23. Orgoglio e volevo capire se lo sapevi

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un mese dopo, Firenze

«Quando parti?» le chiese Nicola, chiudendo finalmente il computer per dedicarsi al pranzo, che ormai lei aveva già terminato. Mancava solo un mese al suo esame di laurea e stava giusto rifinendo la tesi un'ultima volta in maniera maniacale, per non perdersi niente ed essere sicuro che tutto fosse al posto giusto.

«Tra un'ora, mi lasci la macchina?» gli rispose lei, riponendo le posate nel piatto. Aveva già finito di mangiare, ultimamente era sempre così ed era una solitudine unica. Odiava mangiare da sola, eppure lui la lasciava sola ogni volta , anche inconsciamente, sedendosi al tavolo con lei ma concentrandosi su qualcos'altro, come la sua tesi o qualcosa del genere.

«Certo» si mise un boccone grandissimo di pasta in bocca e lei lo guardò stupita mentre masticava faticosamente. Rise sommessamente quando lui alzò lo sguardo verso di lei e aveva l'espressione di un bambino che era appena stato beccato con le mani nella marmellata «Sei sicura che tra te e quello lì non ci sia nulla?» aggiunse poi, dopo essersi infilato un altra forchettata grandissima di spaghetti. Aveva fretta, si vedeva, era scalpitante di poter tornare ad aprire quel computer, finire quello che aveva lasciato a metà e poi scaricare il tutto su una chiavetta per portarla in tipografia e, finalmente, tirare un sospiro di sollievo.

«Sì, te l'ho già detto» prese un sorso d'acqua e smise di guardarlo. Lo aveva capito anche lui che stava mentendo. Tra i due c'era stato qualcosa, Nicola lo aveva inteso quando lei era tornata a casa un giorno e aveva detto di essere andata a prendere un caffè, ma poi l'aveva trovata a rovistare nel cassetto del bagno mentre cercava la crema per i tatuaggi da mettere su quello che aveva fatto da poco. Voleva dire che qualcosa ci aveva sfregato sopra neanche troppo delicatamente, e lei non era solita grattarsi la parte superiore della gamba, giusto vicino al fianco. Eppure, nonostante avesse capito, non disse nulla, perché sapeva che lei non era solita parlare della sua vita sessuale e un po' perché non voleva intromettersi in qualcosa in cui lei non voleva necessariamente farlo entrare. Le aveva già detto la sua riguardo quell'argomento e non si erano trovati d'accordo, ma era normale, non era possibile essere d'accordo su tutto, soprattutto se si aveva delle idee diametralmente opposte come le loro riguardo l'argomento.

«Come vuoi tu» rispose il biondino, facendo finta di nulla. Quello che lui pensava era che Alessia si fosse proprio comportata male, ma le aveva già detto tutto quindi decise di non aggiungere nulla e di finire velocemente di mangiare, per poi pulirsi le mani e prendere il proprio piatto e quello della ragazza e metterli nel lavandino «Torni stanotte, giusto?»

«Sì, spero non troppo tardi» si alzò anche lei e andò verso il soggiorno, prese la sua giacca di pelle nera e aspettò il suo migliore amico, per poi salutarlo con un abbraccio stretto e un bacio sulla guancia.

«Sei sicura di quello che stai facendo?» le chiese, quando già stava per cominciare a scendere le scale. Lei gli rivolse un'occhiata veloce. Non era per nulla sicura, eppure aveva quel senso di adrenalina crescente che la mandava avanti, che l'avrebbe portata fino alla partita di quella sera. Si sentiva dubbiosa, ma carica come una molla. Voleva dimostrare quanto fosse forte, quanto fosse bella e quanto poco stesse tremando all'idea di rivederlo.

«Ancora?» gli chiese, stizzita da quella sua ennesima domanda. Non voleva che la mettesse eventualmente in difficoltà «Sì, sono sicura» disse, sistemarsi per l'ennesima volta i capelli e i jeans chiari a vita alta. La mezz'ora prima di pranzo era stata tragica per lei: non sapeva cosa mettersi e cosa non mettersi, non era mai stata allo stadio quindi non si era nemmeno mai posta il problema. Si era quindi ritrovata a scrollare i profili delle mogli e delle compagne dei calciatori, sperando di trovare una minima ispirazione da quel punto di vista. Alla fine, aveva deciso di mettersi un semplice paio di jeans chiari, larghi sulle gambe e stretti sulla vita, un paio di stivaletti scuri con il tacco non troppo alto, giusto per slanciarla un po', e una maglia nera che si fermava qualche centimetro prima della fine dei jeans e poi, quella giacca di pelle nera, giusto per evitare di avere freddo nonostante in quel momento ci fosse tutto tranne quello.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora