Le mosche

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La casa era vecchia.

Le pareti erano in legno e odoravano di putrido, e la sensazione predominante all'interno era quella di una calda, asfissiante umidità. Le mosche volavano impazzite e isteriche tagliando quella bolla di calore in mille parti, accompagnate da una quantità enorme di moscerini e zanzare.

La semioscurità in cui Scarlett si doveva muovere le impediva di capire se fosse giorno o notte, ma dalle fessure sulle pareti filtrava debole un filo di luce morente, così lei pensò che il pomeriggio stesse volgendo al termine.

Faceva fatica a respirare. I polmoni le si riempivano di... di umido, e quell'odore di marcio diventava via via sempre più forte, come se si stesse avvicinando a qualcosa che era morto da tanto, tanto tempo.

Le mosche sembravano diventare sempre più numerose, ma come era possibile che fossero così tante, e tutte insieme?

Oh, sì, bambina. È possibile. Non ti devono spaventare. Non ti faranno niente. Vai avanti. Vai sempre avanti. Perché è così che deve cominciare, non è vero?

E allora Scarlett continuava a camminare attraverso quel buio che era marcio e puzzolente e asfissiante e bollente, mentre il cuore accelerava i battiti e le sue mani iniziavano a sudare intensamente.

Avanzava attraverso la tenebra fino a che non si ritrovava di fronte ad una porta accostata.

Non sarà chiusa. Sarà accostata. E questo è molto importante. Così sarai tu ad aprirla, bambina.

Zzz. Quel ronzio.

Zzz. Zzz. Zzzzzzzz.

Vi prego, fate in modo che smetta. Vi prego, vi prego, vi prego.

E invece... e invece aumentava.

Zzz.
Zzz.
Zzzzzzzzzz.

Quelle mosche. Non...

Apriva la porta forse per fuggire da loro, perché adesso le sembrava che quelle maledette fossero ancora di più, e ancora più veloci. Volavano ovunque e sì, era inevitabile. Si scontravano con lei, con il suo corpo. Le sentiva addosso, le percepiva così vicine. Sulla pelle.

Nella pelle. Si schiantavano sulle sue braccia, sulle sue mani. Poi sulle narici e sulle orecchie, e allora Scarlett incominciava a gridare. La porta principale di quella vecchia casa putrida si apriva e sulla soglia compariva qualcuno. Era alto e vestito di nero, e teneva le braccia incrociate. Scarlett lo guardava. O meglio, guardava dietro di lui. L'uscita. La fuga. Ma no, non sarebbe stato possibile. L'uomo la fissava senza dire nulla e poi richiudeva la porta. Allora Scarlett, la piccola Scarlett -perché era soltanto una bambina, non è vero? - camminava nella direzione opposta. Due, tre passi. E ancora ritrovava quella porta accostata. La spingeva lentamente, incapace di controllare la paura.
E in quel maledetto istante il ronzio delle mosche finiva per coprire tutto il resto. Il rumore del mondo non esisteva più. All'improvviso, anzi, il mondo stesso non esisteva più. Come papà e mamma. Come i giochi dell'infanzia. Come le bambole e le riviste da colorare e le matite profumate e le gomme e i temperini e le parole importanti della maestra di storia, la vecchia signora Kennett.

Non esisteva più nulla.

Soltanto le mosche, e infine...

Lei poteva vedere, finalmente.

Che cosa c'era oltre la porta?

Che cosa c'era in quella stanza?

Che cosa...

Che cosa...

Dei colpi secchi e rapidi, in sequenza. Uno, due, tre, quattro, cinque colpi. Sei, sette. Otto.
Ancora uno, forse. O due. Erano reali, eppure perché sembravano così... cosi lontani?

Signorina...

Signorina...

Chiamavano me? Chiamano me?

Che cosa c'è oltre la porta, signorina?

<<Servizio in camera, signorina.>>

Scarlett spalancò gli occhi.

Tremava.

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