20 - Il testamento

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A un passo, forse, dalla risoluzione del caso, non riesco ad essere felice.

«A cosa stai pensando?»

Mi volto verso Thomas. Sembra incredibilmente concentrato sulla strada e mi chiedo quando mi abbia guardata per scoprirmi pensierosa.

«Non sono fiera di me stessa. Ho nascosto preziose informazioni sulle indagini a Christopher e ho mentito a Corey.»

Mi accarezza un ginocchio e mi osserva per un attimo con la coda dell'occhio.

«Fra poco, probabilmente, sarà tutto finito e non avrai più nulla da nascondere a nessuno.» Sospira. «E poi, capisco che tu ti senta in colpa per non aver detto nulla a Chris, visto che è un poliziotto e sta indagando da un po' sul caso di Rae, ma non mi spiego perché tu stia male per Corey. Sapere o meno del caso non cambierebbe la sua vita» , aggiunge con una leggera punta di fastidio.

Faccio per ribattere, ma mi zittisco quando lo vedo assumere un'espressione corrucciata. Ruoto il capo verso la strada e noto un uomo con una paletta in mano che ci sta facendo segno di fermarci. Thomas abbassa il finestrino e ci si appoggia sopra con un gomito. L'individuo ci si avvicina.

«Stiamo rimuovendo del materiale scivoloso dalla carreggiata» , ci informa. «Per un po', non si potrà procedere.»

Sospiro. Thomas annuisce e mette la freccia per raggiungere la stazione di servizio alla nostra sinistra.

«C'è anche un bar» , constata, una volta fermatosi nel parcheggio. E' davvero pericoloso percorrere la strada o è soltanto una trovata del punto di ristoro, situato nel bel mezzo del nulla, per fare clienti? Forse, non avrò mai una risposta. «Vado a prendere qualcosa da bere, vieni con me?»

«No, ti aspetto qui.» Triste, annuisce e scende dall'auto. Chiude lo sportello e lo seguo con lo sguardo mentre raggiunge, con le mani nelle tasche della giacca scamosciata, l'interno del posto. A Corey, magari, non importerà nulla del caso, ma non vorrei lo stesso deluderlo mai e so di averlo fatto mentendogli. Thomas non può capirlo. Prendo il telefono dalla borsa e lo trovo spento. Provo ad accenderlo, ma sul display compare l'icona della batteria scarica. Fantastico. Faccio aderire meglio la schiena al sedile. L'affermazione di Thomas mi ha infastidita e non ho voglia di bere tranquillamente qualcosa con lui.
Chiudo gli occhi. E se fosse soltanto geloso? In fin dei conti, prova qualcosa per me. Sospiro. Dovrei guardare le cose da più punti di vista e non soltanto dal mio. Prendo la borsa e lascio la macchina. Entro nel bar e trovo Thomas intento a sorseggiare un liquido trasparente. Posa i gomiti sul bancone e si volta soltanto quando il barista, notandomi, mi saluta cordialmente. Raddrizza la schiena per ricomporsi e lo affianco. «Che cosa hai preso?» , chiedo, portando lo sguardo sul suo bicchiere.

«Un Gin tonic» , risponde.

«Vuoi ubriacarti?» , domando, con tono di ammonimento.

«Avevo bisogno di qualcosa di forte» , si difende.

«Posso aiutarla?» Il barista, un uomo corpulento sulla cinquantina, si rivolge a me.

«Vorrei la stessa cosa che ha ordinato lui» , affermo, indicando il drink di Thomas. Il castano fa per dire qualcosa, ma gli porto un indice sulle labbra per fermarlo. «Sono troppo sobria per affrontare tutto questo. Se continuo così, avrò, prima o poi, un crollo emotivo.»

Incrocio le braccia sul bancone e poggio il mento sul dorso delle mani. Fisso la schiena del barista per qualche istante e sposto poi lo sguardo sui quattro uomini che, seduti ad un tavolo, stanno giocando a carte. Thomas non dice nulla. Mi allontano da lui per andare un attimo in bagno. Al mio ritorno, trovo pronto il mio drink. Lo afferro dal bancone e mando giù due generosi sorsi.

Gli erediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora