20. Preghiere, obbligami e non aspettarmi alzata

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«Buongiorno» mormorai, passandomi le mani sul viso e stiracchiandomi, per poi mettermi seduta. Federico socchiuse la porta della stanza con un colpo di tacco e poi si avvicinò con un vassoio con sopra due cornetti e due caffè. Posò il vassoio sulle mie gambe distese e poi si sedette accanto a me, dandomi un bacio sulla fronte «Come mai così carino stamattina?» gli chiesi, addentando subito il cornetto e scoprendo che era alla marmellata di albicocche, la mia preferita. Mi aveva presa in giro per gran parte del mio periodo a Torino a causa di quei gusti, dicendo che non ne capivo niente, ma alla fine si era deciso e quel sabato mattina aveva deciso di farmi una sorpresa inaspettata.

«Mi sono svegliato presto e mi sono ricordato della tua passione proibita» il suo sguardo scese sulle mie labbra mentre me le stavo pulendo con la lingua dalla marmellata che mi era scappata. Quella mattina era così carino con me e non riuscivo a spiegarmi il motivo, nonostante la bellissima serata passata insieme.

«Non ti credo» affermai, per poi prendere un sorso di caffè. Era caldo e senza latte né zucchero, esattamente come piaceva a me.
Era bello sapere che qualcuno conoscesse le mie abitudini. I suoi capelli erano abbastanza corti da essere ordinati anche di prima mattina e i suoi occhi erano aperti normalmente, nonostante sembrava che avesse ancora il segno del cuscino su una guancia.

«Effettivamente ho una richiesta da farti» ammise lui, dopo qualche secondo in cui aveva pensato cosa dire, confermando la mia teoria che non fossero semplici carinerie ma che volesse qualcosa in cambio. Lui, però, era combattuto, si vedeva, ma cercava di nascondere il tutto con un sorriso e non farmi percepire la sua insicurezza «Stasera vieni allo stadio?» mi chiese, con un sorriso a trentadue denti in viso, cercando di convincermi anche solo con lo sguardo.

«A vederti giocare?» gli domandai, troppo stupita da quella richiesta per crederci al primo colpo. Nell suo primo periodo da calciatore mi ostinavo a guardare ogni sua partita e tifare per lui e sognare di poter ricevere una richiesta del genere da parte sua per eliminare quel limite che era lo schermo. Ora però che l'avevo ricevuta, nella mia testa non passava nemmeno l'idea di accettare.
Lui annuì e il suo sorriso entusiasta si trasformò in un sorriso timido, perché era chiaro che quella non fosse la reazione che avrebbe voluto vedere.

«Che ore sono?» gli domandai allora, facendo finta che lui non mi avesse mai chiesto niente. Federico sospirò, poi alzò il polso destro e osservò l'orologio per un attimo prima di rispondere.

«Le sette e mezza, io adesso vado ad allenamento, mi vuoi accompagnare?» mi chiese, e io risposi ancora una volta di no, ma lui non ne rimase stupito o almeno non lo mostrò «Va bene, torno per pranzo» si avvicinò al mio viso e schivò in modo plateale le mie labbra per lasciarmi un bacio sulla guancia. Pensai che fosse perché mi ero appena svegliata ma sapevo che in realtà se l'era presa perché gli avevo detto di no «Pensaci, ti prego, mi farebbe veramente piacere se venissi» mormorò, e poi uscì dalla stanza.

***

«E dai, smettila!» Federico era tornato da qualche ora e in quel preciso momento ci stavamo litigando il telecomando perché lui voleva vedere una serie tv mentre io un'altra.

«Ti giuro che Peaky Blinders è molto meglio di qualsiasi cosa voglia vedere tu» disse lui per quella che sembrava la decima volta. Io alzai gli occhi al cielo, sapevo che avevamo poco tempo perché lui poi sarebbe andato allo stadio e io il giorno dopo sarei ripartita, quindi non volevo ancora litigare, ma semplicemente godermi quelle ultime ore. Annuii sconfitta, per poi rilasciare un sospiro e posare la testa sulla sua spalla, rivolgendo lo sguardo al televisore. La sua mano scivolò oltre la mia spalla, sulla mia vita, e fece sistemare le mie gambe sopra le sue.

Mentre lui guardava rapito quella serie tv, come se dalla trama dipendesse la sua stessa vita, io alternavo il mio sguardo tra lui e la televisione, pensando a tutto ciò che era successo quella settimana. Avevo litigato con Nicola, mi ero laureata, ero scappata da Firenze per andare a Torino con Federico, ci avevo litigato, avevamo fatto un sacco di sesso e avevamo anche avuto un sacco di conversazioni serie riguardo il nostro passato e i nostri comportamenti, avevo fatto pace con Nicola e tutto portava lì, a quel momento in cui dovevo scegliere se dirgli di sì o di no. Il mio cuore e la mia testa erano divisi. Infondo, era solo una partita. Cosa sarebbe potuto succedere? Ma dall'altra parte ero ancora dubbiosa, non ero sicura che fare una cosa del genere mi avrebbe lasciata ancora del tutto indifferente al biondino che in quel momento stavo abbracciando sul divano di casa sua.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora