27. ti aspetto su

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I suoi occhi analizzarono bene il parcheggio, cercando l'auto che conosceva bene. Ormai era inverno, il buio era sceso presto e nonostante fossero solo le otto il cielo sopra Torino era nero come nella più profonde delle notti. Alessia si strinse nel proprio cappotto scuro, guardandosi in giro nervosamente, per poi finalmente trovare il suo punto di riferimento. Federico l'aveva avvisata che non sarebbe potuto scendere dalla macchina se avessero voluto evitare di essere schiacciati su qualche sito web di gossip già la mattina dopo. Si avvicinò alla portiera del passeggero, con un sorriso sincero stampato in viso la aprì e ci si infilò dentro velocemente, sedendosi in silenzio mentre il biondino la osservava. Aveva il gomito sinistro appoggiato alla portiera e si passava le nocche della mano sulle labbra, come ad accarezzarle leggermente, quasi nervosamente. I suoi occhi seguivano i movimenti veloci della ragazza mentre lei appoggiava la schiena e si metteva comoda sul sedile. Sospirò, divertito dal fatto che non avesse ancora detto nulla.
Lei si girò verso di lui, rivolgendogli uno sguardo veloce per poi guardare la stazione davanti a sé. Sentiva calore nello stare vicino a lui, quasi come se la prossimità del suo corpo tonico potesse farla sentire meglio, a proprio agio.

«Ho qualcosa in faccia?» gli chiese, facendo finta di non capire dove volesse arrivare lui. Sentiva le sue stesse mani fremere, aveva voglia di toccarlo e di sentire la sua pelle contro la sua. Lui l'aveva vista da lontano, si era accorto di quanto fosse spaesata. I suoi fianchi, nascosti dal cappotto lungo, la sua vita stretta e il suo addome tonico coperti da un maglioncino chiaro. La vedeva bella e, allo stesso tempo, non gli importava quanto fosse attraente, ormai non era più la cosa più importante per lui. Voleva passare il tempo con lei, conoscerla meglio, parlare con lei fino alla mattina, condividere con lei tutto quello che sarebbe successo in quei giorni.

Ormai non era più una cosa fisica per lui, la vedeva come non solo qualcuno con cui fare sesso, ma qualcuno con cui condividere molto di più. Ne aveva parlato con Paulo, il primo e l'unico ad averlo avvisato riguardo ai rischi che avrebbe corso a infilarsi in una cosa del genere. Gli aveva raccontato tutta la storia, dall'inizio, quasi dieci anni prima, alla fine, quella sera a Firenze. L'amico gli aveva sorriso, gli aveva dato una pacca sulla spalla e aveva scosso la testa prima di spiegargli che era fregato, che c'era dentro fino alla punta dei capelli e non c'era molto da fare ormai.

«Sì, aspetta» allontanò il suo braccio sinistro dalla portiera e portò la sua mano al viso della ragazza, accarezzandole per un attimo la guancia, seguendo con l'indice la linea del suo zigomo e con il mignolo quella della mandibola, finendo sulle sue labbra. Le guardò per un attimo, osservando le curve quasi perfette che le formavano e il colore rosato che le caratterizzava. Con il freddo invernale di Torino, le sue guance erano diventate dello stesso colore. Alessia posò una mano sulla sua gamba e si sporse, perché non poteva più sopportare quella lontananza e, allo stesso tempo, voleva far finire al più presto quel momento così intimo che stavano avendo.

Fece unire le sue labbra a quelle di Federico, che stava aspettando quel momento da più di quanto volesse ammettere. Era come se fosse stato in apnea per così tanto tempo che si era quasi dimenticato come respirare, e poi lei gliel'aveva insegnato di nuovo, tutto da capo. Che coglione che sono a essermi infilato in una cosa del genere, pensava, mentre le loro labbra continuavano a unirsi e allontanarsi. Era arrabbiato, con sé stesso prima di tutto, perché a venticinque anni se c'era una cosa che pensava di conoscere era il proprio carattere e il proprio modo di rapportarsi alle persone. Sapeva che non sarebbe stato in grado di mantenere una cosa del genere, non con una ragazza che lo aveva intrigato molto prima di trascinarlo nel proprio letto, eppure ci si era buttato dentro a piedi pari, con la sicurezza che solo i ragazzini possono avere. Ma lui non lo era più, ed era rimasto fregato. Aveva bisogno di parlarle, gliel'aveva detto anche Paulo, ma non sapeva se quel weekend si sarebbe presentato il momento giusto. Era chiaro quanto fosse stanca e stressata e lui stesso le aveva detto che avrebbe potuto passare  almeno una parte del tempo a studiare, quindi, conoscendola, già immaginava che non ci sarebbe stato tanto tempo per parlare come l'ultima volta.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora