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E non l'hai aperta? Jane era sorpresa mentre scrutava la busta.

Ora le domande inutili le fai tu. Owen sorrideva guardandola con un certo orgoglio per quella privazione fatta a sé a beneficio di loro due come squadra. Lei però non era convinta.

L'avresti aperta, però qualcosa ti ha trattenuto. Si lasciò ricadere sulla sedia, ma solo quando ebbe trovato nel suo sguardo ciò che stava cercando. Ah... scommetto che Reed ti ha intrattenuto. Sospirò, e lui ebbe la sensazione di scorgere un certo disappunto.

Non approvi?

Se siete adulti e consenzienti potete fare ciò che vi pare.

Però?

Se te lo dicessi ti offenderesti.

Provaci lo stesso. Voglio sapere cosa pensi davvero.

Oh, fidati, non lo vuoi e di certo non è il momento per parlarne. Per un attimo esitò. Possibile che i suoi gusti sessuali la contrariassero?

E di cosa vorresti parlare, allora?

Dei Campbell, ovviamente.

Ma certo! Come ho fatto a non intuirlo? Borbottò ironicamente accendendo il registratore. Per forse un minuto Jane però tacque, limitandosi a guardarlo con le mani giunte. Lo studiava, perché si era resa conto di come stesse cambiando.

Passai con i Campbell una vita intera. Tutta la mia infanzia fino ai diciotto anni. Ma la vita nella proprietà, non era degna di essere definita tale.

Se era così, perché non fuggire da loro così come dai Lachance?

Non potevo fuggire via da Carson, lui diversamente dal mio primo padre teneva a me più di quanto avesse mai fatto chiunque altro, se pur a modo suo. Mi voleva al suo fianco. Dopo tutto, sono grata di aver ricevuto la sua dura educazione. Mi ha resa ciò che sono oggi.

E l'hai ripagato con la morte. Jane ancora una volta lo esaminò, le labbra semidischiuse, presa come se avesse davanti una specie rara di creatura.

Esiste una complice ambiguità in me. Lo so da molto tempo oramai. Il mio desiderio di difendere gli altri prima di me stessa, di salvarli, coesiste con la bramosia di violenza più assoluta. Sono un caso strano di bipolarismo, secondo alcuni alienisti. E non gli posso dare torto. La sensibilità e la violenza nascono da una medesima presa di coscienza. La violenza, così come la paura, la riversiamo sugli altri e si dipana nel silenzio intaccando permeabilmente coloro che incontra. Carson mi ha cresciuta nutrendomi di esse, e a paura ha ampliato la mia sensibilità mano a mano che si induriva per permettermi di sopravvivere. E la violenza... quella non sfama, no, ti fa venire una tale sete di sangue. È come la voglia di creare un'opera distruggendo tutto. E ad ogni mio omicidio...

Era la prima volta che usava quella parola. Owen pensava che l'avesse evitata per giustificarsi e per non ammetterlo a sé stessa. Come se non dirlo lo rendesse meno vero. Eppure mentre parlava ora era diabolica, e quel termine non era nulla di vergognoso, solo un'altro aspetto di lei che non temeva di mostrare.

Mi sentivo come un architetto che aveva appena realizzato la sua opera migliore, che costruisce un ponte distruggendo un bosco. La vita viene sacrificata dall'uomo ogni giorno, in ogni cosa e nella misura che lui ritiene giusta. E così mi sono detta, che dopo tutto non è mai questione di giustizia, solo di egoismo. Io sono un'assassina egoista, fanculo la giustizia. Ognuno ha la sua. Fece una pausa, e rise. Owen la trovava irraggiungibilmente affascinante. Ho ucciso Carson perché mi ha cresciuta facendomi divenire tale. Non voglio incolparlo di tutto, perché più che una colpa nella mia ottica delle cose si tratterebbe di un merito. C'è stato un momento in cui avrei potuto prendere un'altra strada e non trovarmi qui oggi. Nonostante tutto, avrei potuto trarre dalla vita insegnamenti migliori, più cristiani e rispettosi dell'esistenza umana. Quel momento si protrae, aleggia nel tempo con il nome di una decisione mai presa che potrei affermare, afferrare, in ogni istante, se solo lo volessi. Il fatto è, Owen, che non voglio. Io non voglio cambiare. Lui si accigliò.

Ma adesso, stando qui hai fatto dei progressi. Ti stai rimettendo in carreggiata, Bersinger diceva che sei volenterosa di migliorarti, che hai riconosciuto i tuoi errori. Jane spense il sorriso ricomponendosi.

Certo, dopo tutto, perseverare sarebbe diabolico. Lui la studiava ora, senza paura, ma conscio che non l'avrebbe mai conosciuta. Gracie! Gracie! Cantilenò lei con voce infantile. Mi chiamavano così i miei fratelli, quando a dodici anni correvo per sfuggirgli. Di nuovo, il suo tono naturalmente suadente, e come per incanto lo portò con sé in un ricordo.

L'unico vestito che avevo era grigio, di un cotone pesante e logoro, dopo che gli ero cresciuta dentro. Sventolava quando correvo, stretto sul torace ancora infantile e morbido in una gonna che arrivava sino alle caviglie. Anche d'estate quando tutti portavano i calzoni corti e le gonne al ginocchio, Jane diceva che io dovevo restarmene nascosta sotto quella stoffa.

Diceva che era meglio che non le disobbedissi. E così correvo con il tessuto sempre fra le gambe e fra i piedi. Correvo sfidando il diavolo, perché se dopo i lavori della stagione a fine giornata le mie risposte o i miei sguardi non piacevano ad uno dei fratelli, potevano essere molto suscettibili. Non vedermi però come una vittima. Piansi per tutto il primo anno, ma poi capii come stavano le cose e ci feci l'abitudine. Imparai a stare al loro gioco. Le prendevo a muso duro senza reagire, senza dare soddisfazione, e per questo le botte andavano facendosi mano a mano più forti, ed io me ne restavo dannatamente impassibile. Il mio comportamento, la faccia tosta di saper convivere con il dolore,  li faceva arrabbiare anche più di qualsiasi altra bravata o sputo sul viso che gli riservassi. Con i maschi dopo tutto era stato facile, li avevo capiti in fretta. Tutti si comportavano così con me, tranne i piccoli e Sebastian. Hunter, il figlio maggiore di Carson, aveva la fama del grande violento. Lui me le dava più di tutti e per ogni minima cosa , errori o provocazioni che fossero. Lo faceva senza provarci gusto, inespressivo, e per questo lo odiavo.

La sera, prima di addormentarmi nel mio sudicio materasso senza molle, cominciai a fantasticare di far loro del male. Se quel giorno per esempio, a farmi soffrire era stato Dylan, io immaginavo di procurargli cento volte più dolore. Era così ogni sera, e velocemente quelle fantasie divennero la base della mia psiche così che sopravvivessi. Senza che me ne accorgessi la mia mente si tramutò in un vero e proprio inferno, dominato da grida, sangue e viscere. Erano dolci e calmanti pensieri per me, come fiabe della buona notte.

Di certo ero la più intelligente fra loro. Solo Carson ed io sapevamo leggere, e questo perché avevo imparato prima di arrivare lì. La mia abilità faceva infuriare Jocie, la sorella sempre dannatamente gelosa di me. Una notte, mi tagliò via i capelli per punirmi. I miei bellissimi e lunghi capelli neri.

Al mattino li trovai sparsi attorno al letto, e corsi davanti al coccio di specchio appeso al muro per vedere che mi fosse capitato.

Jocie rideva mentre sentivo qualcosa agitarsi dentro di me. Aveva svegliato tutti, urlava insulti. Diceva che ero un maschiaccio orribile.

Mentre guardavo il mio riflesso sporco le risa dei fratelli che si univano alle sue mi si imprimevano addosso, solo Sebastian mi guardava con dispiacere ma non lo notai. Non piansi, restai impassibile e morsi le labbra strette e fredde, analizzando le chiazze ed i ciuffi scompigliati. Poi la guardai con indifferenza e lei alzò il tono de riso additandomi, come a volermi sbattere a terra nell'umiliazione che non le mostravo.

Non vedi come sei ridotta?! Non vuoi piangere un po'?! Urlava davanti alla mia inespressività.

Perché dovrei? Anche ridotta così sarò sempre più bella di te.

Devi essere davvero stupida. Sibilò facendo per tirarmi uno schiaffo che bloccai a mezz'aria senza togliere gli occhi dai suoi. Ero più piccola, ma alta quanto lei e forte e veloce come un ragazzo.

La stupida sei tu, Jocie. Perché quando avrò io le forbici fra le mani mentre tu dormirai, mi basterà solo un taglio per metterti a tacere per sempre. Le avevo torto il polso, e lo lasciai solo quando vidi il terrore nei suoi occhi piccoli e cattivi, poi uscii di casa e presi a camminare senza meta. Desideravo stare sola.

Lo dicesti solo per spaventarla?

Lo dissi solo perché mi veniva da dentro. 

Il RitrattistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora