1. Girls

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Quella mattina fu un trauma. La schiena era indolenzita e il mal di testa post sbornia si stava facendo sentire man mano che i miei anfibi calpestavano il marciapiede e alcuni sassolini finivano dentro di essi e sotto i miei piedi.
La sera prima avevo alzato il gomito, forse un po' troppo. Riuscivo a sentire la musica del dj rimbombarmi ancora nelle orecchie, il sapore della vodka invadermi la bocca e scendere nella gola come fuoco. Mi fermai, cercando di connettere con il cervello e il senso d'orientamento. Le case erano tutte uguali, ma solo una si distingueva dalle macchie bianche che si susseguivano fino alla fermata dell'autobus. Camminai ancora per due isolati, fino a casa White. Due piani e un giardino perfettamente curato, il quale splendeva grazie alle attenzioni di Elizabeth White, donna di classe e madre della mia migliore amica. Percorsi il vialetto in pietra, diverso dalla solita sabbia stanata delle altre case, e suonai il campanello. Anche il suono era diverso, lo sapevo perché casa mia era dieci isolati più dietro ed era la copia esatta delle villette in quartiere. A parte per l'enorme albero piantato in giardino e la bici di mia sorella buttata da qualche parte.
La porta in legno scuro si aprì, rivelando la padrona di casa in tutta la sua perfezione e i suoi capelli biondi pettinati impeccabilmente. La guardai, già truccata e in uno dei suoi tanti tailleur, che sorrideva alla mia vista e mi diceva di entrare. La sua voce mi aveva sempre infastidito, era piccola e faceva sanguinare le orecchie.
«Madison dovrebbe arrivare tra poco. Nel mentre, vuoi qualcosa da bere, cara?» chiusi gli occhi, contai fino a cinque e rivolsi un sorriso alla donna in rosa. Un altro punto che non sopportavo di Elizabeth White era il fatto che non conosceva altre sfumature di colori se non quelle del rosa. Colore inutile, d'altra parte, il quale non significava nulla se non Barbie e altro. Il nero invece aveva tanti significati, il mio preferito era quello di emanare tranquillità.
«No, la ringrazio signora White» risposi soltanto, lei annuì e andò via su quei tacchi vertiginosi i quali si ritrovava ai piedi. Sospirai, prendendo il cellulare e mi poggiai alla porta d'ingresso mentre aspettavo la mia amica. Instagram ormai era pieno di post stupidi e video sui gatti, altre cose che trovavo inutili: i gatti e i video su essi. Non servono a nulla se non a togliere di mezzo ospiti indesiderati nelle campagne, come quelli di zio Marco in Italia. Forse sono gli unici gatti che sopporto, dopo Amelia la quale si stava strusciando sui miei anfibi in quel momento. Stavo per chinarmi ad accarezzarla, quando dei passi la fecero scappare peggio della famosa ritirata spagnola. Guardai la gatta saltare sul divano in salotto, quando due braccia mi circondarono la vita e mi abbracciarono. Girai il capo, ritrovandomi i capelli castani di Madison solleticarmi il mento. La staccai lentamente da me, dei jeans chiari e un top a fascia nero le coprivano il corpo, una giacca nera era allacciata intorno alla sua vita e delle converse bianche erano ai suoi piedi. Sorrisi leggermente, scostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Era una delle poche persone che sopportavo.
«'Giorno, darling» arrossì sulle guance e distolse lo sguardo da me. Nonostante ci conoscevamo da tre anni doveva ancora abituarsi a me, ai miei modi e ai nomignoli che le davo. Ripresi lo zaino da terra per mettendolo su una spalla, Madison fece lo stesso, in un silenzio religioso e si parò al mio fianco iniziando a camminare con me. La guardai, uscendo dalla sua stessa casa e andando verso quella di Chanel.
«Buongiorno, comunque» mi sussurrò alzandosi sulle punte e dandomi un bacio sulla guancia portando una mano sulla mia spella per reggersi. Tirai un sorriso, riportando gli occhiali da sole sul naso e le mani in tasca. Scossi la testa divertita, guardando la mia amica così piccola la quale osservava le proprie scarpe. Un anno in meno di me e sembrava per davvero una bambina.
Arrivammo a casa Cooper, rimasi ferma sulle scale della veranda e aspettai che Mad andasse a suonare al campanello. Dopo poco la porta si aprì, rivelando la figura perfetta di Chanel e dei suoi capelli biondi. Indossava jeans bianchi strappati al ginocchio e una maglietta rossa infilata in essi. Guardai le sue scarpe rosse, nuove di zecca, e il cardigan all'uncinetto sulle spalle. La osservai ancora, notando i suoi occhiali dorati sul naso e i capelli biondi che ricadevano sul suo corpo, ondulati e ordinati. Spostai lo sguardo su Mad e la sua chioma scura che le accarezzava il seno. Sospirai abbastanza forte, facendo un cenno alla bionda e girando le spalle iniziando a camminare verso scuola. Le sentii entrambe dire qualcosa sottovoce, rimasi in silenzio. Loro non sapevano e non dovevano sapere.
Mi vennero accanto, prendendomi a braccetto e le guardai sorridendo di poco. Sentivo già il vociare degli studenti invadermi le orecchie, il cervello e tutto il resto del corpo. Sentii la tensione nei muscoli, accavallandosi assieme ai nervi, la testa smise di funzionare. Scuola o inferno? Non erano i professori, non erano le materie, nemmeno il resto delle persone che ci stavano lì dentro. Era quello che ci stava dietro che mi preoccupava più di tutto, quel che mi rendeva ciò che ero per davvero. Animo Machiavellico, mi sentii dire un giorno. Risi, per quanto vero fosse, e feci persino un cenno della mano alla persona la quale me lo disse. Poi girai i tacchi e calai nel buio della mia stessa coscienza, dei miei stessi problemi, nel ricordo di quel maledetto giorno il quale mi rese così. Scossi la testa e mi fermai, mettendomi sul muretto del cancello e guardando le ragazze. Loro erano le uniche che mi accettavano.
«Allora, propositi per il nuovo anno?» chiese Chanel, spostandosi i capelli davanti, guardando prima Madison e poi me. Alzai le spalle, indifferente a tutto quello che mi passava per la testa e risposi con un semplice: «Finirlo in fretta» entrambe mi guardarono, sospirarono e annuirono.
Frugai nello zaino, cercando il pacchetto di sigarette in mezzo al casino che si ritrovava lì dentro. Quaderno, borsellino, agenda, fazzoletti, assorbenti, le chiavi di casa...tutto alla rinfusa e mescolato, dato che quella mattina mia sorella Joe aveva deciso di rompere le scatole prima del dovuto. Aveva soli tredici anni e sembrava ancora averne due. Era una rompipalle.
«Credo studiare, impegnarmi e niente ragazzi. Basta, ho chiuso con le storie sentimentali per i corridoi della scuola» sospirò la bionda, poggiando la schiena sul muretto dove ero seduta. La guardai, annuii soltanto e portai lo sguardo su Mad che ridacchiava e spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi guardò, con quei suoi occhi verdi e le guance arrossate. Era bella e glielo ripetevo ogni giorno, lei mi rispondeva che non ci avrebbe creduto nemmeno se l'avessi pagata.
«Idem per me, studio e amiche» disse lei, mentre giravo ancora nello zaino per trovare le sigarette.
Portai lo sguardo altrove, ritrovandomi studenti nuovi e madri disperate, non pronte a lasciare andare i propri figli, impaurite di perderli per sempre. Ragazzi che giocavano a palla prima ancora di iniziare le lezioni, gruppi di ragazze che spettegolavano su chissà quale celebrità e loro, il gruppo popolare sul muretto del cortile. Li guardai, nei loro abiti neri e nelle loro scarpe firmate. I loro capelli perfetti, i loro sorrisi e l'accenno di barba che accarezzava i loro visi. I tatuaggi, quelli che si potevano vedere, sulle loro braccia curate e piene di muscoli. Zayn, Louis ed Harry. I primi due, le cotte delle mie amiche dal primo anno di superiori e il terzo che faceva da pecorella smarrita nel trio. Sorrisi leggermente, portando lo sguardo verso Mad e Chanel le quali avevano lo sguardo fisso su di loro.
«E loro? Che fate, li volete lasciare lì?» mormorai, rassegnandomi all'inutile ricerca delle mie sigarette. Le due si girarono verso di me, paonazze e col viso arrossato per l'imbarazzo. Ridacchiai, continuando a guardarle così innocenti e così impaurite dall'idea di frequentare uno di loro. Non avevano una bella nomina, ma per questo e per altri motivi erano i più IN della scuola e della città.
«Loro? Oh no, no. Loro sono in una gerarchia troppo alta per noi semplici umani» iniziò Madison, portando una mano in alto come se ci fosse una piramide al suo fianco. Scossi la testa divertita, guardando poi Chanel che annuiva come un giocattolo a molla rotto.
«É come se loro fossero nella stessa cerchia di Shawn Mendes e del tuo attore preferito, com'è si chiamava?» domandò la bionda, facendomi sorridere.
«Chillian Murphy? Chris Hemsworth? Johnny Depp?» provai ad indovinare, e la bionda fece un gesto con la mano e aggiunse:
«Insomma, hai capito» scossi la testa e le guardai. Si facevano troppe paranoie e non si buttavano, avevano solo avuto un ragazzo nella loro vita e non se la godevano abbastanza. Avevano solo baciato, non avevano provato quella sensazione adrenalinica del sesso, delle serate fuori e dell'alcol che bruciava nella gola ogni qual volta che ti offrivano uno shottino, bevendolo subito, consapevole che dopo il primo ce ne sarebbero stati altri dieci.
«Vi fate troppe paranoie e non vi buttate» scossi la tesa, i capelli mi andarono sul viso e li scostai con le mani. Le ragazze mi guardarono e fecero di no col capo.
«Se fossimo audaci come te, forse ci butteremmo. Ma non lo siamo, quindi rimaniamo qui» rispose El, indicando un punto basso della loro piramide immaginaria «E loro qui, con le loro nuove ragazze» e tornò in cima, guardando verso il muretto della scuola e sospirando.
Mi voltai, notando due presenze femminili vicino a Zayn e Louis, una bionda e una mora di chissà quale anno e provenienza gerarchica della stupida piramide delle mie amiche. Scossi la testa e mi spinsi con le mani per scendere dal muretto. Legai le ciocche davanti dei capelli in una crocchia piccola e portai lo zaino sulle spalle. Stirai le maniche della camicia a quadri e passai le mani sui pantaloni neri. Le ragazze mi guardarono con un sopracciglio alzato, mentre portavo gli occhiali sul naso e liberavo i capelli da sotto lo zaino per portarli avanti.
«Dove vai?» mi chiese la bruna, portando una mano sul mio braccio e stringendo leggermente. Sorrisi, alzando le spalle e portando le mani in tasca.
«Dai vostri amori proibiti» risposi semplicemente, iniziando a camminare verso il muretto e ignorando le chiamate delle mie amiche. Stavo per combinare un casino, ma ne sarebbe valsa la pena.

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