21.Due parole

1.1K 42 8
                                    

«E basta» si lamentò, alzando gli occhi al cielo scherzosamente. Anna si allontanò dal viso di Nicola, non prima di avergli lasciato un ultimo bacio leggero sulle labbra. Erano entrambi sorridenti e anche lei era così contenta. Era passata poco più di una settimana da quando era tornata da Torino e, nonostante il pensiero di Federico e di quello che era successo fosse rimasto un tarlo nella sua testa, aveva fatto l'esame di ammissione alla scuola di specialità, era stata presa e aveva ricominciato a studiare come aveva sempre fatto. La sua camera era tornata ad essere piena di fogli, fotocopie, appunti, evidenziatori, penne finite e matite senza punta.

Federico, nel frattempo, era tornato con la Nazionale. Era tornato ad allenarsi con alcuni dei suoi amici più stretti in ambito calcistico, ma anche per lui la testa rimaneva sempre da un'altra parte, a Firenze, quella notte in cui la cupola del Duomo sembrava più bella di quanto fosse mai stata vista attraverso i suoi occhi, oppure a Carrara, la prima volta che si erano baciati e pensava che la sua pelle bruciasse a causa della scottatura appena presa. Eppure era sempre quella la sensazione che provava con lei, come se stesse bruciando ma di un fuoco piacevole e che non voleva che si spegnesse mai.

«Sei solo invidiosa» rispose il suo migliore amico, facendole la linguaccia. Loro due erano abbracciati dall'altra parte del divano. Il braccio sinistro del biondino stava cingendo la vita della mora e la stava accarezzando dolcemente. Alessia si sentiva un po' invidiosa, come aveva detto lui, ma non l'avrebbe mai ammesso, perché si sentiva come se avesse sprecato la sua occasione, anche se sapeva che non era vero.

Il biondino, dall'altra parte d'Europa, disse un'ultima cosa a Federico Chiesa prima che entrambi lasciassero lo spogliatoio, uno diretto verso la panchina e uno verso il campo.

«Ma che» replicò lei, ridendo con loro due. La televisione stava andando avanti con il volume basso, probabilmente mostrando l'ennesima pubblicità o qualcosa del genere, che a nessuno interessava.

«Il mio cuore di ghiaccio» Anna si allungò verso di lei e li diede un bacio sulla guancia. Era sempre stata affettuosa, quasi appiccicaticcia a volte. Quando era tornata a casa l'aveva chiamata e il giorno dopo erano uscite a pranzo, avevano parlato e discusso un po' di tutto, e si erano capite, perché una si era innamorata e non era sicuramente Alessia a dover mettere a quei due dei muri o dei limiti.
Scosse la testa e rimase nella sua posizione, appoggiata allo schienale con le gambe incrociate e una coperta leggera sul suo corpo.
Posò lo sguardo sulla televisione proprio nel momento giusto, quando si accorse che stava per iniziare una partita della nazionale.

Nicola le rivolse uno sguardo veloce, come per accertarsi che nel suo viso non ci fosse alcun segno di cedimento, e lei gli fece un sorriso sincero. Non l'avrebbe sicuramente disturbata vederlo giocare. Per niente, anzi. Le mancava vederlo e quella era l'occasione perfetta per colmare quel vuoto senza che lui lo sapesse necessariamente. La ragazza in mezzo a loro due non sapeva ancora nulla di quella storia, pensava che nella settimana che aveva passato via fosse stata da suo padre a Trieste quando in realtà era dalla parte opposta d'Italia.

«Vado a prendere qualcosa da mangiare mentre guardiamo la partita?» chiese, considerato che aveva appena visto che lui non sarebbe partito titolare e che quindi non si sarebbe persa niente in ogni caso. I due piccioncini si girarono verso di lei e annuirono senza dire niente. Forse nel viso del ragazzo c'era qualcosa di strano, qualcosa che aveva a che fare con il biondino che si intravedeva qualche volte sullo schermo della televisione, ma lei fece finta di nulla e andò in cucina.

Lì, sul piccolo ripiano accanto ai fornelli, c'era il suo telefono. Lo prese in mano e digitai velocemente il suo nome. Stava per mandargli un messaggio e cedere a quel desiderio che avevo da quando i nostri sguardi si erano separati prima che lei entrasse in stazione a Torino, ossia quello di sentirlo, di vederlo, di sapere come sta, ma poi si rese conto dell'assurdità di quello che stava per fare. Non lo avrebbe rincorso di nuovo, sperando che lui si accorgesse di lei ancora una volta. In più, non avrebbe nemmeno potuto rispondere al telefono in quel momento. Cancellò tutto e aprì un'altra chat.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora