26 - Ricordi?

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Cerchio sul calendario il numero diciannove. Sono passate ben due settimane dalla festa in maschera e siamo tornati tutti alla nostra quotidianità. Più o meno, insomma. Continuiamo a dormire, per sicurezza, al quartier generale e Faith, per il momento, non lavora ancora. Thomas le ha tranquillamente lasciato il tempo di riprendersi del tutto.
Inizio a lucidare uno scaffale e mi volto verso l'ufficio del capo quando sento, nonostante la porta chiusa, un grugnito di frustrazione. Lascio il panno sul ripiano in legno e, preoccupata, mi dirigo verso la sua stanza. Entro senza bussare. Thomas è seduto alla scrivania e si sta reggendo la testa con entrambe le mani. Mi nota e sorride flebilmente.

«Evie» , mormora. «E' successo qualcosa?»

Lo raggiungo e gli accarezzo una spalla. «Nulla, e a te, invece?»

Sospira. «Mi preoccupa il fatto che la polizia non abbia ancora trovato il barista della stazione di servizio. La mia vita ruota intorno alle chiamate della centrale. E' frustrante dover essere sempre a disposizione degli agenti. Non ho commesso alcun crimine. Vorrei poter essere libero e basta.»

Triste, abbasso il capo e inizio a pensare. Effettivamente, è strano che quell'uomo ancora non si trovi. E' praticamente sparito nel nulla. «E se avesse cambiato identità?» Thomas inarca un sopracciglio. «Il barista, intendo. E' possibile, no?»

Con fare pensiero, si gratta il mento. «Sì, è possibile, ma il tal caso è sicuramente un complice di Dorian che sta cercando di non farsi trovare dalla polizia. Altrimenti, per quale altra ragione dovrebbe nascondersi?»

Un pensiero mi fa sussultare. «E se non si stesse nascondendo? Se qualcuno la avesse ucciso?»
Thomas mi porta le mani sui polsi e mi invita a guardarlo e a stare tranquilla. Non riesco a scacciare dalla mente, però, l'immagine del corpo senza vita di quell'uomo. «Ho paura, Thomas. Forse qualcuno lo ha fatto a pezzi o lo ha gettato in un fiume o entrambe le cose» , inizio a straparlare, spaventata.

«O, magari, si sta soltanto facendo una vacanza ai Caraibi e ha trovato una soluzione per perdere i contatti con il resto del mondo e godersela il più possibile.» Poco convinta, scuoto il capo e faccio per ribattere, ma mi porta un dito sulle labbra per zittirmi. Si alza in piedi e, delicatamente, mi spinge verso la porta. Indossa il suo cappotto e mi segue. «Non provarci, Evie. So perfettamente ciò che stai per dire. Non indagheremo, non se ne parla. Non siamo agenti dei Servizi Segreti e, anche se lo fossimo, continueremmo a farci gli affari nostri e sai perché? Perché l'ultima volta che abbiamo giocato a fare i detective sono finito in galera.»

Sorpresa, schiudo le labbra. Sono davvero così prevedibile? «Non era quello che stavo per dire» , mento.

Divertito, sorride. Mi passa la mia giacca e, confusa, la indosso. Dove stiamo andando? «E cosa volevi dirmi, allora? Volevi chiedermi di andare a mangiare fuori perché è ora di pranzo?»

Guardo l'orologio appeso alla parete. Sono quasi le due del pomeriggio. «Sì, hai ragione, volevo chiederti di indagare» , sbuffo.
Vittorioso, si lascia sfuggire una risatina. Irritata, lo colpisco con una gomitata e lui solleva le mani in segno di resa. «In ogni caso, dove stiamo andando?» , domando, confusa.

«A pranzare» , mi risponde. «Se non me l'avessi chiesto tu, te l'avrei proposto io, come sto facendo adesso.»

Il mio stomaco brontola e decido di seguirlo. Entriamo nella sua macchina, dopo aver chiuso l'enoteca, e mette in moto. Gira per la città, felice del fatto che, per un volta, non ci sia Adrian a scarrozzarci in giro, e si ferma davanti al ristorante in cui lavora mio cugino. Una volta dentro, Gabe ci nota e ci corre incontro. Ci accompagna ad un tavolo e ci lascia dei menù. La porta del locale si spalca di nuovo. Socchiudo gli occhi per mettere bene a fuoco la ragazza che è appena entrata. Ha un volto familiare, ma non ricordo di averle mai parlato. Resto un po' a riflettere mentre si accomoda ad un tavolo e poi capisco, finalmente, chi è. Era fra le braccia di Gabriel, addormentata, la sera del salvataggio di Faith. Presumo sia una dottoressa dell'ospedale di Sheffield e non capisco perché sia qui a Nottingham. Gabe la nota e uno strano sorrisetto gli compare in volto. La raggiunge, prima che possa farlo un suo collega. E' seduta poco lontano da noi e il ristorante è quasi deserto. Riesco a sentire perfettamente ciò che si dicono. Anche Thomas, incuriosito, inizia ad osservarli.

Gli erediDove le storie prendono vita. Scoprilo ora