L'assassinio di Sue Greyson

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La stanza era spaziosa e buia.

Era davvero una stanza? Sembrava una... un'aula? Una palestra vuota, anche. O un magazzino, forse  inutilizzato da mesi o da anni. Eppure non era deserto, adesso.

C'erano delle persone, all'interno. Tre, magari quattro. Erano sedute su delle sedie disposte in circolo. In mezzo a loro c'era un tappeto.

E sembrava sporco, macchiato. Di... rosso.

Le persone parlavano sottovoce, scandendo le parole lentamente, una dopo l'altra. Erano vestite di scuro e si muovevano appena sulle sedie. Ogni loro gesto era essenziale, indispensabile.

E a ben vedere non erano soltanto tre o quattro. Erano di più, perché... perché il circolo che creavano continuava alle loro spalle. Due cerchi, uno dentro l'altro. Ecco che cosa andavano a formare.

E c'era qualcos'altro... qualcosa che sembrava fuori luogo, fuori posto; e che tuttavia lì dentro, in quel contesto, non era diverso da ciò che quegli stessi occhi adesso radunati tutti insieme già avevano visto, tante e tante altre volte in precedenza.

Era una ragazza. Giaceva a terra, sdraiata, nuda accanto al tappeto di fronte ai loro occhi.

Era viva.

<<Saranno arse le anime di coloro che non riusciranno a comprendere la grandezza di questa nostra opera. Nel dimenticatoio degli inferi potrà così bruciare il corpo di chi ha visto che ciò non avrebbe dovuto vedere, e di chi ha sentito ciò che non avrebbe dovuto sentire. Perché la nostra stirpe possa continuare a respirare indisturbata l'aria calda di questo nostro stato, e perché le nostre generazioni possano continuare a moltiplicarsi, oltre i limiti del tempo, nei giorni a venire.>>

L'uomo che parlava -e che sembrava parlare da solo ma che in realtà si rivolgeva agli altri- si alzò in piedi. Mosse il braccio verso l'alto, nella poca luce di quella semioscurità, e tanto fu sufficiente a far sì che qualcun altro alle sue spalle si alzasse e si avvicinasse alla ragazza distesa accanto al tappeto.

Quante volte era successo qualcosa di simile? Quante volte a Dark River, in passato? Adesso stava succedendo ancora.

Qualcuno porse un coltello alla persona incappucciata che intanto, a piedi scalzi, aveva raggiunto il tappeto.

La ragazza distesa accanto a lui aveva polsi e caviglie legate, e respirava a fatica. La bocca era chiusa dal nastro adesivo. Gli occhi, però, erano aperti. Sembravano implorare, gridare per una commiserazione e una pietà che negli occhi delle persone lì presenti non esistevano. Sibilava, fischiava, si sforzava perché sapeva che quelli sarebbero stati i suoi ultimi istanti di vita.

<<Lei avrà ciò che è giusto, e noi anche.>>

C'era uno specchio, su una delle quattro pareti. Rifletteva i volti mascherati dai cappucci dei presenti. Il nero che ricopriva i loro abiti era più di un colore. Era uno stato d'animo. Una scelta esistenziale. La declinazione di vite sempre e da sempre uguali soltanto a se stesse. Vite per cui tutto ciò che contava era l'appagamento di un bisogno primordiale, violento, feroce. Nascosto nell'ombra c'era un mondo estremo, nel quale loro si muovevano e si divertivano. Chi viveva alla luce del sole, invece, ne pagava le conseguenze. A volte le vittime erano persone adulte, che forse in qualche modo avevano avuto a che fare con le realtà di quel mondo oscuro. Ma altre volte, invece, a morire erano persone innocenti, candide, pure. Come Junet Sandman, il cui cadavere era stato rinvenuto il giorno precedente, non distante dalla zona di Compton Bassett. O come Sue Greyson, la ragazza sdraiata accanto al tappeto, che di lì a poco avrebbe ricevuto dodici coltellate. Due al cuore, cinque allo stomaco, tre alla gola e due alle braccia. Dodici, non undici e non tredici.

Dodici.

C'era una ragione per cui era stato stabilito che a morire sarebbero state proprio Sue Greyson e Junet Sandman. Le due ragazze erano cresciute insieme. Erano diventate amiche. Erano solite uscire con una terza ragazza, Eleonore Davenport,  figlia di Rick Davenport, detective della sezione omicidi di Dark River.

Eleonore però era ancora viva. Tra le mura della propria stanza era appena venuta a conoscenza della morte di Junet tramite le parole del padre. Chissà che cosa avrebbe pensato se avesse saputo che un destino identico a quello di Junet stava raggiungendo ora anche Sue Greyson.

Sarebbe scappata, probabilmente. Perché in cuor suo sarebbe stata certa che la morte di Sue e Junet non era stata causale.

Dove si erano recate loro tre, tutte assieme, durante i giorni precedenti?

Chi avevano incontrato?

L'uomo al centro della stanza parlò nuovamente, osservato in religioso silenzio da tutti gli altri.

<<Procedi>> disse, in un sussurro gelido.

E la lama del coltello che per dodici volte avrebbe trafitto il corpo esile di Sue Greyson cadde, preparandosi a toglierle la vita.

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