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Riassumiamo brevemente. Ai tempi, Bid, Sebastian ed io avevamo tredici anni. I Campbell continuavano ad ignorare l'esistenza della famiglia indiana dei Portnov nella mia vita e in quella di mio fratello. Pensavano tutti che, semplicemente, preferissimo passare fra noi due soli i momenti che ci ritagliavamo nella quotidianità. Avevo una routine dentro la proprietà dei Campbell, ormai la mia famiglia, e ne avevo un'altra fuori, nella riserva. C'erano tante figure forti nella mia vita. Mio padre Carson dava ordini ben precisi. La sveglia all'alba, la coltivazione, la raccolta della legna. La caccia. Ci insegnò tutto. A seguire le prede, fiutarle, braccarle. Ci insegnò ad uccidere e lavorare le pelli e le carni. Non sprecavamo nulla, ma eravamo come un branco di selvaggi che solo lui poteva tenere a bada. In realtà col tempo Hunter si fece sempre più corpulento. Non che fosse grasso, nessuno di noi lì ingrassava, perché c'era troppa povertà e troppe bocche da sfamare. Tuttavia la vita dura ci forgiava. Tutti, se non Sebastian, eravamo molto forti fisicamente, più dei ragazzini nostri coetanei che crescevano nella bambagia fuori da lì. Gli inverni rigidi e le fatiche sotto il sole estivo ci avevano resi dei leoni, ma il domatore restava Carson. Come dicevo, Hunter ormai aveva diciassette anni, e superava nostro padre in quanto ad altezza e prestanza fisica. Avrebbe potuto andarsene da quella casa in ogni momento e credo che una parte di lui così come in tutti lo volesse, ma poi ci ripetevamo nei nostri cuori: E dove? Dove andremo? Così restavamo.

Jane si interruppe e morse il labbro con vergogna. Forse nel mio caso specifico rimasi con i Campbell anche per altre ragioni. Non solo per il timore dell'ira di Carson o del futuro. Sono rimasta perché una parte di me vedeva tutto ciò come una punizione meritata per essere scappata dai Lachance. Dopo tutto non c'è mai fine al peggio, avrei dovuto immaginarlo.

La vedevi come una sorta di punizione karmica?

Più o meno sì, e lo era, ma era anche una crescita così dura che di certo mi avrebbe rafforzata. Cercavo di cogliere il lato positivo per non fuggire, ed autoinfliggermi così una sofferenza ogni giorno in cui sceglievo di restare. A livello psichiatrico, ai tempi forse mi avrebbero definito un soggetto con un disturbo borderline della personalità. Ad ogni modo, l'estate dei nostri tredici anni successe di tutto. Quell'anno mia sorella Jocie, ormai quindicenne, aveva avuto due aborti durante l'inverno. Owen si accigliò.

Anche gli altri Campbell intrattenevano relazioni esterne?

Non che io abbia mai saputo. Ci mise un istante per realizzare con disgusto.

Incesto, dunque. Quale dei fratelli era il padre?

Carson Campbell era il padre.

È disgustoso.

Lo era sentirli la notte. Vederlo aggirarsi fra i nostri letti col timore che prendesse me. Ma era Jocie la sua vittima, lo era fin dal giorno del suo primissimo ciclo. Lo ricordo come se fosse ieri. Lei piangeva col sangue che le colava lungo le gambe.

Mamma! Sto morendo! Mamma! Gridava isterica, terrorizzata correndo per casa. Dentro c'eravamo solo Hunter, Jane ed io. Lui si alzò disgustato, con un velo di panico sul viso indurito dal sole. Io ero affascinata da quel rosso sulla sua pelle cianotica, ne ero incantata. Jocie si buttò ai piedi della madre con le gambe luride.

Una singhiozzava e l'altra era completamente inespressiva. Prese il viso della figlia fra le mani.

Non stai morendo, bambina mia. Mamma aveva una bella voce, sempre calma. È una benedizione Jocie. Questo significa che tu sei divenuta donna oggi, proprio ora che io ho cominciato a mostrare i primi segni di infertilità. È fantastico. Niente sul suo viso mostrava entusiasmo.

Ma mamma... singhiozzava lei senza capire. Hunter uscì incapace di rimanere, ma io ero sempre più presa da quel rosso. Allungai una mano e ne sfiorai un rivolo. Non toccarmi! Gridò con una voce che tagliava l'aria, riportandomi alla fredda realtà sussultando.

La mamma la portò via e restai sola, con il polpastrello tinto di un colore così vivo ed intenso. Per quanto fossi portata per l'arte, fu allora che me ne innamorai, vedendo dove finiva e cominciava la vita nel colore.

In quel periodo iniziai ad appassionarmi alla storia della pittura e domandavo a Bid di prendere per me libri su libri alla biblioteca della riserva. Partendo dall'arte il mio interesse mi portò ad avere un'infarinatura generale su parecchie materie, perché in ogni cosa c'è dell'arte così come in ogni periodo dell'esistenza umana, questo lo imparai in fretta.

Anche nella morte. Borbottò Owen.

Soprattutto in essa. Quella sera Carson era di buon umore, ed informò la famiglia che Jocie non era più nostra sorella ma una donna, una moglie. Da lì a breve cominciò ad avere rapporti con lei. Di notte, in quel camerone dove stavamo tutti separati da tendaggi provvisori, la sentivo piangere quando lui finalmente la lasciava. Qualche volta piangevo anche io per lei.

D'inverno perciò, non feci che leggere e cacciare, come la famiglia era solita fare.

Scuoiare lepri e poi Caravaggio, Frida Khalo e lo sventramento delle carogne. E fra un estremo e l'altro ha cominciato a prendere forma il Ritrattista, o per lo meno la mia parte più viscerale, perché ci fu molto altro ancora prima che arrivassi ad essere tale completamente. A fine dicembre Jocie una notte mi svegliò. Non era uno dei suoi soliti pianti silenziosi, gemeva di dolore dal suo giaciglio. Mi sporsi dal letto e la vidi seduta, in camicia da notte mentre cadeva a terra nella penombra. Prese la federa e poi avvolse qualcosa, uscì di casa e dalla finestra la vidi raggiungere il retro della legnaia. Rientrò poco dopo madida di sudore nonostante il freddo, rimettendosi sotto le coperte senza dire nulla.

Il mattino seguente aveva la febbre ed un colorito orribile più del solito, così restò a riposo. La prima cosa che feci dopo la ben magra colazione fu dirigermi dietro la legnaia. Per un istante pensai di essermi sognata tutto e che quella notte non fosse successo nulla, ma poi vidi un lembo di stoffa sbucare dal terreno, in un angolo difficile da cogliere. Cominciai a scavare. Era una mattina grigia e prima di sollevare la stoffa e vedere cosa nascondesse, tutto in me mi diceva di non farlo, di non guardare e rimettere le cose com'erano. Ma dovevo guardare, e il rosso della morte tornò ad incantarmi nuovamente. Era un feto. Un minuscolo uomo di sangue che di umano non aveva niente, un aborto. Lo portai via.

Perché? Gli occhi di Jane erano sfere fredde.

Per guardarlo ancora.

Il RitrattistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora