57. dartela

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Federico sospirò, spingendo la porta d'ingresso perché si chiudesse. Sentiva tutti i muscoli nelle gambe tirare, così come quelli dell'addome, delle spalle, delle braccia.
Amava giocare, perché gli dava quella sensazione di totale potenza, quell'adrenalina che gli incendiava le vene sotto la pelle, quell'incredibile forza che lo faceva sentire invincibile, ma amava giocare ancora di più perché così si risparmiava gli allenamenti più duri, quelli della domenica.
Erano terribili, anche perché in linea di massima avrebbe preferito passare la giornata a casa, perché aveva la consapevolezza che almeno undici dei suoi compagni passavano quella giornata in famiglia, con le loro fidanzate o mogli, i loro eventuali figli, a rilassarsi a casa, considerato che non potevano poi spostarsi tanto.
E, come se non fosse bastato, erano ormai giorni che con Alessia le cose non andavano. Da quando lei era inchiodata a casa, senza niente da fare se non studiare, allenarsi e pensare fin troppo a ciò che la faceva stare male, sembrava fosse diventata una bomba a orologeria. Così, ogni minimo inghippo e ogni fastidio veniva ingrandito, reso esponenzialmente più grande, fino a che non esplodeva direttamente nel petto della castana, che sopportava parte di quello che la sua stessa testa creava, ma che a un certo punto proprio non ce la faceva più. E quindi, era una settimana che Federico non osava nemmeno toccarla e, quando lo faceva, era come se si bruciasse. Dormivano nello stesso letto, sì, pranzavano allo stesso tavolo, guardavano la televisione insieme la sera, dopo il telegiornale, ma nulla sembrava essere come prima.
In tutto quel casino, Jessica era una spettatrice silenziosa, sempre a disagio, un'ombra di quella che sembrava essere la ragazza entusiasta di vivere con una sua cara amica e il suo fidanzato simpatico.
Niente sembrava andare bene.

«Sono a casa!» esclamò pigramente, appoggiando il borsone vicino alla porta e poi girandosi verso la cucina. Davanti al ripiano, c'era una figura che muoveva velocemente le braccia, chiaramente impastando qualcosa. Aveva i capelli castani legati in una crocchia ordinata, e il corpo nascosto da una tuta che le stava troppo larga per essere effettivamente sua. Camminò lentamente verso di lei, stando attento a non trascinare i piedi perché la sera prima era esplosa proprio per quel motivo, e decise che voleva proprio abbracciarla, per provare a sentire quel calore che, sulla sua pelle, riusciva a far scoppiettare solamente lei. Lentamente, cinse la sua vita con le braccia e, stranamente, non sentì alcuna resistenza, Così, si appoggiò totalmente al suo corpo, posando anche la testa sulla sua spalla «Ciao 'mo» mormorò, ma sentì il corpo di lei irrigidirsi, e poi voltò il viso verso di lui. Federico sbarrò gli occhi, allontanandosi come scottato dalla giovane, sconvolto da quello che aveva davanti «Dio mio! Jessica, che hai combinato ai capelli?!» esclamò la prima cosa che gli venne in mente, con la voce stridula, mentre lei lo osservava con la stessa espressione: gli occhi scuri sbarrati, la bocca schiusa, le sopracciglia sollevate. Poi, il suo viso cambiò, da totalmente stupito a leggermente divertito, mentre il biondo non sapeva veramente cosa dire. Si era tinta i capelli, quello era chiaro, non li aveva più rossi ma castani, incredibilmente simili a quelli dell'amica, e lui l'aveva scambiata per la sua ragazza. Eppure, a vederla così, era chiaro che non fosse Alessia: aveva ai piedi dei calzetti spessi, e lui più di chiunque altro sapeva quanto lei invece adorasse girare con i piedi nudi, e il suo fisico era chiaramente poco scolpito nonostante fosse avvolta da strati e strati di tessuto. Si diede dello stupido.

«Ho deciso di cambiare, tutto qui. Avresti dovuto vedere la tua faccia» spiegò lei, scrollando le spalle e trattenendo faticosamente un'altra risata fragorosa. Federico scosse la testa e si appoggiò al ripiano della cucina, per poi sostenere la propria testa con una mano.

«Mi aspettavo Alessia, scusami» mormorò poi, scuotendo leggermente la testa e guardandola di sottecchi, quasi come se avesse paura che a incrociare il suo sguardo di sarebbe bruciato. Si sentiva sporco, non riusciva a capire come avesse fatto a confondere le due «Stai bene comunque, mi piacciono» aggiunse poi, indicando sommariamente i suoi capelli con un dito.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora