Scoppiai a ridere al vedere il volto rosso della mia amica mentre si fermava per quella che doveva essere la terza o la quarta volta da quando eravamo partite da casa.
Anna si piegò sulle ginocchia e allungò le braccia verso terra, già stanchissima dopo solo uno o due chilometri.«Già stanca?» la presi in giro io, fermandomi qualche metro più in là per poi tornare indietro per raggiungerla. Lei alzò il viso verso di me e si fece forza appoggiandosi al mio braccio per mettersi dritta.
«Non sono allenata come te ed è la prima settimana di agosto, non esattamente il periodo perfetto per correre all'aria aperta in città» si lamentò lei, con un evidente fiatone e i capelli attaccati al retro del collo a causa del sudore. Quando ero passata a casa sua per cominciare la corsa, l'avevo presa in giro per almeno dieci minuti perché si era messa un paio di pantaloni lunghi neri e una maglia dello stesso colore che probabilmente aveva da quando aveva fatto l'animatrice al centro estivo almeno una decina di anni prima. Sicuramente non era l'abbigliamento adatto per affrontare una corsa sotto il caldo afoso di agosto.
«Mi hai chiesto qual è il miglior metodo per alleviare lo stress dell'università!» mi giustificai io. Sapevo che quell'ultimo mese prima della presentazione della tesi sarebbe stato duro. Dopo tanti esami fatti, sapevo perfettamente come mi sarei comportata: avrei smesso di mangiare, di vedere i miei amici e avrei avuto difficoltà a dormire.
Nonostante sapessi che comunque dopo la laurea avrei dovuto fare due anni di specializzazione e un periodo di tirocinio, sentivo come se una pagina della mia vita si stesse chiudendo per dare spazio a un'altra.«Forse ti conviene tornare a casa prima che tu svenga per strada. Ci sentiamo, okay?» lei si avvicinò per abbracciarmi e io la strinsi nonostante fosse sudatissima. Anna si girò dall'altra parte e si incamminò sulla via di casa. Io, invece, ripresi la mia corsa tranquillamente, facendo ripartire la musica.
Quando correvo potevo pensare a tutto senza distrazioni, la musica serviva solo come sottofondo ai miei pensieri rumorosi e mi aiutava a far andare avanti le gambe che però a un certo punto cominciavano ad andare da sole.
La mia tesi era finita, era anche già stampata e aspettavo solo il momento dell'esposizione per togliermi una cosa che alla fine era solo diventata un peso sullo stomaco.Dopo il nostro ultimo incontro, io e Federico non ci eravamo più visti ma ci sentivamo più o meno regolarmente. Ci prendevamo in giro come avevamo fatto anche di persona quelle poche volte che ci eravamo visti e parlavamo di cose normali, senza mai scendere troppo nel personale.
In quei giorni non era sicuramente rimasto indiscusso l'evento che sarebbe stata la mia laurea. Quella volta non avevo avuto problemi a dirgli quando fosse e dove fosse, nonostante avessi deciso che forse sarebbe stato meglio tacere per quanto riguardava le paure legate al mio futuro.Ma non pensai solo a Federico mentre stavo correndo, anzi, il mio inconscio scivolò quasi subito su Nicola. Il suo comportamento era strano già quando io e Anna eravamo tornate da Tenerife ma quella stranezza era aumentata con le settimane. Andava in palestra il doppio delle volte a settimana, tornava a casa tardi la sera, si faceva la barba ogni mattina. Tutte cose strane e decisamente non da lui, basti pensare che ci avevo messo anni per convincerlo a fare un minimo di esercizio fisico che non fosse una partita di calcetto ogni tanto il venerdì o il saltare dal divano per novanta minuti tutti i martedì e mercoledì sera quando c'era la Champions League.
Non parlavamo più tardi la notte perché lui era sempre fuori oppure perché era troppo stanco, non mangiava più le crêpes la domenica mattina e aveva cominciato a smettere di dipendere dal cibo d'asporto.
Non beveva più birra, solo vino. Sembrava essersi addirittura messo in pari con gli esami dell'università: sarebbe diventato fisioterapista presto, probabilmente entro la fine dell'anno.
Ma la cosa che mi preoccupava più di tutte era il fatto che non mi parlasse più di nessuna ragazza. Non portava più nessuna a casa, non si lamentava dell'insistenza nel sentirlo di nessuna, non mi chiedeva più di aiutarlo a mollare una ragazza che gli stava troppo addosso.
Sembrava essersi messo la testa a posto e, per quanto fossi felice per questo, la cosa allo stesso tempo mi spaventava. Ero cresciuta con un ragazzo spensierato, impulsivo e a volte anche troppo onesto. Nonostante sapesse quando era il momento di essere serio, sapeva anche quando era il momento di divertirsi e lì dava il meglio di sé. Ma in così poco tempo sembrava essere diventato finalmente un adulto e non sapevo se la cosa mi rassicurasse o, al contrario, mi facesse paura, perché mi sembrava di non sapere più niente di lui.
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complici, federico bernardeschi
Fanfiction"Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci, e le dicerie dei vecchi severi consideriamole tutte di valore pari a un soldo. I soli possono tramontare e risorgere; noi, quando una buona volta finirà questa breve luce, dobbiamo dormire un'unica notte eterna. D...