049

45 5 6
                                    


Owen.

Era la voce di Jake sempre più vicina, e con essa una sagoma dai lineamenti sbiaditi pian piano più nitidi.

Owen.

Di nuovo, e il viso chino su di lui era proprio quello sorridente di Jake. La voce più forte.

Owen.

Ora quel tono era reale, e con lui c'era l'agente Reed. Nessun sorriso etereo sul volto di un mortale, solo controllata preoccupazione mentre cominciava a dare spiegazioni.

Fischer era chiuso nel monolocale di Erwin Bersinger proprio come pensava Jane. Era nell'armadio dello studio. L'hai trovato e sei stato aggredito, ricordi? Disse dopo un istante. Mentre parlava il signor Walsch guardava dal letto d'ospedale ciò che lo circondava. Una flebo in vena, macchinari al suo fianco, le pareti di un triste color albume. Annuì.

Fischer aveva preso un coltello dalla cucina, ti ha colpito ed ha danneggiato il tuo rene sinistro. Sei stato operato. Questo è successo due giorni fa. Ora devi riposare e restare in osservazione. Per un po' il silenzio pesante aleggiò fra loro. Anche se Reed sedeva accanto a lui, era come se non ci fosse. L'uomo al lato del letto alzò gli occhi al cielo e deglutì con fatica, poi gli prese una mano. Si sentiva responsabile per Owen, ed aveva avuto paura che non ce la facesse. Ma forse era più di questo. Avvertiva un legame più forte e vero perché il redattore era qualcosa di diverso da un semplice civile, anche se non era pronto ad ammetterlo a sé stesso.

Lei come sta? Chiese Owen con un filo di voce, riportandolo alla realtà. Non si aspettava quella domanda.

È stata riportata al Barker. L'hanno messa in isolamento per ciò che ha fatto. Fischer è morto.

In isolamento per avermi salvato la vita. Disse lui con quel tono flebile un poco più nitido. Reed abbassò lo sguardo lasciandogli la mano, e in quel momento Owen vide la reale paura che ancora si rifletteva negli occhi dell'uomo in genere tanto sicuro di sé, che ora sembrava solo preoccupato.

Non dovresti pensare a lei adesso. Devi rimetterti. Poi sospirò e scelse di cambiare discorso e forzare un sorriso. Mi sono preso cura del tuo cane. Borbottò.

Nei giorni seguenti Owen rimase in ospedale, certo che fuori di lì stesse avvenendo di tutto. Reed passava da lui ogni mattina ed ogni sera, e si comportava con una gentilezza che non immaginava gli appartenesse. Quell'incidente li aveva legati in un modo che nessuno dei due si aspettava, ed Owen non sapeva cosa pensare della loro relazione, così lo lasciava fare.

Riceveva visite, a volte. Gina mandò dei fiori. Nel biglietto si diceva addolorata, ma lui era certo che fosse eccitata per quella notizia di cronaca nera che lo vedeva coinvolto, sicura che avrebbe portato loro maggior profitto. La stampa sapeva degli omicidi fin dal principio, ed ora sapeva anche del coinvolgimento del Rittrattista e del malcapitato editore che seguiva la stesura della sua biografia. Adesso Gina poteva lasciar trapelare un paragrafo a sua scelta tanto per mettersi gli occhi addosso. L'idea che quella donna materialista e cattiva toccasse il suo lavoro lo disgustava. Gli faceva venire voglia di mettersi in piedi prima del tempo. 

Reed insisteva perché si riguardasse, ma solo in quel letto non faceva che pensare a cosa stessero facendo a Jane. Sapeva che era illogico, ma temeva che le autorità la torturassero, e non lo sopportava. Decise di firmare per uscire, e con i suoi doloranti tredici punti tornò a casa. Si muoveva con una foga lenta. Le gambe viaggiavano ma l'addome era rattrappito da una sofferenza mai provata prima. Mentre guidava decise di andare da un'altra parte, e non subito a casa. Senza rendersene conto arrivò al cimitero dove salutava Jake con quel loro rito fra il dolce ed il macabro. Rimase in piedi davanti alla sua lapide per chissà quanto, avvolto nel logoro piumino che avrebbe fatto meglio a buttare. Era freddo. Un freddo tonificante per quel corpo che era rimasto fin troppo avvolto nel calore del camice da ospedale, su un letto soffice. Quella scomodità, quel vento sferzante, lo stare semplicemente in piedi e vestito, lo faceva sentire di nuovo forte. Di nuovo nel vortice in cui Jane l'aveva portato, sempre al limite con la spossatezza. E questo gli dava un sentore di qualcosa di simile alla felicità, ma estremamente amaro.

Era come quando si ascolta la musica e non si sa se l'anima dentro protende ad un sentimento specifico con vigore, solo, la si sente muovere. Si sente...

Restò lì fino a notte fonda, poi decise che era arrivato il momento di muoversi, e con quella sua nuova e strana andatura, tornò a casa. C'era la luce accesa. Reed era lì, ad aspettarlo in cucina. Owen si sedette al suo fianco senza parlare, cominciando a mangiare il cibo freddo rimasto ad attenderlo.

Sei stato da lei? Chiese l'agente con un tono che lasciava trapelare una certa irritazione. Owen smise improvvisamente di masticare.

Sei geloso? Chiese studiandolo.

Dimmelo tu. Borbottò mettendogli sotto gli occhi i disegni di Jane. Owen rise.

Non ci credo. Hai frugato fra le mie cose?

Non mi farai sentire in colpa per averlo fatto, è stato un caso, cercavo il cibo per il cane.

Ma davvero? Disse prendendolo in giro.

Che cosa sono? Reed tornò a mostrargli i fogli con ferrea decisione, come se lo stesse interrogando.

Sono lavori fatti da Jane. Me li ha consegnati Bersinger settimane fa. Ne devo scegliere uno da inserire nel romanzo. Era una mezza bugia, ma non si sentiva a disagio nel dirla. Reed lo guardava come a cercare di scorgere in lui la verità o la menzogna. Scelse di credergli.

D'accordo, scusa. Allora, dove sei stato?

Al cimitero. Rispose tornando a mangiare.

Bersinger? Ipotizzò l'agente.

No. Qualcun altro. Evidentemente Reed gli lesse negli occhi il ricordo di Jake e non chiese. Aveva esaurito il bonus per poter domandare di cose private. Allora... borbottò Owen masticando. All'FBI ti hanno licenziato ed ora fai l'infermiera sexy per arrotondare? Domandò ironico facendolo ridere.

Sai che ti dico? Non mi dispiace affatto fare l'infermiera per uno come te. 

Il RitrattistaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora