Sessantaduesimo capitolo.

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Francesca's pov.

Dopo aver passato questi primi giorni senza di lui, penso di aver fatto una stronzata, una grande ed immensa stronzata, di cui so mi pentirò per sempre.
Ma non lo ammetterò, non sta volta.
Fingo, dicendo a tutti che ancora sono convinta della mia scelta, della mia decisione e di quello che ho pensato, per non ammettere che sono una stupida che delle scelte giuste, non le sa prendere e probabilmente non le prenderà mai.
E poi, se anche ammettessi di aver sbagliato, non potrei far nulla per riparare al danno fanno.
Ho lasciato Federico, facendolo soffrire, perché so di averlo fatto e non avrei mai il coraggio di presentarmi da lui, dopo tutto quello che gli ho fatto.
No, ora non sono più la sua ragazza e lui ha la possibilità di trovare la persona giusta.
Qualcuna di bella, simpatica e dolce, che lo faccia star bene e lo faccia sorridere sempre, qualcuna che si meriti davvero le sue coccole, i suoi baci e i suoi abbracci.
Qualcuna di migliore, molto migliore di me.
Non ci vuole niente a farlo.
Sono tutte migliori di me, l'ho sempre pensato e sempre lo farò.

Mi siedo sul mio letto, pensando a quante volte lui mi abbia cercato di convincere del contrario, dicendomi di volere solo me accanto, dicendomi che mi amasse e che vedesse in me, il suo futuro.
Penso inevitabilmente al primo giorno in cui sono stata da lui, mentre i nostri migliori amici erano a New York. Quel momento in cui, ancora una volta, io mi sminuivo e lui mi sosteneva.
Ora chissà se lo farebbe.
Probabilmente sì, perché è la persona più buona e pura che io conosca.
E l'ho lasciato, perché ho pensato solo a me.
No, non me lo perdonerò mai e se prima mi sminuivo, ora mi odio.

Mi odio anche perché sto facendo preoccupare tutti quelli che mi stanno intorno, che mi vedono star male, piangere, fissare il vuoto, inerme.
Mi dicono tutti che posso ancora riparare al danno fatto, ma io in cuor mio, so che non posso.
Se pure per qualche oscuro motivo Federico mi perdonasse, non mi perdonerei mai di averlo fatto soffrire, di averlo fatto piangere e di avergli sicuramente insinuato tanti dubbi nella mente.
Perché so che lui, ora, si sta chiedendo cosa ha sbagliato e perché siamo arrivati a questo.
Ma la verità è che la colpa è solo mia, mia e nessun altro.

Prendo un respiro, rispondendo al mio cellulare.
È Rob, che senza neanche darmi il tempo di dire "ciao", mi blocca, dicendomi che stia venendo da me.
Una dozzina di minuti dopo, una testa riccia fa capolino nella mia stanza, dicendomi che stasera vuole uscire e passare un po' di tempo con me.
In questi giorni, so che sta soffrendo pure lei, tanto.
Perché si sta dividendo fra Ben e me.
Ben, perché sta andando e tornando da città di tutta l'Italia a causa degli Instore.
E me, perché lei si sente in dovere di starmi accanto in questi giorni così difficili.
Le sto ripetendo che non c'è bisogno, che non me lo merito, ma lei non vuole sapere nulla, non mi ascolta e ogni giorno passa a trovarmi, rimanendo con me per qualche ora, mentre vediamo un film, una serie tv o qualcos'altro.
Ogni volta però, mi domanda se sono convinta della mia decisione.
Ed io ogni volta o le mento, dicendole di sì, oppure resto zitta, senza dire nulla, fissando il vuoto, pensando a quanto io sia stupida e non meriti nulla.

«Ora andiamo a fare un po' di shopping. Fra un po' inizieremo l'università ed io devo comprare cose da usare, sia di cartoleria, sia di vestiti. Quindi muoviti a prepararti» borbotta con le mani sui fianchi.
In realtà anche io ne avrei bisogno e poi, io amo gli oggetti di cancelleria e se fosse per me, ne comprerei quotidianamente.
In bagno mi lavo e vesto velocemente, per poi tornare in camera mia, cercando una felpa da mettere. Scavo nell'armadio e un profumo, che non è il mio, mi arriva al naso.
Fra le mani mi ritrovo un maglione, Il maglione di Federico.
È un semplice e morbidissimo maglione bianco a collo alto che come sempre, ho rubato a quello che ormai è il mio ex ragazzo. In realtà, è stato lui a lasciarmelo, dopo avermi detto che era uno dei suoi maglioni preferiti, ma gli piaceva molto come mi stesse.
«Ti vuoi muovere, lentona?» esclama la mia migliore amica con tono scherzoso.
Mi fissa e appena vede il maglione su cui il mio sguardo è posato da un tempo indefinito, si morde il labbro inferiore e si scusa per me.
Non so per cosa si stia scusando, ma in ogni caso, le dico che non c'è bisogno.
Indosso il morbido maglione e trattenendo le lacrime, prendo la borsa.
«Andiamo» sussurro.
Lei mi dedica uno sguardo, ma non commenta, non mi dice niente ed io credo che sia meglio così. Non saprei che dirle, se non che mi manca. E no, non posso ammetterlo, né a me né a nessun altro.

Il pomeriggio passa bene ed io per un po', posso ritenermi davvero più tranquilla.
Ho quaderni ed evidenziatori, oltre che due bellissimi maglioni colorati.
Mi vesto sempre di nero, ma questa volta ho voluto dare uno strappo alla regola ed ho comprato un maglione rosa chiaro ed uno color senape.
Tutto va piuttosto bene, finché non mi blocco in mezzo alla strada.
Davanti a me, un ragazzo identico a Federico, intento a baciare una ragazza dai lunghi capelli castani.
Il mio cuore inizia a battere più veloce e non riesco a tornare al battito normale finché le due persone davanti a me, non si staccano.
Il ragazzo non è Lui.
E mi rendo conto che se pure fosse stato Federico quello davanti a me, non avrei potuto dire o fare niente, perché ormai non è più mio.

Federico's pov.
Sono ancora suo.
Nonostante la rabbia di questi giorni, la tristezza e la sofferenza, io sono suo e probabilmente lo sarò per sempre.
Non riesco a non pensarla.
Non riesco a non pensarci, a tutto quello che è successo.
Non so neanche Perché sia successo.
Che ho fatto di sbagliato?
Credevo stesse bene con me, credevo di renderla felice, ma evidentemente così non è stato, o comunque, non abbastanza.
Forse dovrei smetterla di piangermi addosso, cercare di superare questa fase ed accettare che evidentemente non mi amava più, se mi ha lasciato. Forse non mi amava abbastanza.
Voglio anche convincermi di ciò, ma come faccio? Come faccio a credere ciò, se quando mi guardava, mi sentivo l'uomo più fortunato ed amato del mondo?
Forse non l'ho mai detto a qualcuno, ma mi sono sentito sempre così.
È difficile da spiegare, ma ci sono rapporti che vanno ben oltre le solite e classiche cose da fidanzati. Con lei mi sentivo finalmente libero di essere me stesso, con pregi e difetti. Sentivo di potermi aprire al 100% ed ora, ho perso tutto.
Forse mi sarei potuto accontentare del rimanergli un semplice amico, illudendomi che quel tipo di rapporto, di fiducia e complicità, sarebbe rimasto.
Ma per come ci siamo lasciati, dubito ci possa essere la possibilità di un'amicizia.

«Scusate» dico ai miei compagni di band, dopo essermi nuovamente bloccato, durante le prove del nostro primo concerto.
In questi giorni stiamo provando in studio di registrazione tutta la scaletta, per decidere effettivamente se vada bene così o debba subire delle modifiche.
Lo potremmo capire, se non dimenticassi in continuazione le parole delle mie stesse canzoni.
O meglio, sono distratto, molto distratto e non riesco a concentrarmi.
I ragazzi cercano di non darlo a vedere, ma so che questo mio atteggiamento non gli sta piacendo per niente e in fondo, come dargli torto.
Probabilmente pensano che io sia un bambino e forse, hanno ragione.

Decidiamo di fare una paura di una decina di minuti, o meglio, sono i ragazzi a proporla, vedendomi con la mente altrove.
Mi siedo sul divanetto della sala, mentre gli altri escono.
Tutti, tranne Ben, che mi dedica uno sguardo preoccupato.
«Lo so, sono un coglione» borbotto stanco, chiudendo gli occhi e tirandomi le punte dei capelli.
«Non potrei mai pensarla così, anzi, sono probabilmente la persona che più ti può capire» dice con calma, per poi sedersi accanto a me.
«Però se ti posso dare un consiglio: hai bisogno di un modo per sfogare» aggiunge tranquillo.
Non riesco a guardarlo, visto che ho ancora gli occhi chiusi, ma son sicuro che lui stia guardando me.
«Non so come, ma devi assolutamente farlo. Non puoi tenerti tutto dentro. Urla, piangi, prendi a pugni qualcosa, ma non diventare una bomba ad orologeria, perché puoi accumulare ed accumulare, ma poi, prima o poi, scoppi» mi avverte con voce roca.
«È complicato» borbotto, mordendomi il labbro inferiore.

«Lo so, ma è molto più complicato recuperare tutti i tuoi pezzetti, una volta che sei andato in frantumi» mi risponde lui con la solita naturalezza.
In effetti, penso sia veramente l'unica persona al momento che mi possa capire veramente bene ed apprezzo il fatto che, nonostante siano giorni No, provi ad aiutarmi.
Poi si alza e mi lascia solo.
Forse sì, forse ho bisogno di sfogarmi in qualche modo.
In fondo, tante persone si lasciano. E sì, stanno male, ma poi si riprendono.
Devo solo capire come fare.

Quando riprendiamo le prove, sono un po' meno disastrose di prima, nonostante la mia mente non sia ancora per niente libera.

Stasera, sono l'ultimo a tornare a casa.
Tutti gli altri se ne sono andati poiché avevano altri impegni ed ho io il compito di chiudere tutto. Lo faccio velocemente poi, mi ritrovo in strada.
Piove, anche piuttosto forte ed io ovviamente, sono senza ombrello.
Ho due opzioni: correre verso la mia auto, il più veloce possibile, oppure ritornare in studio di registrazione ed aspettare che la pioggia diminuisca.
Alla fine, non faccio nessuna delle due cose: cammino lentamente per la strada, mentre i miei vestiti si infradiciano sempre di più.
Non mi interessa per niente.
Con le mani nelle tasche del giubbino, arrivo in auto, mi ci sistemo dentro e resto fermo, a guardare davanti a me, mentre i capelli bagnati mi finiscono davanti agli occhi.
Piango, ma solo un po'.

Quando smetto, mi sento incredibilmente più leggero.
Bene non sto, questo è sicuro, però mi sento almeno più rilassato.
Forse sono pronto a ricominciare, a riprendere la mia vita fra le mani, dopo questi giorni di crisi.
O almeno, lo spero. 


Come Un Fulmine A Ciel Sereno. |Benji e Fede|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora