59. bollicine e miele

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Alessia abbassò lo sguardo, osservando la propria mano che si muoveva lentamente tra i capelli biondi- leggermente più lunghi e incolti del solito- di Federico. Erano entrambi distesi sul divano a pancia in su, lei con le gambe allargate e le ginocchia piegate, i piedi appoggiati oltre le spalle di lui. Il biondo aveva la testa sistemata tra le sue gambe, gli occhi e la bocca chiusa, semplicemente godendosi quel trattamento di prestigio. Le sue mani, invece, scorrevano lentamente lungo gli stinchi della castana, in modo quasi pigro e disinteressato.
Jessica era uscita ormai quasi due ore prima, l'obiettivo era fare la spesa, ed entrambi sapevano che sarebbe tornata tra poco tempo, ma non gli interessava veramente.
La luce entrava in modo svogliato dalle alte finestre del salotto, incrociando le sfumature particolari del biondo dei capelli corti del ragazzo e fornendo abbastanza luminosità a lei per poter leggere il libro che teneva nell'altra mano. Tra solo qualche ora sarebbe cominciato il suo primo turno, il suo primo lavoro, e dire che aveva paura di quello che sarebbe successo era un'inutile minimizzazione della realtà. La paura le scuoteva le ossa, le chiudeva lo stomaco e le impediva di pensare razionalmente a qualsiasi cosa, o di leggere. Aveva dovuto rileggere per tre volte le stesse poche parole per coglierne il senso, e spesso si ritrovava a pensare a tutt'altro nonostante i suoi occhi fossero sulla pagina, tanto che le frasi le sembravano entrare da un orecchio e uscirle dall'altro al doppio della velocità, senza che lei potesse metabolizzarle.
Cosa sarebbe successo? Qualcuno le avrebbe detto cosa fare, o avrebbero pensato che sapesse già tutto? Sapevano che era il suo primo incarico? Quanto sarebbe stato faticoso? Sarebbe riuscita a studiare? Espirò pesantemente, prima di posare il libro sul proprio stomaco e smettere di accarezzare i capelli del biondo. Osservò mentre, lentamente, lui si svegliava da quel torpore che ormai lo aveva avvolto, come se le carezze leggere che si stavano scambiando fossero gesti naturali che si scambiavano senza nemmeno rendersene conto. Aprì lentamente gli occhi, facendo sfarfallare le proprie ciglia, per poi sollevare gli occhi, premendo leggermente la parte superiore della propria testa contro il basso ventre di lei per poter incrociare il suo sguardo.

«Perché hai smesso?» le domandò, un broncio appena accennato sul suo viso pulito e gli occhi stanchi di chi sembra essersi appena svegliato. Alessia ridacchiò, alzando gli occhi al cielo scherzosamente, per poi infilare di nuovo le dita tra i suoi capelli biondi, accarezzandoli e tirandoli un pochino, facendolo gemere sommessamente e chiudere di nuovo le sue palpebre in un gesto di estremo e quasi ingenuo piacere.

«Che viziato che sei» mormorò, abbassando leggermente lo sguardo nuovamente e osservandolo mentre, lentamente, un sorriso sincero e tranquillo si espandeva sulle sue labbra piene. Federico le accarezzò una caviglia, per poi spingere leggermente il suo ginocchio verso il proprio viso perché la sua coscia lo nascondesse mentre sbadigliava ampiamente.
I suoi capelli corti erano ancora umidi, esattamente come quelli della castana, che però erano legati in una coda. Avevano appena consumato la loro ultima volta, nella vasca, prima della pseudo-quarantena forzata che avrebbe dovuto mantenere Alessia per riuscire a essere un po' più tranquilla riguardo alla gestione del suo nuovo lavoro a tempo determinato e il vivere con lui e Jessica. Avevano giocato un po' con il phon, lui aveva riso mentre lei cantava con il getto d'aria che le spostava i capelli all'indietro come in un video musicale dei primi anni duemila e la spazzola in una mano a fare da microfono. Poi, aveva stretto gli occhi e contratto il viso in una smorfia quasi dolorosa quando lei gli aveva puntato il phon sul viso, come vendetta perché aveva deciso di non unirsi al suo concerto pazzesco. Era finito per pettinarle i lunghi capelli in silenzio, sembrava quasi che entrambi stessero trattenendo il fiato per evitare di rovinare quell'atmosfera incredibile che si era creata. Alessia lo guardava attraverso lo specchio mentre, con le sopracciglia aggrottate, uno sguardo corrucciato e la lingua leggermente fuori dalle labbra per concentrarsi meglio le faceva scorrere la spazzola tra i capelli, cercando di non tirare troppo e, quando scovava i pochi nodi che lei aveva, li scioglieva dolcemente, monitorando ogni tanto l'espressione sul suo viso per capire se stesse facendo qualcosa di sbagliato. Adorava prendersi cura delle persone, lo avrebbe fatto volentieri tutti i giorni tutto il giorno, ma farlo con lei era tutt'altra cosa. Non si era mai voluta far aiutare, mai aveva osato fare un passo verso di lui da quel punto di vista, ammettendo una propria debolezza e chiedendo aiuto, così lui aveva imparato che, quando, silenziosamente e implicitamente, gli lasciava appena intravedere quel lato tenero e dolce, doveva semplicemente assorbirlo e imprimerselo bene nel cervello, per evitare di dimenticarselo mai.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora