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Te ne vai? Chiese Reed guardandolo mettersi il cappotto. Owen si limitò ad annuire, se avesse aperto bocca avrebbe vomitato. È piuttosto presto. Di solito non esci mai prima di me. Continuò a dire il detective nella nebbia del mattino, mangiando cereali al tavolo da cucina in quella casa non sua. Il cane gli sedeva accanto ormai abituato alla sua presenza lì.

Hai serie deformazioni professionali. Borbottò faticosamente il signor Walsch.

Solo per averti chiesto dove andavi...

Non mi hai chiesto questo.

Giusto. Dove vai? Owen si voltò mentre metteva i guanti studiandolo. Non poteva dirgli la verità, ma non voleva mentire.

È un segreto. Scelse una sorta di non bugia. Reed sorrise.

Va bene, la smetto. Stasera ceniamo al Boundary Stone?

Certo. Lì alle otto?

Perfetto. E con quelle poche parole uscì svicolando da una scomoda realtà.

Guidò senza mai fermarsi, con occhi furtivi che passavano dal navigatore alla strada, come se si aspettasse di trovarsi i mostri addosso. E poi arrivò al Midland Park, un'ampia area boschiva fuori Washington.

Già alla periferia di una simile natura vedeva gli alberi che Jane gli aveva detto di cercare. Sapeva che quella era una zona in cui crescevano le piante che cercavano perché aveva dovuto svolgere ricerche approfondite, e da qualche parte doveva pur cominciare. Non poteva evitare di domandarsi come avesse fatto il dottore a trovare il camper. E se Owen si fosse davvero imbattuto in quel mezzo dell'orrore? Se l'avesse trovato nascosto in quei boschi che cosa mai avrebbe potuto fare?

Si era portato appresso la pistola, e ne sentiva il peso battere sul fianco sotto il cappotto. Quel peso era l'unica sicurezza, l'unica cosa salda mentre camminava incerto per la foresta, azzardandosi in deviazioni fuori dai sentieri. La pistola era Jane che camminava con lui guardandogli le spalle.

Rimase a vagare per chissà quanto, come se fosse il malcapitato protagonista di una favola, domandandosi se avrebbe visto il lupo cattivo o il suo covo. Ed effettivamente qualcosa trovò.

Le ore non parevano passare mai, perché la nebbia rendeva statica la grigia ed opaca luminosità di quei luoghi. Gli alberi erano silenti testimoni dell'escursione che Owen non avrebbe voluto mai fare, eppure viveva in lui una certa contraddizione. Uno strano desiderio di portare alla luce la verità certamente terribile divenendo così un eroe, essendo a tutti gli effetti un'estensione di Jane.

Quando si era ormai abituato a quegli ambienti vide un'anomalia. Qualcosa che non doveva trovarsi lì, innaturale, ed abominevole nel modo in cui contaminava il paesaggio fondendosi al chiarore nebbioso. Si stagliava fieramente, il grande mezzo della morte. E nel suo statico e inanimato esistere pareva così colmo di carattere che era come se avesse vita propria.

La rugiada colava, posandosi sulle pareti cubiche e manomesse dal Ritrattista anni prima. Un velo di sporco lo rendeva solo più reale, contrastando con il pallore della vernice. Artificioso e cadaverico, maestoso in quella innaturale vita che emanava, era proprio come uno dei macabri lavori del Ritrattista.

Owen gli girò intorno con passi lenti ed occhi sognanti ma all'erta, cercando impronte, o segni di passaggio. Bersinger era stato lì, ma come c'era arrivato?

Giunto davanti alla porta esitò. Rimase inerme a guardarla e poi prese la pistola con una calma nei movimenti increspata unicamente dal pallore del suo volto e dagli occhi vitrei più del solito, che rivelavano il suo reale stato d'animo. Aveva la nausea ed avvertiva le ossa tremare, si sentiva come se avesse corso fino allo sfinimento.

Un respiro profondo e poi aprì la porta che non era stata chiusa a chiave, quasi come se l'emulatore si aspettasse di doverlo ricevere. Jane gli aveva descritto il mezzo in ogni suo dettaglio, preparandolo affinché lì dentro potesse muoversi al meglio e con svelta efficacia.

Per un istante, Owen studiò l'oscurità oltre l'ingresso, e poi vi entrò con una foga imposta, che era l'unico modo in cui poteva muoversi. Cercò a tentoni l'interruttore della luce e lo trovò quasi subito. Un neon artificioso inondò tutto di più vivida chiarezza. Non era per nulla un camper normale. C'erano ancora la cucina ed il bagno, ed ovviamente il posto di guida, ma per il resto...

Il tavolo era quello di un obitorio metallico, fornito di strani meccanismi di scolo e illuminato da una lampada circolare che gli si rifletteva sopra. Al posto dei letti vi era un grande armadio sempre metallizzato. Era aperto e all'interno si vedevano bombole e strumenti chirurgici, sostanze di ogni tipo. Apparentemente non vi era nessuno oltre ad Owen stesso, ma dopo la brutta esperienza con Fischer scelse di tenere la pistola. Cosa cercare esattamente? Si chiedeva aprendo le mensole per trovarci solo libri d'arte, siringhe e ferri. Poi notò qualcosa sul ripiano della cucina. Un disordine che pareva differente da quello circostante. Un caos che ti spingeva a guardare proprio laggiù. C'era un blocchetto per appunti, uno che, era certo, il Ritrattista non avrebbe mai usato. Sfogliandolo scoprì che su una pagina sola vi era scritto qualcosa. 107-35433. Numeri. Non sapeva cosa fossero, ma era certo si trattasse dell'indizio che cercava.

Chiuse tutto di fretta attento a lasciare ogni cosa com'era, e poi fuggì il più velocemente possibile portandosi dietro solo le foto di quell'oggetto. Non pensò a niente finché non fu di nuovo in macchina, dove riuscì a riprendere fiato. Era stato troppo facile, ed aveva la sensazione che l'emulatore si aspettasse quella visita. Che gliela avesse concessa.

Ma questo era solo un sospetto, e la sua unica certezza era che seguendo Jane tutto si sarebbe risolto. Doveva aggrapparsi almeno a quella sicurezza.

Accese il motore e tornò a casa, poi rimise la pistola dietro al letto con il nastroadesivo. Scrisse per tutto il giorno, fermandosi solo di quando in quando per fissare le foto nel cellulare, fino a che Reed non lo chiamò. Si era scordatodel loro appuntamento e così uscì di fretta per raggiungerlo nonostante il ritardo. Per mantenere le apparenze.    

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