. Qualcosa dentro di me mi disse di stare calma. Il mio cuore batteva a mille ma la mia testa prese a ragionare.

Aprirono il portellone e trovarono solo valige, io mi ero chiusa dentro una di esse. Schiacciata, impaurita, ma non vista. Jane sorrise al pensiero.

Certo, non fu così facile. Arrivati in Minnesota, venimmo fermati per un controllo bagagli e zitta zitta dovetti sgusciare fuori di lì mentre i passeggeri erano in fila, per poi correre a perdifiato verso la libertà. Ironia della sorte, presto compresi che non si è mai davvero liberi. Sì è sempre schiavi di qualcosa. Del bisogno di vivere, di essere amati, di sentirci produttivi, dei farmaci se si è malati, del cibo, di ore di sonno. Bha, una vera sfortuna. Scema io a non averlo capito prima.

E dove eri finita? Owen alternava quel suo darle del lei a del tu ormai già da un po', troppo conscio della magnificenza di Jane, che vedeva tanto superiore a lui in tutto o quasi, ma consapevole anche del legame formatosi che li poneva l'uno vicino all'altra in modo così naturale. Era felice che finalmente le raccontasse il suo personalissimo inizio, ma odiava che qualcun altro oltre a lui potesse conoscerlo. Bersinger... Non gli era chiaro il suo ruolo o che tipo di figura incarnasse per Jane. Erano forse rivali per contendersi ciò che non esisteva e di cui tuttavia Owen non poteva fare a meno? La fiducia di lei... Dio... Quanto la desiderava.

Non ne avevo idea. Solo dopo venni a sapere di trovarmi nella zona di Ash Lake. In quel preciso momento mi limitai a correre sulla neve troppo alta, passando da una strada asfaltata ad una che non lo era, sempre timorosa che qualcuno mi trovasse e desiderando una solitudine eterna che non arrivò mai davvero. E poi, da lì mi inoltrai per i boschi che non avevo mai visto ma che finirono per farsi famigliari. Non so per quanto durò la mia fuga a piedi. Giorni, immagino. L'acqua finì, i biscotti anche. Di quel periodo ho memoria unicamente del gelo. Marciavo giorno e notte per paura che mi trovassero ed anche per non morire ibernata.

C'era una frase di Salinger che rileggevo continuamente e che avevo anche sottolineato. La gente non si accorge mai di nulla. Gli occhi di Jane erano cupi e lontani. È una così triste verità... e non volevo farne parte.

Fra l'essere soccorsa e il morire lì, preferivi comunque stare sola e lasciare che la natura facesse il suo corso? Era scandalizzato.

Sicuramente. Si trattava di una questione personale, volevo vincere.

Questo non ha senso.

È vero, ma allora mi pareva che ne avesse. Morire alle mie condizioni invece che vivere alle loro.

Le loro di chi?!

Degli altri. Di tutti quelli che vogliono dirti cosa è giusto o no provare, e cosa ha senso o meno. Pensano di sapere dove sta la ragione pur non sapendo nulla delle "tue" ragioni.

Owen non disse nulla per un momento, abbassando lo sguardo sotto al suo, sentendosi un egoista.

L'ultima cosa di cui ho memoria per quanto riguarda la mia fuga è che mi abbandonai alla neve, certa di spegnermi lì. Dicevo a me stessa che era un freddo strano, bruciante confronto a quello che sentivo nascere dentro. Volevo morire e trasformarmi in neve candida, pura, immacolata. Gelida e rovente. Poi fu il buio. Il buio più splendente, attorniato da tutto quel bianco. E così divenni Grace Campbell. 

Il RitrattistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora