Trevor - nel sangue

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<<Vieni, piccolo bastardo. Adesso raggiungerai i tuoi amici. Non ti farò male, stai tranquillo. Ti taglierò soltanto quella gola. Ti caccerò via gli occhi, li metterò insieme agli altri. Ne abbiamo parecchi, ormai. È un segno di ciò che siamo, capisci.>>

L'uomo con il passamontagna parlava lentamente, godendosi ogni singola parola. Era come se gli piacesse dire ciò che stava dicendo.
Trevor sentiva le mani che tremavano dietro la schiena. Ma sapeva che doveva cercare ad ogni costo di mantenere il controllo, la calma. Non avrebbe avuto una seconda occasione. Se avesse fallito, sarebbe morto quella notte.

L'uomo gli si avvicinò e lui vide che in mano stingeva una specie di machete.

<<Ha una lama incredibile>> sussurrò, con voce roca. <<Devi vedere come taglia. Come penetra nella carne, oltre la pelle. Oh, ma lo vedrai. Devi avere paura. I tuoi amici ne hanno avuta, sai?>>

Ormai era a un passo da lui.

Sollevò il braccio, preparandosi a colpirlo alla gola.

E poi accadde ciò che non aveva previsto.

Trevor si piegò di scatto sulle ginocchia, lasciandosi cadere a terra con il corpo. Effettuò un giro completo sul dorso e poi, nonostante avesse i polsi legati, riuscì a colpire l'uomo ai tendini di entrambe le caviglie, prima una e poi l'altra. Il metallo della rete che il ragazzo era riuscito a strappare dal letto glieli tagliò di netto, facendolo cadere a terra. Gridò, ma nessuno se ne accorse. C'era troppa distanza tra lo scantinato e il pianoterra della villa. Trevor a quel punto afferrò il machete che il suo aggressore aveva lasciato scivolare e con un po' di fatica riuscì a liberarsi prima i polsi poi le caviglie.

<<Bastardo... morirai, bastardo... come tutti i tuoi amici...>>

Urlò, sperando che qualcuno potesse sentirlo.

Se fosse arrivato qualcun altro, non sarebbe mai riuscito a scappare. Così Trevor prese la propria decisione.

Affondò il machete nel petto del suo aguzzino, e spinse fino in fondo con tutta la forza e la rabbia che aveva dentro.

Gli strappò il passamontagna e lo guardò in viso. Non aveva idea di chi fosse, non l'aveva mai visto prima di allora a Dark River, o forse non se ne ricordava. Il cuore gli andava a mille.

<<Buona morte>> gli sussurrò infine, guardandolo dritto negli occhi per un'ultima volta. L'uomo si afflosciò e Trevor estrasse la lama, ora completamente sporca di sangue, dal suo petto.

In preda a un panico folle, furioso, uscì dallo scantinato e si guardò intorno. Era buio ovunque. Le eco che provenivano da sopra non erano svanite, così lasciò che fossero loro a guidarlo verso la direzione da imboccare. Sentiva il fiato cortissimo, la gola sempre più arida e la testa che pulsava. Era spaventato a morte; i piedi gli tremavano, così come il resto del corpo. Ebbe voglia di vomitare ma cercò di scacciare lontano quel pensiero. Percorse il corridoio che si stendeva parallelo alla cantina, verso ovest, perché le voci sembravano giungere da lì, e allora anche una via d'uscita sarebbe stata forse da quella parte.
Non aveva molto tempo: prima o poi qualcuno sarebbe sceso a verificare per quale ragione l'uomo che lui aveva ucciso non tornasse. Per sopravvivere, doveva giocare d'anticipo. Non esisteva un'altra soluzione.

Dopo diversi passi mossi nel buio, accompagnato da una valanga di immagini che avevano preso a popolargli la mente, all'improvviso Trevor scorse un debole spiraglio di luce. Proveniva dall'angolo che avrebbe incontrato alla fine del corridoio. Laggiù, c'erano degli scalini.

Ci siamo, pensò.

Camminò rasente la parete, senza mollare la presa sul machete insanguinato, ma stringendo anzi forse ancora di più. Raggiunse il punto in cui il vecchio muro che odorava di marcio e muffa e umidità girava ad angolo, e si trovò di fronte ad una rampa di scale. In cima, c'era una porta chiusa.

"Merda", pensò.

Senza perdere le speranze, incominciò a salire gli scalini, due alla volta.

Era quasi arrivato in cima quando sentì un rumore forte, assordante, come di qualcosa che cadeva a terra rompendosi. Vetro, forse. Poi un grido. La voce era femminile. Una ragazza, una donna. Qualcuno che era stato rapito, come lui, forse? Qualcuno dei suoi amici? Magari non erano morti, come aveva invece detto l'uomo che era sceso per ucciderlo.

Poi una voce ancora, maschile questa volta, seguita dal rumore di qualcos'altro che cadeva a terra, schiantandosi con un tonfo.

<<Maledetta troia! Sei morta, maledetta troia! Sei morta!>>

La voce era vicina.

Trevor non ci pensò due volte. Si fece forza e appoggiò la mano sulla maniglia della porta che aveva di fronte.

Sperò con tutto se stesso che non fosse chiusa a chiave.

Ruotò il polso e la porta si aprì.

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