9. c'è qualcosa che mi nascondi?

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«Quello mi piace» Anna prese la stanghetta dei suoi occhiali da sole e se li abbassò sul naso con fare teatrale, squadrando da capo a piedi il ragazzo moro che stava giocando a pallavolo con alcuni dei suoi amici a qualche metro da noi.

«Quello bassino dici?» storsi un po' il naso e guardai il suo viso fare una smorfia sofferente. Non era assolutamente d'accordo con quello che avevo detto e ci teneva a farmelo sapere più che con le parole, con il metodo più semplice e diretto che conosceva: le sue ridicole e super chiare espressioni facciali.

«Hai ragione, non è proprio uno stangone, però guardalo: ha delle spalle e una schiena da urlo» mi fece l'occhiolino e si rimise apposto gli occhiali. Si stese meglio sul lettino e cominciò a godersi il sole tranquillamente. Eravamo a Tenerife da solo un giorno e la mia amica aveva già commentato almeno metà dei ragazzi dell'isola.

«Secondo me se si gira scopri che in realtà è tutto fumo e niente arrosto» dissi la mia su quel tizio che tanto la intrigava e poi mi sistemai anche io. Il sole splendeva chiaro e forte sopra di noi, e sentivo l'odore di mare che tanto mi era mancato quel mese mentre ero chiusa in casa a studiare per gli esami all'università. La parola laurea mi ronzava nella testa. Avrei dovuto esporre la tesi a settembre, e mancavano meno di due mesi. Rilasciai un sospiro e presi il mio libro da sotto l'ombrellone. Quel testo era consumato, la copertina e le pagine erano deformate. Lo leggevo spesso da quando avevo quindici anni.

«Cosa leggi?» Anna girò la testa verso di me. Stava leggendo uno dei suoi tanti libri di Nicholas Sparks, la sua lettura estiva preferita, e che alternava ogni tanto a Charles Bukowski. Quella volta toccò a me storcere il naso. Proprio non capivo come facessero a piacerle così tanto due autori che, per me, non avevano la stessa profondità nel parlare dell'amore che invece riscontravo in altri.

«"Le notti bianche", di Dostoevskij» le risposi, tenendo il segno con l'indice della mano destra. Inclinai la testa verso di lei e mi schermai il volto con il libro perché, nonostante avessi gli occhiali da sole, la luce continuava a darmi fastidio.

«Che palle Ale, perché tutta questa pesantezza? Siamo in vacanza!» esclamò lei in risposta, indicando scompostamente con il suo libro la spiaggia che avevamo davanti. Io sorrisi a sentire quelle parole, pensando che non ero sicura su quale delle due si stesse perdendo qualcosa di veramente importante.

«Non è pesante, è romantico» chiarii, per poi dichiarare silenziosamente che quel breve scambio era finito e tornare al mio libro. La verità era che ogni volta che leggevo mi sentivo sempre più inglobata nel protagonista. Illusa, gettata. E più crescevo, più mi sentivo anche Nasten'ka. Travolta dalla passione, pronta ad "accontentarsi", ma anche a ferire gli altri per stare bene in prima persona io.

«Sì vabbè, una Pucci non si smentisce mai. Chi ti intriga di quel gruppetto lì? Ce li dividiamo magari» decisi che almeno questa volta non mi sarei potuta gettare nella lettura. Era vero che eravamo in vacanza ed era vero che ci saremmo dovute divertire, oltre che leggere Dostoevskij, quindi mi sedetti sulla sdraio e osservai i ragazzi che mi aveva indicato Anna.

«Mmh, forse il biondino dai, ma non penso sia abbastanza alto, se uscissi con lui e mi mettessi i tacchi penso che potrei sembrare sua madre» lei scoppiò in una sonora risata e io poco dopo la seguii, ridendo in maniera incontrollata.

Le vacanze insieme erano una tradizione nostra. Io e Anna ci eravamo conosciute al primo anno di università, in biblioteca, perché a entrambe serviva un dizionario di inglese, e ci eravamo ritrovate a litigare per chi l'avrebbe dovuto usare prima. Io, con il mio bel caratterino, non volevo mollare non perché avessi veramente necessità del dizionario, ma più perché visto che era stata scortese con me volevo averla vinta io. Alla fine, eravamo arrivate alla conclusione che, visto che quel dannato dizionario serviva ad entrambe, lo avremmo dovuto condividere, qual era la possibilità che ci servissero due parole diverse nello stesso momento? Alla fine questa probabilità si rivelò molto alta ma, stranamente, si era già creata quel tipo di complicità per cui su queste cose ci si ride sopra.
Negli anni scorsi eravamo andate in vacanza anche con Nicola, noi tre eravamo un po' come Qui, Quo e Qua, i tre nipoti di Paperino, e andare via insieme voleva dire aumentare al massimo il divertimento e la felicità. Mi serviva quella settimana da sola con loro due in un posto nuovo per riuscire a staccare dalla mia vita ed essere spensierata il più possibile.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora