69. felice

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Federico sorrise alla donna che gli aveva appena aperto la porta, anche se sperava di non doverla nemmeno vedere. Non sapeva nemmeno come qualificarsi, davanti ai suoi occhi, perché in realtà non sapeva nemmeno lui cosa fosse e perché esattamente si sentisse così attirato a quel luogo in particolare, o forse lo sapeva fin troppo bene. La sera prima aveva mandato un messaggio ad Alessia, le aveva chiesto di fare gli auguri di compleanno a Delilah da parte sua perché non aveva né il numero di Nina né quello di Claudio, e ci teneva che quella bambina dolcissima sapesse che lui la pensava, nonostante lui e sua sorella si fossero lasciati. Lei aveva visualizzato e non aveva risposto, lo stesso atteggiamento che aveva adottato qualche giorno prima, quando lui aveva risposto a una storia nei suoi amici più stretti. Non si aspettava che fosse carina con lui, che gli scrivesse il buongiorno ogni mattina e la buonanotte ogni sera, né che gli chiedesse regolarmente di fare colazione, pranzo e cena insieme, ma almeno che mantenessero rapporti civili, considerato che, per come si erano salutati, era quasi scontato che avrebbero almeno mantenuto quelli. La verità era che era abbastanza preoccupato per lei, e per quello era lì. Se era vero che le buone notizie corrono velocemente, era anche vero che le cattive notizie vanno decisamente per un'altra via, una preferenziale, e arrivano prima di subito. Così, quando si era preso un'altra giornata con le proprie nipotine in spiaggia, aveva visto Nicola con suo figlio e, dopo averlo salutato, al ragazzo era scappato di aver litigato con Alessia e, nel chiedergli il perché, lui aveva risposto che era perché aveva lasciato Anna.
A quel punto, il desiderio di vederla, anche solo per un'ora, era stato facilmente e velocemente surclassato dalla preoccupazione per come stesse. Sapeva che voleva bene a quel bambino come se fosse figlio suo, che si era presa cura di lui nonostante nutrisse non pochi dubbi riguardo quella relazione tra i suoi due migliori amici, e, dopo gli auguri per Delilah, le aveva scritto proprio quello, le aveva chiesto come stesse, se avesse voglia di parlare, perché sapeva che ad ascoltare era discretamente bravo e che con lei gli veniva abbastanza bene. Quel messaggio non l'aveva nemmeno visualizzato, ma era impossibile che non l'avesse visto. A costo di presentarsi a casa sua di soppiatto, senza che lei sapesse nulla, e di fare la ridicola figura del sottone, ancora una volta, voleva sapere come stesse, perché sapeva che lei, con lui, era sempre sincera, e si lasciava ascoltare, cosa che difficilmente faceva con qualsiasi altra persona.
Si fece indicare la porta della camera della ragazza da sua madre, come se veramente non sapesse dove fosse, e, ringraziandola, salì le scale il più tranquillamente possibile, per poi bussare leggermente alla porta. Dall'altra parte, sentì un segno di assenso leggero, un mormorio nascosto, e aprì la porta, infilandocisi dentro.

«Ehi» mormorò, guardandola preoccupato. Era in piedi accanto al letto, aveva dei fogli con gli appunti in mano e i capelli legati sopra la testa nella maniera più disordinata che esistesse. La maglietta che aveva addosso sicuramente doveva aver passato momenti migliori, perché era sgualcita e sembrava non avere nemmeno più colori stampati sopra, ma solo contorni poco definiti, oltre che essere molto lontana dalla forma originale che doveva avere. Alessia si girò di scatto verso di lui, come se le avesse dato una scossa e anche abbastanza forte. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano parecchio marcate e aveva un'espressione talmente eloquente da fargli venire seriamente il dubbio riguardo se fosse il caso di chiederle come stesse, perché era palese che non fosse proprio in ottima forma.
Nonostante la finestra fosse socchiusa, e quello portasse anche a un'incredibile livello di umidità a causa del caldo che faceva fuori, l'aria era impregnata di un insopportabile odore di fumo, come se avesse passato le precedenti due o tre ore a fumare senza fermarsi un attimo, e il posacenere sul davanzale era pieno di mozziconi. Sul letto, sfatto, quella che sembrava una quantità incredibilmente grande di libri era aperta in maniera disordinata, ed era impossibile anche per lui, che decisamente sembrava essere più lucido di lei, trovare il filo logico che li collegava.

«E tu che ci fai qui?» esclamò Alessia, mentre Federico lasciava la porta socchiusa per far circolare almeno un po' l'aria nella stanza. La sua voce era roca, secondo le sue aspettative riguardo il fumo, e allo stesso tempo gracchiante, quasi isterica, a dimostrare quanto fosse stupita nel vederlo lì.
La castana si passò una mano sul viso, incredula. Avere Federico nella sua stanza proprio in quel momento era veramente l'ultima cosa che desiderava, perché se già non riusciva a tollerare l'idea di essere stata con lui quella manciata di giorni prima dopo quello che le aveva detto Nicola, vederlo lì, nel suo momento di crisi massima prima di un esame, le faceva solo venire voglia di urlargli contro quanto non lo sopportasse. E, insieme a lui, non sopportava nemmeno il fatto che fosse lì, che facesse finta di preoccuparsi per lei, per Delilah, e soprattutto il fatto che volesse veramente ancora rapporti con lei, da amici, come se veramente lei sarebbe stata capace di tollerare la sua presenza intorno.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora