CAPITOLO 1.1: Washington D.C.

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Otto mesi prima...

Il paesaggio scorreva veloce davanti ai miei occhi. Non avevo il tempo di focalizzarmi su un'immagine che questa cambiava. Avevo provato ad addormentarmi, ma invano poiché ogni volta che chiudevo gli occhi un rumore mi costringeva ad aprirli. Prima il bambino che piangeva, poi l'uomo d'affari al telefono, e quando pensavo che mi sarei potuto addormentare, il tizio accanto a me aveva deciso di andare in bagno facendomi alzare. Alla fine, mi ero arreso e mi ero messo a guardare fuori dal finestrino, anche se il paesaggio non era particolarmente emozionante.

Ero partito da Oakland, California, quattro giorni prima, e finalmente riuscivo a vedere Washington D.C., la mia tanto ambita meta. Mi ero fermato un paio di volte lungo il tragitto per aspettare il treno successivo, ma niente di particolarmente emozionante.

La cosa più interessante del viaggio era la continua suspense per l'arrivo dei messaggi di mia mamma, che arrivavano ogni mezz'ora esatta. Come se dopo ogni mezz'ora in treno succedesse qualcosa di inaspettato. Ma le madri sono le madri. Ero stato solo un paio di volte a Washington nella mia vita, e tutte le volte solo per trovare la mia famiglia, gli Edwards. I miei zii erano nella maggior parte delle volte persone amorevoli e di buon animo. Il problema era Jacob, mio cugino. Pensavo che Jacob fosse uno dei ragazzi con maggiore capacità, sia sportive che scolastiche, che io avessi mai conosciuto. Ma era anche il figlio di uno degli uomini più potenti della città, e quando un figlio ha un padre di questo genere le possibilità erano due. O si applicava in modo estremamente laborioso in ogni cosa che faceva, come a dimostrare al mondo quanto valesse la sua famiglia, oppure faceva come Jacob, ovvero niente. Non che Jacob non facesse esattamente nulla, più o meno sì ma questo era un altro discorso. Il punto era che suo padre gliele dava tutte vinte.

Vieni sospeso per comportamento inadeguato? La scuola non capisce niente. Ti va male lo sport? L'allenatore non è all'altezza. Hai bruciato la macchina nuova? Capita a tutti almeno una volta nella vita. Se avessi bruciato io la mia bellissima Toyota Rav4 di seconda mano mi sarei ammazzato con le mie stesse mani. Ma lui aveva sempre avuto un genitore molto comprensivo. Era più sua madre quella che evitava che i due sperperassero tutti i loro soldi. Quando però i due avevano divorziato mio zio fece di tutto affinché a mio cugino non mancasse niente.

Ma alla fine era solo merito loro se potevo permettermi di iniziare il nuovo semestre nella scuola nuova. Infatti, mio zio, su commissione di mio cugino, aveva deciso di pagarmi tutte le spese scolastiche in un'ottima scuola di legge della città. Ovviamente poiché mi stavo trasferendo dopo che i corsi erano già iniziati da un mese non avevano trovato nessun appartamento vuoto, se non un ragazzo che avendo scoperto tramite Jacob del mio arrivo aveva liberato un posto in uno dei dormitori più lussuosi del campus. Avevo già iniziato a studiare e la scuola era stata avvertita alla mia iscrizione del mio arrivo ritardato. Infatti al contrario dei miei colleghi io avrei cominciato dopo le vacanze di Natale mentre loro avevano iniziato qualche settimana prima.

Mio zio mi aveva detto che alla stazione sarebbe venuto mio cugino con la macchina a prendermi e a portarmi da colui che mi avrebbe ospitato. Inoltre, aveva già provveduto a pagare pure l'affitto della camera. L'unica cosa che speravo era che il mio coinquilino non fosse un festaiolo fisso ad organizzare party nel nostro appartamento. Non mi sarei opposto visto che era suo, ma dovendo seguire degli studi sarebbe stato particolarmente fastidioso e stressante. Questo mi ricordava molto il mio ex compagno di stanza, George. Era un tipo abbastanza stravagante e non stava mai zitto. Non so quante volte fossero venuti a dirci di abbassare la musica o smettere di spostare i mobili. Ma alla fine era diventato il mio miglior amico.

Tra un pensiero ed un altro arrivai in stazione. Presi le mie valigie e mi avviai lungo il vagone stando attento a non sbattere contro nessun altro passeggero fino ad arrivare all'uscita. Sentii il mio telefono vibrare, e dopo aver constatato che era mia madre, scesi dal treno con il sorriso sulle labbra.

Uscito dalla stazione, dopo essermi scontrato con quello che penso fosse un tedesco e avergli ripagato la birra visto che avevo rovesciato la sua, misi finalmente piede fuori dalla struttura. Respirai a pieni polmoni l'aria di Washington e poi mi diressi verso il bar che mio cugino mi aveva detto di raggiungere. Mi aveva anche detto che avrebbe parcheggiato lì per evitare il via vai dei taxi. Il bar era stato facile vederlo visto che era l'unico con l'insegna accesa ancora alle tre del pomeriggio. Inizialmente mentre mi avvicinavo non avevo notato mio cugino e poi capii perché. Nonostante non fosse una giornata di sole un tizio con gli occhiali da sole e con i capelli platino-bianchi si stava sbracciando nella mia direzione. Jacob. Era diventato più alto rispetto all'ultima volta che lo avevo visto, ovvero sette mesi fa, e se non sbagliavo anche più muscoloso, in più si era tinto i capelli. Indossava una t-shirt a maniche lunghe e sopra un giubbotto a mezze maniche. Io stavo morendo di freddo nel mio caldo cappotto, ma probabilmente lui era abituato a quelle temperature, mentre un californiano come me no. Sotto aveva jeans e scarpe da ginnastica fluo. Belle ma appariscenti. Quando fummo abbastanza vicini mi sorrise e poi mi venne incontro per abbracciarmi.

"Ce l'hai fatta Collins. Pensavo di doverti aspettare ancora per un paio di orette" mi disse sorridendo. Ora che ero vicino potevo anche notare bene il suo nuovo piercing.

"Non ne parliamo. Fatteli te quattro giorni di treno. Penso di non aver fatto ancora neanche un pasto decente. Quanto ci vuole per arrivare al college?" chiesi mentre lui continuava a sorridere.

"Ti toccherà aspettare un po' mi sa. Il college è fuori mano rispetto al centro. Penso che però in un oretta, traffico escluso, ci dovremmo essere" mi disse prendendo una delle mie valigie ed aprendo il portabagagli per mettercela. Appena si mise di lato infilai anche le altre due e chiusi lo sportello. Dopodiché entrai nella macchina.

"Allora che mi racconti di Oakland? Difficile lasciare casa?" mi chiese dopo aver messo in moto.

"Pensavo che sarebbe stato peggio. Col mio vecchio gruppo non andava più molto bene, quindi cambiare aria mi farà solo bene" risposi guardando fuori dal finestrino.

"E a ragazze come sei messo?" mi domandò ammiccando nella mia direzione mentre mi voltavo verso di lui.

"E chi ne ha di tempo per una relazione. Tra allenamenti, college e la borsa di studio da mantenere, anche solo un'amicizia era difficile da mantenere. Te invece stai ancora con quella ragazza?" gli chiesi a mia volta non volendo parlare di ragazze con mio cugino.

"Chi, Rachel? Direi proprio di no. È una bellissima ragazza, ma non mi comprendeva" disse. Chiusi subito l'argomento, perché non volevo assolutamente sapere in che modo quella povera ragazza non lo comprendesse.

"Jacob ti dispiace se dormo un po'? Sul treno non ne ho avuto modo" lui mi rispose con un sì e poi si zittì completamente. Presi il telefono e scrissi a mia mamma che ero arrivato e che ero già in macchina. Poi lo misi in tasca e mi appoggiai al finestrino. Dopodiché chiusi gli occhi.



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