Sesto capitolo.

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Federico's pov.
Abbiamo mangiato tanto, mi sento parecchio pieno e probabilmente potrei rotolare invece di camminare. Non farebbe grande differenza in fondo, suvvia.
Io ed i ragazzi stiamo decidendo un posto dove andare a ballare tutti insieme, o meglio, Stefano ci ha informato di conoscere un posto carino e quindi tutti lo stiamo seguendo.
Ben per fortuna sembra essersi ripreso un po' da questi due giorni in cui è stato particolarmente silenzioso, pensieroso e facilmente irritabile. Probabilmente però si è ripreso anche grazie alle birrette di troppo che ha già bevuto a stomaco quasi vuoto. Per ora è soltanto un po' brillo e sta iniziando a fare battute veramente imbarazzanti e squallide -non che da sobrio queste non le faccia-, ma nonostante queste non siano per niente divertenti, io rido per non offenderlo, anche perché inizierebbe a lamentarsi.
Ho messaggiato quasi tutta la serata con Francesca, nonostante io abbia fatto l'asociale con i miei amici. Ma in fondo conosco questi ultimi e avrebbero fatto sicuramente altrettanto. Io e lei abbiamo parlato di praticamente qualunque cosa, senza crearci più di tanto il problema di risultare stupidi, cosa rara, perché personalmente ho sempre paura di risultare un ragazzo idiota e immaturo. Non sono certamente un uomo vissuto, ma ho un certo bagaglio di esperienze, positive e negative, che mi hanno insegnato a crescere e a non dare nulla per scontato. Perché spesso quando meno te l'aspetti, ti verrà a mancare qualcosa di prezioso, nonostante pensassi che questa non l'avresti persa mai. Dobbiamo utilizzare ogni attimo, secondo, minuto con chi amiamo, non dobbiamo sprecare quella cosa preziosa che è il tempo.
Quindi dicevo, io e la bionda abbiamo semplicemente portato avanti la conversazione il più possibile, siamo stati noi stessi, o almeno io lo sono stato. Certo, non mi piace parlare soltanto a telefono, preferisco viverla da vicino una persona, ma per dare il via a questa conoscenza, i messaggi possono andare bene. In fondo sentirsi al telefono può togliere parte dell'imbarazzo iniziale che ci sarebbe da vicino e quindi non è così negativo, l'importante è non basarsi solo sull'aggeggio telefonico.
Però quello che si trasmette da vicino, guardandosi, sfiorandosi, non potrà mai essere sostituito da alcune parole scritte su uno schermo illuminato.
La tecnologia avvicina, ma troppo spesso allontana anche le persone, purtroppo.
Ed il calore di un abbraccio dato dalla persona giusta, non potrà mai essere sostituito da un messaggio o da un'emoji.
I baci poi, quelli dati con il cuore che batte all'impazzata, quelli lenti, quelli desiderati, come li puoi dare dallo schermo del cellulare?
"Stasera mi sbronzo io! A dopooo" scrivo a Fran, aggiungendo due faccine che ridono e una con la birra, per poi infilare il cellulare nella tasca dei pantaloni con la speranza di non perderlo.
Entriamo nel locale scarsamente illuminato, dove in pista già ci sono coppie che si strusciano e gente che balla in modo strano e poco sobrio. Ci uniamo a questi ultimi, dopo aver bevuto i primi drink colorati. Man mano mi sento più leggero, libero e spensierato. Urlo, rido, ballo e sto per inciampare su di un ragazzo impegnato a baciare una tipa. Mi scuso, per poi scoppiare a ridere e raggiungere nuovamente i miei amici. Delle ragazze ci ballano attorno, ci guardano e si avvicinano a noi. Una di loro mi prende per mano e balla con me, ma siamo entrambi completamente sbronzi, quindi ci perdiamo poco dopo. Il tempo passa e noi continuiamo a bere, siamo uno più ubriaco dell'altro. Chissà come torneremo a casa, visto che stiamo messi male. Forse qualcuno è sobrio e io non me ne rendo conto?
Non riesco a capire e sentire niente. Forse i miei amici Mi stanno chiamando, ma non ne sono sicuro. Forse stanno solo cantando con le braccia alzate, come per mettere in scena una danza della pioggia. Che poi non capisco perché debba esistere solo la danza della pioggia e non quella del vento, del sole o dell'arcobaleno. Un giorno magari inventerò queste ultime, perché anche loro si meritano un balletto. Se mi chiamassi "Sole" e non avessi una danza dedicata a me, probabilmente mi offendersi e non poco. Credo di star iniziando a dubitare anche di chiamarmi Federico. Magari mi chiamo veramente Sole ed è per questo che sto prendendo sul personale questa questione della pioggia. No dai, almeno il mio nome lo ricordo. Anche se sarebbe figo chiamarsi Sole, o Arcobaleno. Magari chiamerò così i miei figli.
Guardo le mie mani e credo di avere un mignolo in più alla mano destra, o forse è quella sinistra. Non mi ricordo. La mano destra è quella con cui scrivo, ma ora non ho una penna per scrivere, quindi resterò con il dubbio. Ma poi perché si chiama penna? Boh.
Mi siedo su uno dei divanetti in pelle scura del locale, poggiando la testa al muro freddo. È così bello il freddo in questo momento, perché ho davvero caldo. Sto sudando ed ho mal di testa. Mi sa che resteró qua vicono al muro per sempre, perché si sta davvero molto bene.
Ben si siede accanto a me, poggiandomi con la testa sulla mia spalla. Ha i capelli bagnati che gli ricadono davanti gli occhi e sembra essere stanco. Non sembra stare tanto ben... quindi non sta se stesso.
«Tutto te?» gli domando scoppiando a ridere come un deficiente. Lui grugnisce e mi manda a fanculo, anche se non credo abbia capito la mia battuta e quindi ci resto male e metto il broncio. Era divertentissima la mia battuta e lui non l'ha capita. Ora non gli parlo più.
Restiamo seduti lì per un po', stanchi e con i piedi doloranti, con la musica che ci rimbomba nelle orecchie e i vestiti umidicci che ci si incollano alla schiena.
Riccardo si avvicina e ci scruta attentamente, poi ci aiuta ad alzarci e ci porta fuori dal locale. Fuori fa freddo ed io non ho la giacca. Per la strada non c'è nessuno e inizio a pensare che il nostro amico ci voglia picchiare, ma poco dopo scopro che in realtà ci ha chiamato un taxi per tornare a casa. Forse è sobrio, lui. Torniamo a casa poco più tardi e io non ho idea di che ora sia, so solo che ci ho impiegato veramente tantissimo per aprire la serratura della porta d'ingresso. Mi fiondo sul divano con il cellulare fra le mani, anche se non riesco a leggere nulla di ciò che ci è scritto sopra perché continua a muoversi da solo. Credo che il mio cellulare stia prendendo vita e mi voglia uccidere. Ho paura.
Chiamo Ben, ma lui è chiuso in bagno, probabilmente a rimettere e quindi non mi risponde. Sono solo con il mio cellulare vivo.
Dopo circa 20 minuti riesco a sbloccarlo e mi collego al Wi-Fi con non poca difficoltà.
Mi ritrovo gli amici che parlano sul nostro gruppo, ma stanno scrivendo cose senza senso. O forse sono io che non capisco. Credo che la seconda opzione sia più probabile della prima.
Trovo anche un messaggio di Fran, che in realtà ha solo risposto a ciò che le ho scritto in precedenza.
«A podo» leggo ad alta voce, aggrottando le sopracciglia. Credo sia un "a dopo', ma non ne sono particolarmente sicuro.
Inizio a farle una registrazione vocale in cui le spiego il resto della serata che ho passato e non so come finisco per parlare di piccole ranocchio sopra ad un armadio. Rido di nuovo e intanto Ben si affaccia nel salone e mi guarda confuso. Credo che gli sia passata la sbronza o almeno questo sta accadendo, perché noto sia abbastanza lucido.
«Buonanotte» mi dice abbozzando un sorriso, dopo avermi chiesto se mi serva qualcosa e dopo aver ricevuto un mio "no, grazie" come risposta. Sembra che io abbia bisogno di un aiuto? Forse si.
«Ora quello ubriaco è il sottoscritto! O il soprascritto? Perché si dice "sottoscritto"? Non so. Comunque ora mi abbracci tu? Sono Olaf e amo i caldi abbracci!» dico alla bionda in una seconda registrazione, per poi ridere di nuovo.
Sono veramente andato. Non nel senso che sono partito, ma nel senso che... lasciamo perdere.
Cerco di alzarmi per andare nel mio adorato letto, per abbracciarlo e promettergli eterno amore, ma cado a terra ed abbraccio soltanto il pavimento, prima di addormentarmi.

Come Un Fulmine A Ciel Sereno. |Benji e Fede|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora