A tutti i genitori capita che prima o poi i figli chiedano "Mamma, papà, come vi siete conosciuti?" E anche se i genitori non lo danno a vedere, sono contenti di questa domanda, perché per loro è un'occasione per ripensare con nostalgia alla loro gi...
Batteria scarica. Quell'odioso segnale appare sullo schermo del mio telefono e sbuffo frustrata. Sono appena arrivata in quell'enorme città che è Milano e non posso avvisare il mio papà paranoico che tutto va bene: dopo un arrivo in ritardo di due ore per colpa della mobilità italiana, non posso nemmeno chiamarlo. Smetto di girarmi intorno e mi siedo su una panchina del parco in cui sono involontariamente entrata dato che mi sono persa. Controllo un'ultima volta lo schermo in attesa del miracolo che non avviene e mi prendo il viso tra le mani frustrata lasciando ricadere alcune ciocche dei miei capelli biondi davanti alla faccia. Mi sono trasferita a Milano, e perciò ho anche dei bagagli molto ingombranti, per frequentare qui l'università di medicina, ma non ho nemmeno il numero del ragazzo con cui ho parlato per l'appartamento in affitto. Dividerò l'appartamento con altre tre persone che non conosco, inoltre non so dove si trovi questo posto ma fortunatamente ho scritto l'indirizzo su un pezzo di carta. Ma questo non è il mio maggior problema, ora la prima preoccupazione è chiamare mio padre. Come un miraggio, un'oasi nel deserto, ma questa volta reale, vedo da lontano in fondo al parco una di quelle vecchie cabine telefoniche che con l'avvento degli smartphone tutti hanno dimenticato. Nel paese da cui vengo nelle Marche le hanno addirittura tolte, e mi sorprendo che qui a Milano ci siano ancora, spero solo che funzionino. Dopo aver trascinato la pesante valigia vicino ad essa, ci entro e con mia grande meraviglia vedo che funziona. Inserisco la moneta e digito il numero di mio padre che risponde dopo due squilli. "Papà sono arrivata." "Dio sia lodato! Non potevi chiamare prima?!" Urla contro il telefono e ho paura che questa cabina possa rompersi proprio ora. "Ho avuto degli imprevisti, prima il treno, poi il telefono, però sono arrivata...dopo ti..." la cornetta suona a vuoto e sul piccolo schermo c'è scritto che il mio tempo è finito. Com'è possibile? Inserisco un'altra moneta e ricompongo il numero, finirò i miei miseri risparmi con questo stupido telefono. "Papà sono sempre io." "Perché hai riattaccato?!" Urla di nuovo. "Non ho riattaccato, ti sto chiamando da una cabina telefonica." "Esistono ancora?" Domanda. "Si, altrimenti non ci starei telefonando. Ho poco tempo quindi smettila di chiacchierare: sono arrivata, ti chiamo quando trovo la casa." "Chiama Pietro, mi sta tempestando di chiamate da più di..." Tempo scaduto. Ma una volta faticavano davvero così tanto per chiamare qualcuno? Digito il numero del mio ragazzo spendendo altri soldi e lui risponde al primo squillo. "Pietro, volevo dirti che sono a Milano." "Oddio Gin, il tuo telefono è irraggiungibile e mi hai fatto preoccupare." "Sta tranquillo, amore. Si è solo scaricato, ora vado..." Tre colpi forti contro la vetrata della cabina mi fanno sobbalzare, mi volto e vedo che un ragazzo sta appoggiato ad esso e mi guarda torvo. "Sei lì dentro da una vita, ti vuoi muovere!" Urla per farsi sentire ed io gli dico di aspettate un attimo. "Dicevo...quando arrivo all'appartamento metto il telefono in carica e ti scrivo." Il ragazzo bussa nuovamente e questa volta lascio andare la cornetta e sbuffo girandomi verso di lui. Ha il volto così arrabbiato che mette paura, mi fissa con i suoi occhi marroni e non distoglie lo sguardo. "Puoi aspettare un secondo?" Apro poco la porta. "Ho già atteso abbastanza." Infila un braccio dentro e si fa spazio in quella minuscola cabina, poi prende la cornetta che ho in mano e dice a Pietro: "Ti richiama tra un attimo." Io non ho parole e resto a bocca aperta, si può essere così maleducati? "Ti sembra il modo?" Domando e lui si limita a guardarmi alzando un sopracciglio e continuando a tenere in bocca una sigaretta, cosa che odio. Inizia a digitare il numero ma io gli richiudo la cornetta e mi metto tra lui e il telefono. "Ti puoi spostare? Non ho tempo da perdere." Stringe le braccia al petto facendo risaltare i muscoli, crede di farmi paura? "C'ero prima io, appena finisco sarà il tuo turno." Lui sbuffa ruotando gli occhi al cielo e dice: "Nessuno usa queste cavolo di cabine, proprio oggi dovevi essermi d'intralcio?!" "Non è colpa mia se sono arrivata ora e ho il telefono scarico, spero solo che a Milano non siano tutti stronzi come te." Lui sorride maligno e poi, sempre con quel sorrisetto divertito, dice: "Bellezza, troverai di molto peggio." Poi aggiunge "E ora spostati." Con un braccio mi sposta in un angolo mentre lui chiama chi deve chiamare, una conversazione breve, di poche parole e pochi secondi, ma mi da fastidio la sua arroganza. "Arrivederci." Mi sorride falsamente per poi uscire ma, quando ormai è già troppo distante, gli urlo: "Sei un maleducato!" Ma sicuramente non mi ha sentito ed io mi sono stancata di spendere soldi, dovró iniziare a cercare il mio appartamento prima che faccia notte. Dopo aver chiesto informazioni a fin troppe persone che non conoscevano quella via, e dopo aver pensato che quell'appartamento in realtà non esistesse e mi avessero fregato, arrivo sotto quella che sarà la mia casa per i prossimi anni di studi. Suono all'appartamento dove c'è scritto il cognome Gismondi e mi aprono la porta, così entro ed inizio a salire le scale, dovrebbe essere al terzo piano. Ai miei passi lenti e felpati si contrappongono i pesanti passi, o meglio salti da un gradino all'altro, di un ragazzo alto e moro che sta scendendo le scale due o tre scalini alla volta. Si accorge troppo tardi che ci sono io sulle scale che cerco di trasportare le mie valigie perché, dimenticavo, non c'è un ascensore, e lui rischia di venirmi addosso ma si ferma giusto in tempo. "Ginevra?" Domanda alzando un sopracciglio e guardandomi dall'alto. "Si...tu sei?" "Filippo Notari, il proprietario dell'appartamento che forse stai cercando." Mi sorride mostrando i suoi denti bianchissimi, potrebbe fare quelle pubblicità del dentifricio. "In realtà l'appartamento dove devo andare è a nome di Gismondi." "Nah...quella è mia nonna, è morta l'anno scorso." "Scusami..." dico imbarazzata "Non volevo, cioè non sapevo..." "Tranquilla." Sorride dolcemente e poi scende qualche gradino sotto di me "Ora devo scappare, sono di fretta, ma sali al terzo piano fino all'appartamento in fondo al corridoio, suona, lì c'è Martina ad aspettarti." Annuisco lentamente e lo osservo mentre scende le scale di corsa, deve essere veramente in ritardo per qualcosa. Dopo dieci minuti riesco ad arrivare all'appartamento: ho fatto una sosta ogni cinque scalini perché non ce la facevo a portare la valigia e forse prima di affittare quest'appartamento avrei dovuto controllare la presenza dell'ascensore. Una volta arrivata alla porta giusta suono e subito una ragazza molto carina, con i capelli castani che le arrivano alle spalle e due occhioni nocciola, mi viene ad aprire. "Ciao! Tu devi essere Ginevra! Prego entra..." mi fa spazio e io entro seguita da quell'incubo che è la mia valigia. "Ho provato a chiamarti con il numero che mi ha dato Filippo ma non rispondevi..." "Scusa, si è scaricato..." mi giustifico e lei mi dice di non preoccuparmi. "Ti mostro la tua camera." Dice entusiasta facendomi strada. "La prima a destra è di Filippo, la mia è quella accanto alla sua e...ops! Non mi sono presentata! Sono Martina Chiarelli." Mi stringe la mano mentre io sono sorpresa da questa sua energia, spero che almeno di notte si tranquillizzi perché io ho bisogno di dormire. "Dicevo...questa è la mia, questa davanti sarà la tua ed infine la prima a sinistra è di Andrea, l'altro ragazzo che divide con noi l'appartamento, nonché mio cugino." Io annuisco e poi lei mi lascia esplorare la camera che è veramente carina, piccola ma carina. Le pareti sono colore crema, i mobili bianchi, c'è una piccola scrivania ma una grande libreria e questa cosa mi piace molto. "È davvero bella..." dico a Martina rientrando in cucina. "Si, forse è anche più bella della mia." Scherza lei. Si sente il rumore di una chiave nella serratura e poi la porta si apre facendo apparire la figura alta e snella di Filippo, seguita da quella di un altro ragazzo. "Ginevra, loro sono Filippo e Andrea." Martina mi presenta i ragazzi che purtroppo conosco entrambi. Non mi sorprende vedere Filippo che ho già conosciuto sulle scale, ma il ragazzo che lo segue, il cugino di Martina, è quel cafone della cabina telefonica. "Presentatevi..." ci incalza Martina ma io e Andrea ci stiamo fissando, nei suoi occhi c'è una sorta di disgusto. "Già ci conosciamo." Dice lui appoggiando le chiavi della macchina sul tavolo. "Davvero?" Dice sorpresa Martina. "L'hai messo in carica il telefono?" Dice ridendo lui, cos'ha da ridere? "A te invece la stronzaggine non si scarica mai, credo." Sputo aspra e Filippo mi guarda sorpreso mentre sul volto di Martina compare una risatina. "Cominciamo proprio male insomma." Dice lui non degnandomi di uno sguardo ma buttandosi sul divano. "Ordiniamo le pizze?" Propone Filippo per deviare il discorso ed io annuisco dicendo che ne voglio una con il salame piccante. Filippo così si allontana sul terrazzo per chiamare una pizzeria, Martina inizia ad apparecchiare ed io mi allontano per andare a farmi una doccia. "Ragazza..." mi richiamano in soggiorno e credo proprio che si riferiscano a me. Infatti quando torno di là vedo che è proprio Andrea che si rivolge a me. "Cosa?" Domando. "Come ti chiami?" "Ginevra Montalti." "Ginevra, ricordati di mettere in carica il telefono." Sorride arrogantemente ed io gli rivolgo un dito medio prima di allontanarmi.
Eccoci qua! Spero che mi seguirete nelle avventure di questi quattro pazzi...intanto ve li presento.
Lei è Ginevra, la nostra voce narrante.
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Lui è Filippo.
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Lui è Andrea.
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Lei è Martina.
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