8. aceto di mele e cotone

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Mi rigirai ancora una volta nel letto, cercando di trovare una posizione comoda per tornare a dormire. Dopo essermi assopita per un paio di ore mi ero svegliata per andare in bagno e, ritornata nel letto, non riuscivo più ad addormentarmi.
Quella era solo l'ennesima prova per cui per me cambiare letto era un trauma bello e buono.
Presi il mio telefono e controllai l'ora. Erano solo le tre del mattino.

Sbuffai e spostai il lenzuolo, mettendo i piedi per terra e alzandomi dal letto. Mi sistemai la vecchia maglia slavata del mio coinquilino che avevo addosso, che si era alzata mentre mi agitavo nel sonno.
In quel momento la mia testa corse proprio verso il mio coinquilino. Mi aveva mandato un messaggio quel pomeriggio e io non avevo neanche avuto l'occasione di rispondergli, così presi in mano il telefono e, zampettando per evitare di fare troppo rumore, socchiusi la porta e sgusciai fuori dalla camera. Adocchiai per un attimo la porta della stanza di Federico e mi immaginai quasi istantaneamente il suo volto rilassato nel sonno, le labbra socchiuse e le gambe aggrovigliate alle lenzuola.
Scesi velocemente le scale e aprii la porta per uscire nel portico. Mi sedetti al posto che avevo occupato in precedenza quello stesso giorno. Le mie sigarette erano ancora sul tavolo.
Composi velocemente il suo numero e aspettai che il telefono squillasse.

«Essia, a quest'ora si dice buongiorno o buonanotte?» lui rispose quasi subito, l'ironia era chiara nel suo tono di voce. Probabilmente l'avevo svegliato, ma parlare a tarda notte per noi era normale, quindi spesso lo facevamo anche se non eravamo nella stessa casa. Non eravamo abituati a stare lontani.

«Buongiorno» dissi io. Pensai che probabilmente aveva i capelli biondi scompigliati e gli occhi ancora mezzi addormentati. Provai un'infinita tenerezza a sentire la sua voce roca. Gli volevo talmente bene da stare quasi male.

«Vuoi confessarmi qualcosa? Dimmi tutto dai» tirai su le gambe e appoggiai i piedi sulla sedia su cui ero seduta. Non sapevo esattamente di cosa volevo parlargli, volevo semplicemente sentire la sua voce dirmi qualcosa di rassicurante.

«Nico» mi lamentai. Mi dava fastidio come riuscisse sempre ad arrivare dritto al punto, ma allo stesso punto mi faceva piacere sapere che al mondo c'era una persona che mi capiva fino in fondo. Il flusso dei miei pensieri si fermò quando sentii una porta chiudersi. Mi girai velocemente verso la casa, ma nulla sembrava essere cambiato, così capii che era successo qualcosa dall'altro capo della linea. «Non ci credo, sei con Marta» esclamai, per poi tapparmi la bocca, un po' per il fatto che ero sconcertata e un po' perché non volevo fare troppo casino.

«Mi hai beccato» immaginai la sua reazione talmente chiaramente da poterlo quasi vedere davanti a me. Ero sicura che avesse una mano tra i capelli e lo sguardo divertito «Ma non è Marta»

«Come non è Marta? Chi è?» se io pensavo che la mia vita sessuale fosse triste, anche solo ad ascoltare il mio coinquilino che mi raccontava della sua, di vita sessuale, mi sentivo ancora peggio. Aveva una tale facilità nel trovare delle ragazze che mi sembrava quasi che fosse impossibile.

«Giulia, te ne avevo parlato mi pare» sentii una sedia strisciare sul pavimento e capii che era andato in terrazzo per parlare più tranquillamente al telefono senza svegliare questa ragazza che era nel suo letto.

«No, non me ne avevi parlato» gli risposi «Comunque non è possibile che tu cambi ragazza ogni fine settimana, lo sai che sono gelosa» lo presi in giro per evitare di piangermi addosso sulla sua facilità nell'avere una relazione, anche minima.

«Tranquilla Essia, sarai sempre tu la donna della mia vita» lui mi resse il gioco e ridacchiò non appena ebbe completato di pronunciare quella frase. Quel soprannome era usato solo da lui, e mi ricordava i tempi del liceo in cui passavamo tanto tempo insieme per studiare.

complici, federico bernardeschiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora