40. dirti di no

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Federico stava ridendo di una battuta fatta da Juan quando sentì la tasca dei propri pantaloni della tuta vibrare insistentemente, segno che stava ricevendo una telefonata. All'inizio fece finta di nulla, odiava adoperare il cellulare a tavola e aveva sentito Francesca prima di pranzo, che l'aveva rassicurato sulla salute dei suoi cagnolini, quindi in quel momento non sembrava esserci nessuno di più importante. Dopo qualche attimo, però, il silenzio cadde sulla tavolata visto che le risate si erano estinte e il suono della vibrazione divenne udibile a tutti, e ognuno si girava a destra e a sinistra per capire da dove provenisse quel suono fastidioso, quindi lui, imbarazzato, lo sfilò velocemente dalla tasca e si alzò di scatto quando vide il nome sullo schermo e, scusandosi, si allontanò fino all'angolo più incubo. Da lì poteva vedere facilmente la situazione in tutta la sala da pranzo senza essere disturbato «Pronto» mormorò, la voce quasi in un sussurro per paura che qualcuno potesse sentirlo «Alessia, cosa c'è?» aggiunse dopo, con un tono di voce più alto. Paulo, che sembrava avere un radar per quanto riguardava quel nome, alzò lo sguardo dal proprio piatto per rivolgerlo all'amico, che però subito lo rassicurò con un gesto della mano, come se non fosse nulla. Non le aveva scritto come gli aveva consigliato lui, e quindi aveva sbagliato, però la fortuna sembrava essere dalla sua parte quella giornata perché stranamente era lei a fare un passo avanti.

«Ho bisogno di parlarti» disse la ragazza, adoperando lo stesso tono di voce. Lei, invece, era in treno, dove regnava un religioso silenzio ed era molto imbarazzante interromperlo per parlare al telefono, quindi si alzò dal proprio posto e finse di doversi dirigere in bagno, decidendo però di percorrere tutto il treno per cercare di rilassare un po' i nervi che in quel momento sembravano tirati come una corda di violino.

«Parla, non ho tanto tempo, tra poco ricomincia allenamento» rispose il biondo, facendo un po' il sostenuto anche se pendeva dalle sue labbra. Si mordicchiò l'interno della guancia, pentendosi quasi subito del suo tono duro. Aveva paura di averla spaventata o qualcosa del genere, e che si fosse magari già pentita di averlo contattato.

«No tu non hai capito, sto venendo a Torino» replicò Alessia, adottando lo stesso tono di voce e, come aveva immaginato lui, infastidita da quella reazione. Il silenzio cadde sui due e la ragazza sospirò.

«Cosa devi venire a fare a Torino?» domandò lui, qualche attimo dopo, per cercare di capire bene la situazione mentre il suo cuore galoppava direttamente tra le sue costole. Se la poteva immaginare tranquillamente seduta sul sedile di un treno, esattamente come quella sera in cui erano andati in treno da Trieste a Torino e, mentre la luce del sole che stava tramontando a giocare con i colori del suo viso, lei leggeva tranquillamente uno dei suoi mille libri.

«Parlarti, te l'ho detto» chiarì la castana, riportandolo con i piedi per terra. Guardò velocemente Paulo, che lo raggiunse quasi subito rendendosi conto che stava succedendo qualcosa di strano.

«Okay» esclamò, appoggiandosi al muro e facendo cenno all'amico di appoggiarsi accanto a lui «Okay devi parlarmi e quindi stai venendo a Torino» ripetè dopo, facendo capire all'argentino cosa stesse succedendo. Lui annuì, scrutandolo con uno sguardo attento, e poi entrambi aspettarono una risposta.

«Esatto. Allora non sei così duro di comprendonio come pensavo» lo prese in giro lei, ritrovando per un attimo la leggerezza che aveva sempre caratterizzato il loro rapporto. Mentre camminava lentamente per i vagoni del treno e si mangiucchiava una pellicina, pensava a quanto avrebbe voluto essere con lui. Non proprio in quel momento, ma sicuramente essere a Torino avrebbe di molto facilitato le cose per quel rapporto che non sembrava proprio voler cominciare.

«Non penso tu sia nella posizione di scherzare» la frenò subito Federico, il tono di nuovo duro come all'inizio. Strinse la mano libera e la nascose dietro la schiena perché ancora una volta non era riuscito a controllarsi e aveva lasciato che l'impulsività prendesse il sopravvento e con lei sapeva di non poterselo permettere.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora