49. mi casa es tu casa

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Alessia trascinò dietro di sé la valigia rossa, controllando il tabellone con gli orari e ridendo per quello che aveva appena detto Federico al telefono. Lasciò il cellulare sulla spalla, piegando il collo per mantenerlo in equilibrio contro il proprio orecchio, e strinse ulteriormente il cappotto attorno al proprio corpo, perché quella sera faceva un freddo boia anche a Firenze, e non voleva immaginate che temperature ci fossero a Torino.

«Sappi che questa è la prima volta da tantissimi anni che faccio qualcosa a San Valentino» ammise poi, dirigendosi verso il binario giusto e controllando l'ora. Il treno sarebbe partito tra pochi minuti, così salì e cominciò a cercare il proprio posto.
Il biondo, in macchina nel capoluogo piemontese mentre tornava a casa dalla Continassa. Erano passate già due settimane da quel fatidico weekend, e le cose tra di loro stavano andando a gonfie vele: nonostante non si fossero visti dopo essersi salutati domenica sera, si sentivano ogni giorno al telefono, si tenevano aggiornati sulla propria vita a vicenda e si promettevano di vedersi presto.
Lei aveva passato il fine settimana precedente con sua madre, avevano parlato un po' è la donna era addirittura riuscita a rubarle qualche confessione riguardo il biondo. Si era fatta raccontare come si erano conosciuti, le aveva chiesto se era lui il ragazzo che aveva portato a Trieste. E poi, finalmente, le aveva aperto il cuore per quanto riguardava la sua situazione: quanto odiasse passare la giornata a sentire le tragedie degli altri e cercare di risolverle, a litigare con i colleghi. Aveva adorato il suo lavoro fin da subito, ma in quel momento fare l'avvocato le stava stretto. Poi si erano abbracciate, avevano visto qualche film insieme, e si erano salutate di nuovo, con lei che tornava a Firenze domenica sera.

«Poco da ridere, Pucci. Per che ora ti vengo a prendere?» replicò lui, aspettando che il semaforo davanti a sé diventasse verde per poter proseguire. Ancora era strano da pensare che prima di lui Alessia non avesse mai vissuto una storia d'amore così, che valorizzava anche le piccole cose. Che poi, in realtà, bastava avere una dolce metà per festeggiare san Valentino, e non serviva veramente essere così romantici. A quanto diceva la ragazza, invece, nessuno lo era mai stato con lei. O, almeno, mai come quel quattordici febbraio, vedere i palloncini a forma di cuore e i cioccolatini -anche quelli degli altri- le avevano migliorato l'umore.

Si era svegliata presto senza bisogno della sveglia e, alle sette e cinque, puntualmente, stava bevendo il caffè in piedi in cucina, appoggiata al ripiano della cucina, mentre Nicola non smetteva di stropicciarsi gli occhi e sbadigliare e Anna riempiva il biberon di acqua calda per dare a Thomas il latte in polvere, visto che lei non ne aveva abbastanza.
Il campanello aveva suonato, ed entrambi si erano girati verso la castana, totalmente ignara di tutto. Con una scusa, la mandarono ad aprire la porta e davanti si trovò il fattorino di un negozio di fiori con un mazzo gigantesco in mano. Sarà stato il primo di tanti, sicuramente per lui era quasi noioso consegnarli di continuo durante quella giornata, ma ad Alessia si scaldò il cuore e tornò in cucina camminando su una nuvola, con i piedi a un metro da terra e la testa che sfiorava il soffitto.
I due ragazzi si erano scambiati uno sguardo complice mentre lei cercava di trattenere un sorriso, poi le chiesero quanto fosse contenta visto che sembrava che stesse per esplodere. La castana scosse la testa e cercò un vaso, per poi inciampare con gli occhi in un bigliettino che era stato inserito tra i fiori. Non l'aveva scritto materialmente Federico, la calligrafia non era la sua, ma le parole erano sue, tutte.

Grazie del fantastico bacio che mi hai dato prima di andare via, ci penso ancora.
Buon san Valentino Pucci,
Ti aspetto a casa

Un piccolo cuoricino era disegnato accanto all'ultima parola e Alessia si immaginò che faccia aveva dovuto fare il biondo mentre dettava quelle parole al fioraio, o ai suoi assistenti. Sperava che fosse stata una donna, che gli avesse chiesto chi fosse lui e chi fosse la fortunata, e che, magari, avesse segretamente desiderato di essere al suo posto, di ricevere quei fiori quella mattina. Lo poteva chiaramente vedere mentre, imbarazzato, si passava una mano tra i capelli un po' più lunghi e pronunciava la parola "bacio" con un tono di voce più basso, con le labbra che gli prudevano per quanto voleva che si baciassero di nuovo.
E poi quella frase, quel "Ti aspetto a casa", le faceva stringere lo stomaco in una morsa di calore che avrebbe voluto non finisse mai, perché voleva dire che esisteva una casa per loro due, un posto dove tornare ogni sera e dove sarebbero stati soli, ma insieme.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora