34. il nostro anno

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«Buongiorno» mormorò Federico, lasciando un bacio sulle labbra della ragazza quando lei schiuse gli occhi, troppo infastidita dalla luce del Sole che entrava dalle grandi finestre. Le lenzuola erano aggrovigliate tra le loro gambe, e i loro corpi erano stretti tra di loro per proteggersi a vicenda dal freddo della stanza. Fuori da quella casa, la neve scendeva copiosa, ma il biondo non poteva vederlo visto che dava le spalle al mare, perso negli occhi azzurri di lei. Alessia osservò prima lui, il suo viso incorniciato da quelle ciocche bionde che tanto invidiava. Aveva sempre voluto avere i capelli chiari, tutti nella sua famiglia li avevano, eppure lei aveva avuto la sfortuna di venire fuori con dei lunghi capelli castani, a volte, con la luce giusta, rossi.

«Mmh» mormorò lei in risposta, passandosi una mano sugli occhi e poi aprendoli, guardandolo da vicino. Anche quella sera non ci erano andati giù leggeri, ma quando erano insieme era quasi impossibile togliersi le mani di dosso, sfiorarsi, baciare ogni centimetro del corpo dell'altro. Alessia allungò una mano verso il viso di lui, ripassando lentamente la linea del suo zigomo con l'indice, sentendo sul suo polpastrello la ruvidità della sua pelle a causa del leggero strato di barba che ormai si era formato sulle sue guance. Federico chiuse gli occhi, beandosi di quel tocco delicato e stringendo ancora un po' le proprie braccia attorno alla vita di lei, godendosi uno dei pochi momenti per loro due di quegli ultimi giorni.

«Stavo pensando a una cosa» sussurrò dopo, senza aprire ancora gli occhi, mentre lei ripassava anche la linea del suo naso, delle sue labbra, quella delle sue sopracciglia. Era come se stesse cercando di scolpire i suoi lineamenti sotto le sue stesse dita e, allo stesso tempo, li assorbisse, facendo affidamento alla sua memoria tattile per ricordarseli sempre, anche quando sarebbero stati di nuovo lontani, quindi molto presto. Il biondino aveva accettato di andare con lei a Trieste, ma l'aveva informata che sarebbe dovuto ripartire quasi subito, e infatti già la sera del primo dell'anno si sarebbe dovuto mettere su un treno in direzione Torino per poi, il giorno dopo, ricominciare gli allenamenti.

«Devo avere paura?» gli chiese lei, ridacchiando dell'espressione contrariata che lui assunse, per poi scuotere la testa e aprire gli occhi, sbattendo un paio di volte le ciglia per riabituarsi alla tanta luce che illuminava ormai ogni angolo della stanza e trovandosi davanti i pozzi azzurri di lei, ancora più chiari del solito.

«Ti va di tagliarmi i capelli?» le chiese, con un sorriso sincero a increspargli le labbra. Alessia corrugò le sopracciglia, ridendo per un attimo, stupita da quella richiesta che sicuramente non si poteva per nulla aspettare ma trovando davanti a sé uno sguardo sicuro, segno che il ragazzo non stava scherzando.

«Tagliarteli? Quanto?» gli domandò allora, mettendosi seduta sul materasso e stropicciandosi gli occhi. Il piumone scivolò via dal suo corpo, lasciando liberi i suoi seni nudi e parte del suo stomaco, ma lei non sembrò esserne infastidita o minimamente toccata, nonostante il freddo della stanza le facesse venire la pelle d'oca.

«Tutti» Federico si passò una mano tra i capelli, cercando di sistemarli il più possibile e anche di quantificare quanto fossero diventati lunghi, per poi piegare il braccio sinistro e appoggiarci il peso del corpo, mantenendosi disteso su un fianco e osservando la ragazza accanto a lui.

«Come mai?» Alessia fece la stessa cosa, passandosi una mano tra i capelli e facendo in modo che ricadessero tutti sulla sua schiena in modo più o meno ordinato. Ondulati com'erano, sembrava quasi avesse passato ore a metterli al loro posto, e invece erano così naturalmente. Era una bellezza semplice, la sua, era bella senza sfociare mai nell'esagerazione, senza essere "troppo" qualcosa. Bilanciata, razionale e allo stesso tempo fuori dagli schemi, snella, slanciata ma piena. In lei c'era di tutto un po', ed era quello che a lui piaceva da matti.
Gli aveva fatto quella domanda perché, dopo che per tutti quei giorni aveva tirato avanti la storia di quanto stesse meglio rasato, voleva veramente capire il motivo di quella decisione, presa al volo in un momento di debolezza, ossia da appena sveglio. Non voleva avere la presunzione di pensare di esserne la causa, ma semplicemente voleva sapere.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora