19. Jay Gatsby, arrossire e ancora uno

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«Porco due Pucci» alzai lo sguardo dai libri sul pavimento per incontrare quello di Federico, che a quanto pare era appena tornato a casa dall'allenamento. Il borsone era alle sue spalle, l'aveva lasciato nella cabina armadio in modo ordinato al suo posto e, probabilmente visto che non mi trovava in nessun angolo della casa, aveva deciso di tentare la sorte e venire nella "stanza del piacere".

Io ero lì da dopo pranzo. La mattina l'avevo passata a studiare, perché dopo la tanto sudata laurea sapevo che mi sarebbe toccato studiare ancora e ancora per la scuola di specializzazione, che mi avrebbe tenuto impegnata almeno per altri due anni.
Così, dopo aver mangiato, avevo deciso che mi sarei dedicata completamente al riordinare i libri di casa Bernardeschi, catalogarli per capire cosa avesse e cosa no e, infine, stilare una lista di quelli che si sarebbe assolutamente dovuto procurare. L'unico inconveniente era stato che quelle mensole avevano più libri di quanti avevo immaginato, e quindi mi ci trovavo ancora immersa nonostante fosse tutto il pomeriggio che li toglievo dalli scaffali, scrivevo i titoli e il nome dell'autore su fogli di carta, e poi li dividevo in pile in base all'ordine alfabetico.

Lui però questo non lo sapeva e quindi pensava probabilmente di trovarsi nel bel mezzo di un'esplosione nucleare nella stanza in cui lui stesso aveva ammesso di passare del tempo tranquillamente, lontano da tutti. Gli feci un sorriso, cercando di stemperare un po' i bollenti spiriti che potevo letteralmente vedere, visto che sembrava talmente arrabbiato da far uscire il fumo dalle orecchie.

«Si può sapere cosa stai facendo?» mi chiese, appoggiandosi allo stipite della porta. Ad un tratto, la sua espressione sembrava quasi divertita dall'immenso casino in cui ero immersa, e io non capii che cosa passasse per la sua testa. Era così strano, di solito i suoi ragionamenti erano limpidi e potevo captarli quasi subito, ma dopo la conversazione che avevamo avuto due sere prima si era chiuso un po' in sé stesso ed era come se avesse eretto un muro che non mi permetteva di comprenderlo al cento per cento.

«Sto sistemando, qui avevi Harry Potter vicino all'ultimo libro di Dan Brown!» mi giustificai, scrollando le spalle e poi indicando con un dito la lista che stavo compilando, e non ero nemmeno a metà. Allungai le gambe e mi stiracchiai un po' per quanto mi fu possibile vista le tantissime pile di libri vicino a me.

«Ho capito, ti porto una birra e ti aiuto un po' che mi sembri in alto mare» io annuii subito alla sua proposta e lui si voltò, per poi scomparire dalla mia vista e andare in cucina. Io mi guardai intorno, sconsolata. Davvero pensavo che avrei finito tutto in solo un paio di ore? E soprattutto, quanto ci avrei messo a rimettere tutti quei libri al loro posto?

«Ecco, tieni» mi feci un po' indietro mentre Federico cercava uno spazio libero per sedersi e presi la birra che mi stava porgendo. Lui si piegò per sedersi e io lo guardai svogliatamente, per poi sbarrare gli occhi.

«No Fede, fermo!» si fermò a poco più di venti centimetri dal terreno e mi guardò confuso, fino a quando io non allungai un braccio e sfilai una copia di "Il Grande Gatsby" da sotto di lui e gliela sventolai in faccia «Stavi per uccidere Jay Gatsby» gli annunciai dopo, posando il libro sul pavimento accanto a me.

«Non muore già alla fine del libro?» lo guardai mentre prese un sorso della sua birra, per poi girarsi la bottiglia di vetro tra le dita. Con i raggi del sole serale che entravano dalla finestra, quel verde veniva riflesso in tutta la stanza, creando delle interessanti ombre sui muri. Io sgranai gli occhi a quella frase, perché se diceva così voleva dire che l'aveva letto, o almeno che aveva guardato il film.

«E tu come lo sai?» gli chiesi, portandomi le gambe al petto. Federico alzò un sopracciglio e mi squadrò con fare divertito, come se fossi un animale da circo o avessi appena fatto una battuta fuori luogo. E mi sentivo esattamente così, come se quello fosse il contesto sbagliato per dire una cosa del genere.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora