Capitolo 49 (parte 2)

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"Amami quando meno lo merito,
perché sarà quando più ne avrò bisogno"
G.V. Catullo

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(SECONDA PARTE DEL CAPITOLO PRECEDENTE, STESSE RACCOMANDAZIONI ED È ANCORA DAL PUNTO DI VISTA DEL PROTAGONISTA MASCHILE)

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Brandon

-Stai scherzando vero?- mi chiede Marcus mentre osserva il volantino.
-Non puoi andare in una base militare!-
-E perché?- domando subito io puntando lo sguardo nel suo.
-Non ho niente da perdere...- alzo le spalle, consapevole di avere ragione.

-Pensi che risolverai in qualche modo la tua violenza stando lì dentro?- domanda con sarcasmo.
-Tutti sanno cosa hai fatto qui...- scuote la testa, i suoi occhi riescono a trasmettermi il disgusto che prova per me.
-Non me lo sarei aspettato da te...- mormora.

Neanche io.
Cazzo,
neanche io mi sarei aspettato di essere capace di fare una cosa del genere...

Ma l'ho fatto.

Ho picchiato e bruciato una sigaretta sulla mano di un ragazzino solo perché lui ha fatto la cosa giusta,
ma che per me era sbagliata.

Ho paura di quello che sono capace di fare.

-La signora Meredith ha detto che dovresti andare a farti aiutare piuttosto che in questa base...- dice improvvisamente lui.
-Lei crede che tu non sia cattivo e che puoi ancora sistemare le cose-

Sono parole molto rassicuranti,
Non le merito.
Non merito qualcuno che pensi ancora bene di me e che speri che io cambi.

-Io ormai ho deciso...- mi alzo dal letto -Appena avrò compiuto diciott'anni me ne andrò da questo posto di merda...- guardo ogni angolo della stanza buia, perché non devo dimenticarmene.
Questa è stata la mia "casa"

Vado verso la porta, ma la sua voce mi ferma.

-Brandon...- mi dice improvvisamente lui, ha una voce più bassa adesso.
-Non finirà bene, in quella base...- mormora a bassa voce -Peggiorerai e basta- conclude alzandosi a sua volta.

Non rispondo, perché so che ha ragione, e me ne vado.

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1 anno dopo

-Sei pronto?- mi chiede il dirigente, entrando nella stanza.
Mi sistemo le scarpe, la giacca e prendo lo zaino.
-Si...- rispondo.

È da anni che sono pronto ad andarmene.
Anche se non sono certo che non mi sentirò a casa neanche in questa base militare.

-Perfetto...ti aspetto infondo alle scale- continua a parlare e io annuisco.
Si è offerto di accompagnami fino all'aeroporto, forse è un segno di pietà che non riesco a leggere guardandolo negli occhi, ma sono contento di non dover prendere un taxi.

Quando esce io mi risiedo un attimo sul letto.
Tasto il materasso e chiudendo gli occhi provo a ricordarmi ogni giornata passata qui dentro.
Quando ero piccolo odiavo dormire, aspettavo con ansia la mattina dopo, sperando nelle visite.
Avevo una grande speranza.

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