Capitolo 26: Le anime non mentono mai

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Passò un'altra settimana, o forse due, o tre. Non mi importava, lì sotto non aveva senso tenere il conto del tempo.

Continuai a lavorare ciclicamente e, dato che io meno di tutti avevo il diritto di restare lì, non mi risparmiavo in quanto a fatica.

Cominciai a riconoscere qualche viso. La topolina atletica e con la pelliccia color caramello si chiamava Lydia e non si arrabbiava mai con nessuno.

La gatta era Lyli. Il gatto grigio, di venticinque anni, Res, la seguiva sempre con lo sguardo, ma lei pareva non accorgersene.

La madre con i due cuccioli si chiamava Trudy. I piccoli, Pingo e Pango, mi facevano una tenerezza incredibile, ma la cagna faceva in modo che non avessero alcun contatto con me. Come biasimarla?

Feci una più approfondita conoscenza di Memen, quando non si presentava ai pasti la andavo a trovare nella sua stanza, portandole qualcosa da mangiare.

Era triste vedere approssimarsi qualcuno alla morte, soprattutto quando sapevo che il cancro, per noi anime, era una malattia facilissima da curare.

Per quanto riguardava il lavoro, ero sempre accompagnato da Aaly, Vipera, Mantide, Po. Qualche volta addirittura da Scimmia e Gru.

Il lavoro era faticoso, ma imparai molte cose, oltre a coltivare e a preparare il pane. Ad esempio, imparai a cucinare la zuppa e a fabbricare quel sapone acido che ustionava le palme delle zampe.

Tigre era perennemente insieme a me e la cosa, invece di infastidirmi, cominciava a piacermi. Lei era spiritosa, sarcastica, forte, un vero incendio di passione. Ma sapeva anche essere innocente e ingenua come solo un'anima sa essere.

Non provò più a baciarmi, né mi toccava senza il mio consenso. Solo quella mattina accadde qualcosa di particolare fra noi.

Ero appena tornato dalla fabbricazione del sapone acido e le palme delle mie zampe dolevano da impazzire. Tigre se n'era accorta subito, nonostante avessi cercato di nasconderlo.

Mi aveva portato nella sua stanza e si era messa a cercare un unguento che, a detta sua, aiutava molto quando si aveva le zampe screpolate da quel maledetto sapone.

I suoi gesti erano stati delicati e gentili nello spalmarmi quell'olio ed io ero rimasto a guardarla, assorto.

I nostri sguardi si erano incontrati per rimanere poi uniti l''uno all'altro. Fu allora che Tigre si portò la mia zampa al viso.

Le sue labbra si posarono lievemente sulla carne alla base del palmo, sulle vene. I suoi occhi non avevano lasciato i miei.

Ero arrossito mentre un brivido di piacevole calore mi aveva invaso. Vedevo repressa nei suoi occhi la voglia che aveva di strattonarmi a sé e forse l'avrebbe anche fatto, se Oogway non fosse venuto a bussare alla nostra porta.

Sì, nostra. Tigre dormiva con me tutte le notti, sdraiata su quel maledetto tappetino. Più volte le avevo proposto di scambiarci di posto, implorandola quanto meno di fare a turni, ma lei si era sempre rifiutata.

Il suo fianco stava guarendo bene, ma a volte la sentivo lamentarsi nel sonno, soprattutto quando si voltava inconsciamente sopra di esso.

Fui lieto di scoprire che Gru e Scimmia, i quali avevano abbandonato le camere accanto alla nostra in segno di protesta per la mia presenza, avevano deciso di ritornarvi e di restarvi.

Rimaneva una stanza vuota, comunque, ed Oogway mi disse che gli occupanti ne stavano lontani perché avevano paura di me.

Risi sino alle lacrime. Ero un coniglietto in una tana di volpi e loro avevano paura di me?

Estate che ustiona il desertoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora