Terrore

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Mick "il picchiatore" Freeman era turbato. Continuava a controllare l'orologio. I minuti scivolavano via nel silenzio della sera che si faceva sempre più buia e di George St. Maximilian continuava a non esserci traccia. L'aveva visto entrare da oltre un'ora nella CottonLab, e non era ancora uscito.

Che fosse passato da un'altra parte per tornare a casa? Impossibile: aveva parcheggiato la Jaguar subito oltre il cancello principale. E allora che cos'era successo? Quella calma piatta non era un buon segno, comunque la si volesse interpretare. Forse aveva semplicemente deciso di intrattenersi un po' più a lungo con l'amante di turno. Magari ne aveva trovata una particolarmente piacevole, chi poteva dirlo. O uno, dal momento che in quella fabbrica con lui erano entrati uomini, donne, transessuali, travestiti. Aveva gusti stravaganti, il vecchio George. Ma attardarsi così... la famiglia che cosa avrebbe pensato? Di certo aveva una storia di copertura salda, ben studiata, in grado di reggere contro ogni soffio di burrasca imprevisto. Eppure la situazione era anomala. Durante i precedenti appostamenti, Mick era stato quasi sempre anche testimone dell'arrivo del partner di St.Maximilian, ma non quella sera. Pensò che fosse già arrivato, che lo stesse già aspettando. In un certo senso, la sua ipotesi si sarebbe rivelata poi corretta.
Ma per il momento, continuava a non accadere nulla. Il piano di Mick era semplice e lineare ma in teoria molto efficace. Quando George St. Maximilian fosse stato sul punto di raggiungere la Jaguar, lui avrebbe acceso il motore della sua vecchia Ford e in pochi secondi gli avrebbe chiuso il passaggio. L'auto dell'uomo era parcheggiata nell'area interna della fabbrica, e per uscire avrebbe dovuto superare il cancello di metallo, grosso ma non tanto da permettergli di passare se davanti vi si fosse piazzata un'altra vettura. Così avrebbe fatto Mick. Gli avrebbe bloccato l'uscita, gli avrebbe puntato alla testa la Glock che aveva portato con sé e l'avrebbe costretto a montare sulla sua Ford. Il resto sarebbe stato molto semplice. Avrebbe fatto tutto restando dentro l'auto, così da non essere riconosciuto nel caso vi fossero telecamere che inquadravano quell'uscita, anche se ne dubitava. In ogni caso, aveva momentaneamente sostituto anche la targa della vettura con una falsa che si era procurato durante la settimana. Era un bel piano, davvero. Avrebbe potuto funzionare, anche e soprattutto perché da quelle parti non passava mai anima viva. Lui avrebbe caricato George; la prostituta -o chi fosse in sua compagnia - sarebbe uscita più tardi, come sempre, e addio, uomo del cotone.
Prima l'avrebbe fatto parlare, gli avrebbe fatto dire tutto ciò che sapeva su chiunque fosse al corrente di ciò che stava accendendo a Dark River e su chiunque ne facesse parte, e l'avrebbe fatto a costo di strappargli ad uno ad uno tutti i denti con la vecchia pinza arrugginita che teneva sotto il sedile. Naturalmente, l'avrebbe torturato anche dopo aver ascoltato ciò che avrebbe avuto da dire.
Poi l'avrebbe ucciso, avrebbe fatto passare il tutto per il suicidio di un uomo ricco e in realtà terribilmente depresso e infine avrebbe chiamato Rick. Avrebbe registrato la sua confessione, naturalmente.
Il suo messaggio d'addio al mondo.

Facile, lineare, perfetto.
Tranne che per il fatto che adesso era trascorsa un'altra mezz'ora e George ancora non si era visto. Non si era visto nessuno.

Così, Mick si stancò di aspettare.

Scese dalla Ford portando la Glock con sé. Si guardò intorno: silenzio e un buio soffocante che sembrava sempre più oscuro. Non una stella quella notte ad illuminare il cielo. Anche la luna aveva scelto di affacciarsi da qualche altra parte. Si respirava un'aria profumata che portava il cuore dell'estate con sé. Tuttavia, quella calma assoluta lo metteva a disagio.
Raggiunse il cancello d'ingresso della CottonLab e si guardò alle spalle. Niente, tutto fermo. Nulla anche di fronte a sé, oltre le sbarre. Poteva vedere chiaramente la Jaguar di George parcheggiata a mezza distanza tra il cancello e la porta d'accesso principale alla fabbrica. Non sarebbe potuto entrare da lì a meno che non fosse aperta, e ne dubitava. Ma c'era la scala antincendio. Si guardò intorno ancora una volta e poi si aggrappò al cancello. Con uno sforzo non indifferente portò tutto il proprio peso in cima, ricordandosi di quanto facile fosse fare una cosa del genere da ragazzino. Prima una gamba, poi l'altra, poi giù con un bel balzo.

Cadde a terra senza perdere l'equilibrio, e per una frazione di secondo ne fu sollevato. Sentiva il sudore colargli dalla fronte e i suoi sensi erano tesi come le corde di un violino. La CottonLab era una costruzione anomale, stramba, differente dalle altre fabbriche di cotone della Louisiana. Era stato proprio George St. Maximilian a disegnarla e chiedere che venisse costruita così: sembrava un gigantesco serpente grigio avvolto su se stesso. La base era dunque molto larga, ma via via che si saliva i piani tendevano a restringersi uno dopo l'altro, fino ad arrivare alla cima che sembrava un'unica grande capsula dalla quale spuntava un enorme tubo nero che puntava al cielo e dominava il mondo sottostante. Mick pensò, avvicinandosi, che lassù dovesse esserci uno degli uffici di George. Forse era proprio dall'alto che si divertiva a trascorrere i momenti in compagnia. Da una posizione di rilievo, di prestigio.
Cercò di liberare la mente da quei pensieri e di concentrarsi su ciò che stava facendo. Se George si fosse davvero trovato lassù e avesse per qualche ragione guardato verso il basso in quel momento, l'avrebbe visto e allora lui, con ogni probabilità, sarebbe morto o finito in carcere perdendo così ogni speranza di vendetta. Doveva restare concentrato e fare in fretta. Le gambe procedevano decise ma non doveva tradirsi, non doveva perdere lucidità.
Arrivò di fronte alla porta d'ingresso. Chiusa, naturalmente. Guardò in su, il serpente che si alzava in tutta la sua imponenza.
Nulla, buio totale.
Se dentro c'era qualcuno, le luci erano spente. Oppure, si trovava in un punto che i suoi occhi non potevano raggiungere. Fece rapidamente il giro dell'edificio, sperando in un accesso sul retro.

Andrebbe bene anche una finestra, maledizione. Una finestra. Un vetro. Qualsiasi cosa.

Ancora nulla. Sul retro c'era la porta dell'uscita d'emergenza, ma era serrata dall'interno. Restavano soltanto le scale antincendio sul lato est dell'edificio.

Mick le raggiunse e salì i gradini metallici cercando di non far rumore, fino ad arrivare al primo piano, pensando, anzi sperando che una volta in cima avrebbe trovato un modo per entrare.
Quando fu sul piccolo pianerottolo esterno, però, si fermò.

Che cos'è stato, Mick?
Qualcosa.
Qualcuno.
Un rumore.
Ma... non viene da qui.
Non da quassù.
Neanche da sotto.

E da dove diavolo...

Si voltò, guardandosi intorno. Di nuovo silenzio. Eppure era sicuro di aver sentito qualcosa. Guardò ancora e finalmente capì. Dalla strada non avrebbe potuto accorgersene perché sembrava un tutt'uno con l'edificio principale della fabbrica, e in un certo senso era così: c'era un secondo edificio che si trovava a pochi metri da quello principale. A guardare da lontano in quella direzione sarebbe sembrato un blocco unico. Ciò che lui ora stava guardando, invece, era un palazzo in costruzione, collegato alla fabbrica da una serie di ponteggi esterni. Sarebbe diventato un edificio solo, a lavori ultimati. Era da quella direzione che aveva sentito qualcosa.

Qualcosa di orribile, Mick. Di spaventoso.

Che cosa?

Era un grido.

Un grido disperato di terrore.

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