35. in balia delle onde

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Alessia sbuffò, lasciando cadere la propria borsa accanto alla porta e poi si girò, osservando il biondino che si barcamenava tra le valigie. Prese la sua e lo aiutò, trascinandola via e poi si buttò sul divano, posandosi una mano sugli occhi. Era tardissimo, li sentiva secchi e bruciavano come se fossero giorni che non dormiva, la testa le faceva male e le pesava sopra il collo, sembrava una tonnellata e quasi non riusciva più a sopportarlo. Avevano appena passato più di cinque ore in treno, tra ritardi e pause fastidiose. Non sapeva perché alla fine aveva accettato di andare con lui a Torino, da quando erano tornati a casa dopo la festa a casa di Angelica non avevano quasi spiccicato parola, giusto qualche cenno con la testa e degli insipidi sorrisetti che sembravano aver convinto suo padre e Nina del fatto che tra di loro fosse tutto tranquillo. La verità era che non andava per niente bene tra di loro, anzi, e soprattutto sembrava che non avessero nulla da dirsi. Dopo quella litigata era come se le cose si fossero gelate, entrambi restavano sulle proprie posizioni senza nemmeno cercare un confronto, come se nemmeno gli interessasse.

«Hai fame?» le chiese Federico, lasciandosi cadere sul bracciolo del divano e mantenendo le gambe divaricate. Guardava davanti a sé, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Non era arrabbiato, era freddo e distaccato, perché proprio non la capiva.

«Sì» rispose Alessia. I suoi occhi, invece, erano fissi su di lui, lo osservavano insistentemente, come se potesse scottargli la pelle e così attirare la sua attenzione. Si sentiva morire nel sapere che, dopo essere riuscita a catalizzare l'attenzione di quel ragazzo per così tanto tempo, le era scappata dalle mani, le era sfuggita tra le dita, e non poteva più godere dei suoi occhi verdi che la esaminavano, curiosi e furbi allo stesso tempo, delle sue mani che fremevano, dei suoi denti che torturavano l'interno del suo labbro inferiore mentre la guardava. Che poi, come se fosse successo chissà che: si erano trovati in disaccordo su un determinato argomento e lei aveva tirato in ballo le parole di lui. Effettivamente, quello forse era stato politicamente scorretto, eppure era stata la prima cosa che le era venuta in mente. Davanti a quella frase così semplice e così pregna di significato, davanti a quel nuovo anno che si preannunciava essere il loro anno, si era voluta tirare indietro, per paura di qualcosa che non sapeva nemmeno lei cosa fosse. Cosa aveva da temere, con Federico? Anche se sicuramente non viveva nell'ambiente ideale per moltissimi motivi, era una persona genuina, semplice, si vedeva quanto ci tenesse a lei e anche suo padre lo aveva capito, il che sottintendeva quanto fosse ovvio quel sentimento che stava nascendo.

«Allora ordineremo qualcosa» replicò semplicemente lui, scrollando le spalle. Si alzò dal bracciolo del divano e si sfilò la giacca dalle spalle, recuperando il proprio telefono dalla tasca e sbloccandolo, controllando le varie notifiche. Sapeva cosa stava facendo e odiava quella situazione tra di loro perché, prima di tutto, odiava litigare in quel modo. Sarebbe riuscito a sopportare uno di quei litigi tutti urla e lacrime, in cui ci si sputa le cose in faccia e le guance diventano rosse per la foga e la rabbia, ma quella specie di tregua che avevano instaurato sembrava più una guerra fredda: si parlavano il meno possibile, non si toccavano nemmeno per sbaglio e si guardavano talmente raramente che, se non avesse avuto i tratti di lei chiaramente scolpiti nelle proprie sinapsi e sotto le proprie dita, avrebbe avuto paura di esserseli dimenticati e di non essere in grado di riconoscerla.
Odiava averla lì, a casa sua, a Torino, e non sentirsi al settimo cielo e non sapeva come risolvere quella situazione perché dipendeva tutto da lei. Si chiedeva cosa avesse sbagliato, perché lei avesse deciso di tornare sui suoi passi dopo avergli fatto giusto mordicchiare, nemmeno assaggiare, la sensazione di essere sua. Le diede le spalle e si diresse verso la cucina, intenzionato a prendere un bicchiere d'acqua per cercare di stendere un attimo i nervi e allontanarsi da quell'atmosfera talmente satura di parole non dette da soffocarlo quasi.

«Mi puoi parlare per favore? Cosa ti ho fatto?» esclamò Alessia, implodendo sotto il peso dei suoi pensieri e infastidita dal fatto che lui se ne stesse andando. Federico si fermò e rimase immobile per un attimo, per poi girare giusto la testa, facendole capire che la stava ascoltando, ma senza guardarla direttamente, consapevole che, davanti a quegli occhi azzurrissimi e al suo viso pallido martoriato dalla stanchezza, non sarebbe stato in grado di mantenere fede ai propri propositi di chiarire con lei prima di fare qualsiasi altra cosa che la includesse. Quel gesto, però, la fece innervosire ancora di più, e inconsciamente indurì la propria mandibola e il proprio sguardo divenne freddo come il ghiaccio che spesso veniva associato al colore dei suoi occhi.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora