Cinquantaduesimo capitolo.

24 3 0
                                    

Benjamin's pov.
Sposto la tenda della camera d'albergo dove passerò con la mia ragazza la prossima settimana e davanti a me, vedo la città dei miei, dei nostri sogni.
Che spettacolo.
Ho preso la camera di uno degli ultimi piani di questo altissimo grattacielo e così facendo, davanti a noi, l'intera città, illuminata a giorno, si estende.
Ormai è già sera e nonostante la stanchezza accumulata durante il viaggio, io e Rob non vogliamo proprio rinunciare ad uscire e iniziare a conoscere la città.
Mentre arrivavamo in albergo, sfrecciando in uno dei tantissimi taxi gialli della città, mi sono concentrato molto sull'espressione della mia ragazza, che era un mix di incredulità e felicità. Non credo dimenticherò mai questa sua espressione e quanto le sia stata bene in volto.
Nella mia testa rinnovo la promessa di cercare di renderla sempre il più felice possibile.
Ormai questo mese è andato, abbiamo sofferto entrambi tantissimo ed ora ci meritiamo un bel po' di relax e amore.

«Allora mi preparo velocemente ed usciamo?» mi chiede la mia ragazza, scavando nella sua valigia enorme e rossa alla ricerca di ciò che le serve.
Io annuisco, consapevole che il suo "velocemente" equivalga a quello di Federico, che è più lento di un bradipo a prepararsi.
Strano pensare che non lo vedrò per tanti giorni, vivendoci assieme e avendolo fra le scatole tutti i momenti. Forse un poco sentirò la sua mancanza.

Mentre aspetto che la mia ragazza si prepari, decido anche io cosa indossare.
Entro nel bagno solo perché lei decide di truccarsi in camera, davanti al grande specchio posto contro il muro. Per fortuna anche, aggiungerei, se no sarei rimasto ad aspettare per secoli senza potermi dare una rinfrescata.

Una volta uscito, lei è quasi pronta e mentre si mette gli orecchini, decido di abbracciarla da dietro e stamparle un bacio sulle spalla scoperta e poi sul collo, dicendole che queste piccole cose, mi siano mancate tremendamente.
Lei poggia le mani sulle mie e mi sussurra che gli sia mancato tutto di me, poi si gira e mi stampa un bacio sul naso, dopo il quale, dice fieramente che è il momento di uscire.
Mi accorgo solo nell'ascensore dell'hotel che ho il naso sporco di rossetto.
«Mi aiuti a pulirmi?» le chiedo, sfiorandole i fianchi con le mani.
«Ma guarda, secondo me, stai benissimo anche così. Sembri uno che ha il raffreddore» risponde lei a sua volta, facendomi mettere il broncio.
Ride e finalmente mi aiuta, mentre la ammiro probabilmente con uno sguardo da ebete.
Forse dovrei veramente riprendermi, ma non riesco.
Mi sento come i primi giorni in cui ci siamo messi assieme, quelli durante il quale non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso neanche per mezzo secondo. Non che poi nei mesi successivi questa cosa sia cambiata poi così tanto, ma i primi mesi, sono incredibili sotto questo punto di vista.

Una volta usciti dall'albergo mi viene spontaneo circondare la schiena e i fianchi della mia ragazza con un braccio, anche perché fra pochi passi ci ritroveremo in mezzo alla folla Newyorkese del centro.
«Hai paura che qualcuno mi rapisca?» mi domanda lei, muovendo i capelli e facendomeli finire in faccia.
«Direi di sì. Ora che ti ho ritrovata, non posso permettermi di perderti di nuovo» le rispondo io, baciandole una guancia. Forse stasera sono un po' troppo sdolcinato.
Lei nuovamente mi sorride e mi prende la mano con dolcezza, mentre veniamo veramente risucchiati dalla folla.
Davanti a noi, persone di ogni tipo che velocemente si spostano da una parte all'altra della strada, chiacchierando fra loro.
Accanto al marciapiede tantissime macchine che sfrecciano in questa notte illuminata.
In momenti come questi non posso far a meno di spostare lo sguardo da una parte all'altra, attratto dalle luci, dai colori e dai rumori della città.
Se mi fermassi solo un minuto per appuntarmi qualcosa, probabilmente avrei canzoni assicurate per i prossimi 7 anni e non sto scherzando.

«No ma non è possibile che siamo veramente qui» balbetta Rob al mio fianco, con il naso vero il cielo e gli occhi spalancati. Posso capire ciò che prova in questo momento.
Io non credo ancora neanche al fatto che mi abbia perdonato, perché ho vissuto per troppo tempo con il terrore di perderla completamente, per colpa di terzi.
Fra uno sguardo stupito e tante, tantissime fotografie, decidiamo un posto dove cenare.
Questa cena la passiamo a decidere per lo più un itinerario da seguire nei prossimi giorni, anche se non è per niente facile, perché qui ci sono tantissime, troppe cose da vedere.
«Il primo posto però lo decido io e tu non lo puoi sapere» la informo, addentando il mio panino. Mi sa che sopravviveremo ad hamburger, qui.
Lei mi guarda piuttosto perplessa ed io le rispondo con un sorriso.
«Dimmelo, dai» mi incoraggia, ma io sono irremovibile e faccio "no" con la testa.

Voglio realizzare uno dei suoi sogni più grandi che mi ha confidato una delle prime volte che siamo usciti: vedere la Notte Stellata di Van Gogh.
Domani, il primo posto dove andremo sarà quindi il MoMA, dove il dipinto è conservato.
Che poi io in primis sono un appassionato di arte, quindi penso che a prescindere sarei andato lì prima di andare in qualunque altro posto.
«Non ti sopporto» borbotta lei, poggiandosi il viso sulle mani.
«Invece mi ami» rispondo io, prendendo il portafogli e andando verso la cassa per pagare il conto.
Una volta fuori, mi tiene ancora il broncio, che bacio prima di riprendere a camminare.
Mano nella mano, torniamo in hotel.

Come Un Fulmine A Ciel Sereno. |Benji e Fede|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora