6. qui non c'è nessun ragazzo

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Erano le sette e mezza, e io mi stavo godendo quella doccia che tanto avevo bramato. Muoversi in treno tra Carrara e Firenze a luglio con dei vestiti pseudo eleganti per sostenere un esame non era il massimo per quanto riguardava la comodità e la freschezza, ma quella giornata, per quanto fosse stata appiccicosa e sudaticcia, era andata nel migliore dei modi.

Quella mattina mi ero svegliata presto ed ero uscita a fare una corsetta. Correre mi rilassava e mi aiutava a sfogarmi, mi aiutava a pensare a qualcosa che non fosse l'esame imminente.
Mio fratello mi aveva fatto trovare la colazione pronta in giardino, come da tradizione prima di ogni esame, e aveva cercato di parlarmi il meno possibile, lasciandomi avere un momento per me.

Chiusi l'acqua della doccia, decidendo che per quel giorno ne avevo abbastanza: dopo tutto il tempo che avevo passato sotto l'acqua bollente la mia pelle era diventata rossa, ma io ero finalmente rilassata e pronta per una serata a tu per tu con il divano del mio appartamento e tutte le puntate delle mie serie tv preferite che avevo lasciato indietro per prepararmi a quell'esame.

Mi asciugai velocemente e mi misi un asciugamano in testa per evitare di gocciolare dappertutto con i capelli. Misi il pigiama, una maglia sformata e troppo vecchia per sapere a chi appartenesse prima di passare a me, e mi fiondai in cucina, visto che non vedevo l'ora di mangiare.

Nicola era seduto in cucina, scriveva velocemente sul cellulare a qualcuno e, appena inviato il messaggio, guardava impazientemente lo schermo, aspettando una risposta che sembrava dover condizionare per sempre la sua vita.

«Stai scrivendo a Valentina?» lui alzò velocemente lo sguardo e mi osservò divertito mentre aprivo il frigorifero. Non mi aspettavo di trovare nulla considerando che per questo mese l'unico che era restato a vivere qui era lui, che probabilmente era andato avanti a cibo per asporto e cene fuori.

«Mi sentivo con Valentina il primo anno di università» mi derise, appoggiando il cellulare sul tavolo della cucina e mettendosi apposto i capelli come faceva continuamente. Gran parte delle ragazze che lo conoscevano trovavano questo gesto adorabile. Io lo trovavo semplicemente una perdita di tempo perché ogni volta che cercava di metterli apposto finiva per ridurli peggio di com'erano prima.

«Jessica allora?» ritentai, e subito dopo presi qualche sorso dalla bottiglia di succo che era rimasta superstite dalle scorpacciate notturne del mio coinquilino solo perché lui odia il succo d'ananas.

«No, Jessica era la ragazza che avevo portato qua e che tu hai fatto scappare la mattina dopo perché hai sbagliato il suo nome e l'hai chiamata Nicole» puntualizzò lui, con una punta di fastidio. Sorrisi sotto i baffi.

Quella mattina mi ero svegliata con il piede sbagliato e trovarmi quella Jessica in cucina con una maglia di Nicola e un'aura da post sesso intorno non aveva fatto nulla se non infastidirmi di più. Tutto il resto l'aveva fatto la sua finta timidezza, le sue unghie lunghe e appuntite e la mia faccia tosta di dirle tutto ciò che pensavo su di lei con, alla fine, il tocco di classe di chiamarla con un altro nome giusto per darle l'impressione che non fosse l'unica a frequentare quell'appartamento.
Il mio coinquilino non mi aveva parlato per ben tre giorni, era stato triste per le due settimane successive e -finalmente- per la fine del mese aveva portato una nuova ragazza a casa.

«Oh, mi ricordo» lui scosse la testa alla mia frase divertita e tornò sul suo telefono. Gli lasciai un bacio affettuoso tra i capelli e poi mi sedetti davanti a lui, sfilandogli il telefono dalle mani.

«Uh, Marta eh? Raccontami un po' di lei» lo stuzzicai un po', sorridendo maliziosamente mentre lui a poco a poco diventava rosso, proprio come succedeva alle superiori quando mi parlava delle sue cotte.

«È un'amica di mio fratello, niente di più, ci sentiamo perché mi ha chiesto le foto da mettere nel cartellone della laurea di lui» giocò con le mani, chiaramente in imbarazzo, e io capii di aver colpito nel segno. Questa ragazza gli piaceva, e lui sicuramente l'avrebbe conquistata, come faceva con tutte d'altronde.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora