CAPITOLO 3.2: Il capitano e la sua ragazza

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Io e Nicole stavamo ormai camminando da un paio di minuti fianco a fianco nel più completo silenzio. Silenzio che esisteva solo tra noi due visto che il campus era in pieno fermento con ragazzi che sfrecciavano da tutte le parti per arrivare in tempo. Dopo un po' decisi di riprendere la parola.

"Ci conoscevamo da diciassette anni. Tanti no?" dissi. Lei capì immediatamente e poi mi diede ragione con un cenno della testa rimanendo seria.

"Come mai avete litigato?" mi chiese subito, come se mi avesse voluto fare questa domanda prima ma non ne avesse avuto il modo.

"Magari avessimo litigato. Hai presente un'amicizia che va avanti solo perché farebbe più male chiuderla? Quelli siamo stati noi negli ultimi quattro mesi" le dissi guardando avanti.

"Quattro mesi sono tanti" constatò.

"Già. Ma non potevamo andare avanti così, per questo stamani abbiamo chiuso. Non dopo quello che era successo. Poi il football, la pressione della scuola, mio padre. Oakland non aveva più posto per me, e io non volevo restare in una città che non mi voleva. Tanto nemmeno io la volevo più, o almeno era quello che mi ripetevo. Ho passato tutta la mia vita a Oakland. Non mi allontanavo mai, e quando lo facevo, volevo tornare indietro. Pensavo che la mia vita fosse lì. Ma poi ho aperto gli occhi e ho capito che la mia vita è dove sono io, non in un posto. Mia mamma me lo aveva sempre detto che il mondo è grande e che non mi sarei dovuto fermare al nostro piccolo quartiere, ma io avevo sempre pensato che lì ci fosse tutto quello di cui avevo bisogno, e non mi era mai neanche passato per la testa di guardare oltre le mura di casa mia. Ma il troppo stroppia e quindi eccomi qua" le dissi nel completo silenzio del parco, in cui non avevo neanche fatto caso al fatto che ci fossimo dentro. 

Mi sentii un idiota ad aver parlato così tanto con una completa sconosciuta, ma mi aveva fatto bene. Nicole non disse niente. Semplicemente continuò a camminare. Forse avevo toccato un argomento troppo delicato e complesso per le otto di mattina. La neve che avevo visto ieri ormai si era quasi sciolta del tutto. In quanto a quello faceva ancora molto freddo. Con mia grande sorpresa, Nicole parlò.

"Hai fatto la scelta giusta. Quando senti che un posto non fa più per te è meglio andarsene. Penso succeda a tutti almeno una volta nella vita" mi disse seria.

"Oakland era diventata troppo piccola per me, spero che qui le cose migliorino" le dissi sorridendole. Forse stavo straparlando, e forse a Nicole non sarebbe neanche interessato, ma mi faceva bene. Parlare e non essere giudicato. Non mi era mai capitato di aprirmi così tanto con uno sconosciuto, ma gli avvenimenti della mattina mi avevano turbato così tanto che non mi ero potuto tenere tutto dentro.

"Sono stati i tuoi amici a costringerti a lasciare Oakland?" mi chiese.

"Non lo so più nemmeno io. Da un giorno all'altro il mio mondo era crollato sotto i miei piedi. Ha importanza se mi hanno costretto loro o l'ho lasciata io?" le chiesi attendendo una risposta che non tardò ad arrivare.

"Per te ce l'ha?" mi chiese. Ci riflettei un attimo.

"Forse sul momento sì. Ma col passare del tempo non me ne fregava più niente. A prescindere da chi fosse stato, quello che si trasferiva ero io e soltanto io. Non so se mi capisci" le dissi quasi confuso dai miei pensieri.

"Sì, ti capisco bene in realtà. Quindi, in pratica, hai rotto con tutti i tuoi amici di Oakland?" mi domandò cercando di capire meglio la situazione ma tenendo un tono distaccato. Presi un respiro profondo e risposi con un 'sì' deciso. Lei mi fece un sorriso che era un misto tra il rincuorante e la soddisfazione di essere riuscita a leggere tra le righe nel discorso che le avevo fatto.

"Penserai che io sia uno stupido. Un tizio che parla con una completa sconosciuta della sua vita" le dissi non guardandola e notando che stavamo finalmente uscendo dal parco.

PRIMA DI INCONTRARTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora