Al risveglio ero accanto ad un fuoco scoppiettane che mi arroventava le guance, sudavo perfino. Il mio corpo minuto era stato adagiato su cumoli di coperte logore e pelli di animali dure e grezzamente lavorate, avvolta da esse fin sopra al naso. La luce era forte ma accerchiata da oscurità che combatteva a fatica, facendosi a dir poco accecante. Mettendo a fuoco e alzandomi provando dolore ad ogni singolo arto, fu abbastanza chiaro che il luogo in cui mi trovavo era una sorta di casa, più simile ad una baracca. Tuttavia gli spazi erano piuttosto ampi. Dietro di me c'erano un paio di poltrone che sembravano stare lì da secoli. Alcune sedie ed un tavolo spesso e vasto, ed una sottospecie di cucina ad angolo. Dei tendaggi pendevano dalle travi in legno massiccio sui soffitti bassi, dividendo una piccola parte sulla mia destra dal resto della casa. A venti, trenta passi proprio dietro di me, notai una porta minuta chiusa con così tanti chiavistelli da essere agghiacciante. Tuttavia la prima cosa su cui soffermai davvero la mia attenzione fu la donna affacciata alla finestra dai vetri sporchi. Se ne stava lì immobile, guardando fisso nella tenue luce dell'esterno. Pensai fosse un fantasma, e pensai di esserlo anche io. Portava un lungo abito nero di lana ed un grembiule che bianco non era più chissà da quanto. I capelli raccolti cominciavano appena a farsi brizzolati, e non erano certo più puliti di tutto il resto lì. Le mani posavano sul davanzale, aveva le dita incise e screpolate dal freddo penetrante.
Come se i miei occhi l'avessero ridestata dai suoi pensieri, si voltò verso di me.
Sei sveglia. Constatò. Non c'era espressione alcuna sul suo volto, e presto compresi che è quello il tipo di viso che mostra il male più oscuro. Io sono Jane Campbell, e da oggi sarò tua madre. Disse questo mentre si avvicinava.
Entro breve mi venne spiegata ogni cosa, ma ero una bambina, e ci volle tempo per capire tutto davvero. Il mio nome era diventato Grace, a loro non importava chi fossi stata prima, perché dal giorno in cui mi avevano trovata ero divenuta figlia di Jane e di suo marito Carson Campbell senza possibilità di scelta. Non erano semplicemente due dissociati fuori dal mondo che non potevano avere un figlio loro nonostante lo desiderassero a tal punto da appropriarsi di un bambino esterno. Erano molto più di questo. Prima di tutto, avevano già la bellezza di nove figli. Due femmine e sette maschi, e ci tengo a dire che non avrebbero potuto permetterseli. Si viveva in uno stato di blanda povertà, ma soprattutto era come stare in una bolla che ci teneva fuori da tutto il resto. Carson era il cuore di tutto, era mio padre.
Owen scorse una lucidità negli occhi di lei, le labbra si erano fatte linea di ferrea durezza, priva di affetto ma colma di amore per chissà cosa. Carson Campbell, aveva un'idea molto chiara di questa nostra società. Non dico che fosse un'idea giusta, ma era una verità certa ai suoi occhi. In effetti somigliava parecchio al mio primo padre, a Jack Lachance. Entrambi credevano di sapere come era consono vivere, cosa dovevano fare per rendere il mondo un posto migliore.
Avevano il loro ideale di giustizia, che essa andasse manifestata con arrendevole indifferenza o con gesta fin troppo fondamentaliste. Amai più Jack Lachance, se di amore si può parlare riferendosi al naturale attaccamento infantile, ma rispettai più Carson Campbell. Lo odiai, certamente, ma quanto meno ebbi rispetto per la sua passione malata per la vita, per i propri principi. Da quel giorno la mia esistenza prese una piega surreale. Avevo sette fratelli e due sorelle. Avevo una nuova famiglia.
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Il Ritrattista
Mystery / ThrillerAl Barker, carcere psichiatrico situato a Glenn Dale, il signor Owen Walsch sta per incontrare il suo nuovo cliente. Ha infatti come incarico quello di redigere la biografia del killer seriale che tutti conoscono come il Ritrattista, e di cui non si...