Diciassettesimo capitolo.

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Roberta's pov.
È mercoledì. Oggi devo fare la mia prima lezione di chitarra con Benjamin.
Lo ammetto, sono un po' agitata, ma anche molto entusiasta, perché sto per fare qualcosa che voglio fare da circa un paio di anni, ma non ho mai iniziato seriamente.
Ho preso in prestito la chitarra di mio papà con la promessa di fare attenzione e di usarla con cura. Non so esattamente quante volte si sia raccomandato ed ora sono in ansia per la paura di rovinarla.
Nonostante faccia freddo ed io abbia le mani completamente gelate come mio solito, ho la schiena sudatissima a causa della custodia della chitarra che porto sulle spalle. Non so neanche io perché abbia scelto di raggiungere casa di Ben a piedi, forse perché mi illudevo fosse più vicino, forse perché volevo convincermi che fare più movimento mi faccia bene.
Attraverso la strada e finalmente trovo il palazzo dove abitano i ragazzi! Sono fiera di me per aver capito bene le indicazioni stradali datemi da Ben. Mi avvicino al cancello principale scuro e completamente spalancato. Entro direttamente nel palazzo, salgo le scale che sembrano esser state appena lavate e raggiungo il terzo piano come mi ha detto il chitarrista. Busso e aspetto. Mentre la porta viene spalancata, sento borbottare: «Federico, che hai dimentica...ah, non sei Fede»

Alzo lo sguardo e di certo non mi aspetto di trovare Benjamin a petto nudo, con solo un asciugamano in vita, mentre milioni di goccioline d'acqua gli cadono dai capelli, fino ad attraversargli il petto, il corpo.
«Ohmiodio, scusami! Passo più tardi» dico velocemente. Sono completamente in imbarazzo e mi copro gli occhi ed il viso –sicuramente scarlatto-, girandomi di scatto verso le scale del condominio. Lui ridacchia e non gli sferro un pugno solo perché non ho neanche il coraggio di girarmi.
«Entra pure, non preoccuparti» mi risponde lui a sua volta, prendendomi delicatamente una mano con la sua, umida, dalle dita affusolate e leggermente callose, forse per le troppe ore passate a strimpellare la chitarra.
Mi porta dentro casa e mi fa accomodare sul divano del salotto, mentre evito di guardarlo. Non mi aspettavo per niente di trovarlo così e se l'avessi saputo, avrei aspettato dieci minuti in più a casa con mia sorella. Resto ferma, immobile, impalata.
«Vuoi un po' d'acqua? Qualcosa da bere o mangiare?» mi chiede gentilmente, poggiando le sue mani sulla spalliera del divano, posto al centro della stanza arredata in stile moderno. Diciamo che al momento l'acqua e il cibo non sono le cose che catturano la mia mente e il mio interesse.
«Fai pure come se fossi a casa tua» aggiunge subito.
«In realtà vorrei che ti vestissi» sussurro imbarazzata al massimo, mentre mi schiaccio il viso caldo con le mani. Ricevo come risposta un'altra risatina. Sto seriamente pensando di picchiare il mio amico, ma lui mi batte sul tempo, perché scompare nel lungo corridoio alle nostre spalle che porterà alle altre stanze. Io ne approfitto per riprendermi dalla sua visione in asciugamano, non che mi sia dispiaciuto, ma mi ha imbarazzato troppo, decisamente.
Mi alzo dal divano di pelle nera a tre posti e mi guardo attorno curiosa. Sulle mensole e i mobili della stanza ci sono tante foto dei ragazzi assieme ed anche alcune foto di Federico da piccolo. Le stesse foto che farebbero sciogliere la mia migliore amica, se le vedesse.
«Che guardi?» mi sento chiedere ad un certo punto. Sobbalzo, mi giro e trovo Ben finalmente vestito, di nero e di grigio. Il primo colore gli sta molto bene. Anche se io in realtà non dovrei notare queste cose, forse.
«Guardavo le foto. Come mai ce ne sono così tante di Fede da piccolo?» domando curiosa, avvicinandomi al mio amico e salutandolo con due baci sulla guancia, cosa che non ho fatto precedentemente, capirete bene il perchè. Noto così che ha ancora i capelli umidi.
«Era la casa di sua nonna, perciò. Noi abbiamo cambiato la maggior parte dei mobili, però non abbiamo spostato proprio tutto» mi spiega velocemente, per poi farmi segno di seguirlo.
Attraversiamo il lungo corridoio dove prima era scomparso Ben. È pieno di porte ed una di queste viene spalancata dal mio amico, che mi fa entrare nella sua stanza e dopo aver preso la propria chitarra, si siede a terra, invitandomi a fare lo stesso. Ci accomodiamo su un grande tappeto nero, in tinta con il rosso ed il grigio presente nella stanza. È tutto di questi tre medesimi colori, ad eccezione degli abiti lasciati dal ragazzo sulla sedia girevole posta accanto alla scrivania, su cui è presente il pc e tanti fogli, quadernetti, probabilmente dove si appunta le cose che poi scrive nelle proprie canzoni. L'armadio è posto accanto a questa, assieme alla libreria strapiena di libri e dischi musicali. Il letto ad una piazza e mezza è posta sul muro opposto alla scrivania. Le pareti sono tutte spoglie. Nel complesso è una stanza abbastanza ordinata, direi. Mentre mi guardo attorno, mi rendo conto che le mie gambe incrociate, sfiorano quelle di Ben.
«Non la immaginavo così la tua stanza» dico ad alta voce, spostando lo sguardo da un angolo all'altro della camera.
«Immaginavi la mia stanza?» mi domanda lui divertito e probabilmente anche un po' incuriosito. Ha lo sguardo puntato verso di me, lo sento sul mio viso, nonostante io non stia guardando lui. Sobbalzo, non sapendo esattamente cosa rispondere.
«No, non è che la immaginavo, ma... lascia stare» borbotto in difficoltà, per poi rimanere in silenzio. Lui mi sorride, passandosi una mano fra i folti capelli castani.
«Di solito non mi piace far entrare le persone nella mia stanza, perché in fondo questo è un po' il mio mondo» mi racconta Ben, tenendo stretta a se la sua chitarra.
«E perché hai fatto entrare me?» chiedo a mia volta, 'sta volta guardandolo negli occhi.
«Non lo so, l'ho fatto spontaneamente. Semplicemente mi sentivo di farlo» mi risponde, alzando leggermente le spalle. Restiamo in silenzio ed io continuo a fissare le mie gambe.
«Mi fa piacere che tu sia qui» dice ad un certo punto, guardandomi negli occhi, prima di indicare la mia custodia della chitarra e chiedermi se mi va di iniziare. Io sorrido per il suo commento, poi annuisco. Mi sento un po' in imbarazzo, ma ammetto che le parole del ragazzo mi rendono particolarmente felice ed entusiasta. Di solito non credo cambi molto alle persone, se io ci sia o meno. Credo di essere un optional, un di più di cui si può far a meno. Ma in questo momento no, non penso così, anzi, tutt'altro.
Lui mi inizia a parlare dello strumento che abbiamo fra le mani ed io lo ascolto, incantata, lo ammetto. È bello sentir parlare qualcuno di qualcosa che ama. Poi si avvicina con il suo viso al mio, guardandomi attentamente. Mi poggia le mani sulle braccia e mi sistema la chitarra, sfiorandomi le mani per sistemarle nei punti giusti. Io non parlo, l'osservo soltanto, in silenzio. Gli occhi del ragazzo sono poggiati su di me, mentre mi mostra cosa devo fare con le dita. Il suo tocco su di me e successivamente sulla sua chitarra è delicato, dolce ed io non riesco a non fissare e seguire ogni suo movimento, ogni minima cosa che fa. Poi inizia a far fare a me alcuni esercizi, per farmi comprendere meglio ciò che mi sta spiegando. È bravo a farlo. Se non capisco qualcosa, lui mi prende piano le mani o le dita e mi fa capire cosa ho sbagliato, senza arroganza, ma solo con tanta passione. Forse solo ora, così vicino a lui, intento a fare ciò che ama, mi rendo conto di quanto lui sia davvero bello e non intendo solo fisicamente.
Lui c'ha sempre tenuto a mostrarmi la parte più buona, leale e bella di se, nonostante fondamentalmente io non fossi nessuno per lui e non avesse un reale motivo per farlo. Forse neanche lo meritavo, ma nonostante ciò, lui l'ha fatto, lui ha mostrato a me il suo meglio.
Quando la lezione finisce, a me dispiace e non riesco a fare a meno di ripetere tanti "grazie" a Ben. E non intendo grazie solamente per la lezione, ma per tutto: per essersi sforzato di capirmi, di non avermi mai trattato male, di non avermi mai lasciato andare, nonostante io con lui non mi sia comportata nei migliori di modi. Lo ringrazio per tanti motivi, ma lui non lo saprà mai, saprà soltanto che l'ho ringraziato per la lezione di chitarra.
«Figurati, è un piacere. Sei anche un'ottima alunna» mi risponde lui ridendo e facendomi un occhiolino.
«Ci vediamo venerdì?» aggiunge subito dopo ed io annuisco. Mon vedo l'ora sia la settimana prossima, per la prossima lezione di chitarra insieme a lui. Dopo aver recuperato il mio giubbino, la custodia con la chitarra e la borsa, saluto Ben ed esco da casa sua, felice e soddisfatta, nonostante tornando a casa io mi ricordi di avere decisamente troppi compiti da fare, ma al momento non me ne importa davvero nulla. Sono felice.

Come Un Fulmine A Ciel Sereno. |Benji e Fede|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora