3. Dark side

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Io, Chanel e Madison eravamo dipendenti dai frullati. Finite le lezioni, io e le ragazze prendemmo l'abitudine di andare da Starbucks a prendere un frullato, o le novità offerte dalla casa. A volte ci soffermavamo ai tavolini esterni e ci mettevamo a fare i compiti, o parlavamo normalmente come tre amiche. Quel pomeriggio, però, il frullato fu una toccata e fuga dato che la lista dei libri da comprare per il resto dei nostri nove mesi, anche di meno, era lunga. Nemmeno iniziato l'anno che ci avevano dato da studiare.
Camminai davanti alle ragazze, parlottavano tra di loro e io ascoltavo le loro voci. Pensai poi a quello che avevo scommesso con Louis. Le stavo dando in pasto ai leoni e io stavo giocando con il Re. Per la milionesima volta, e in ritardo, mi resi conto di aver fatto uno sbaglio, di star andando tra le fiamme e di rischiare di rimanere da sola. Me ne resi conto solo quando mi girai a vedere le ragazze che parlavano con un sorriso stampato in faccia. Le loro braccia intrecciate e la testa di Madison sulla spalla di Chanel. Mi misi al fianco di quest'ultima, la guardai ancora e non capii cosa stessi provando in quel momento, ma ebbi una morsa allo stomaco. Diverse volte mi soffermavo, guardavo le mie amiche e qualcosa in me non andava.
Poi lo capii nei mesi precedenti, quando andammo in vacanza dai miei nonni in Italia nell'ultima settimana di agosto, lo capii. Capii cosa mi prendeva ogni volta che le guardavo, quando quelle poche volte le abbracciavo o, semplicemente, parlavo con loro. Lo capii, mentre erano in costume sulla spiaggia, quando ci cambiavamo nella mia camera da letto e mi soffermavo a osservare ogni singolo particolare dei loro corpi. Mi piaceva analizzare le cose, le persone, quello intorno a queste, ma Chanel e Madison erano diverse. Diverse tra loro due, con toni di pelle e capelli diversi. Mi piaceva vedere come il contrasto dei loro colori baciava perfettamente la loro figura.
Le guardai, così differenti tra di loro. Chanel, con i suoi capelli biondi e la pelle perlata, gli occhi azzurri-verdi e con quell'espressione dolce onnipresente sul viso, ricordava una principessa Disney. Madison, con i capelli cioccolato che le sfioravano le guance e i suoi occhi verdi, mi fissavano così intensamente e che rimasi senza respiro per alcuni minuti. Lei arrossì sulle guance e sorrise leggermente. Mi fermai, spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la guardai. Era più passa di me, almeno di dieci centimetri in meno. Sembrava una bambina, il verde brillava nei suoi occhi e il rossore delle sue guance accompagnava il rosso delle sue labbra. Sospirai così forte che parve uno sbuffo. Distolsi lo sguardo e scossi la testa.
«Avete un'uscita con Louis e Zayn, domani, alla festa d'inizio anno» lo dissi senza problema, con naturalezza e disinvoltura. Le ragazze fermarono il passo, mi guardarono con occhi spalancati ed espressione incredula. Poi cambiarono umore, si guardarono e un secondo dopo iniziarono a ridere. Alzai gli occhi al cielo e mi poggiai con la schiena al muro di un edificio. Girai nello zaino, recuperando il pacchetto di sigarette e prendendone una. Le guardai, ridevano ancora e iniziarono a fantasticare, come due dementi, l'appuntamento perfetto. Portai la sigaretta tra le labbra, la accesi e trovai subito conforto nella nicotina. Buttai fuori il fumo e scattai.
«Avete davvero un appuntamento con loro» si placarono ascoltando la mia voce fredda e ferma. Rimasero zitte e mi guardarono con più attenzione.
«Perché l'hai fatto? Non ci conoscono nemmeno, e loro non conoscono noi!» guardai Chanel, diventata rossa in viso. Sbuffai il fumo dalla bocca e sollevai gli occhiali sulla testa. Mad era ferma a guardarmi, con le braccia incrociate e il viso accigliato. Scosse la testa e portò i capelli dietro le orecchie. Lei aveva capito tutto.
«Qual è il premio in palio?» la sua voce fu un sussurro, il viso tra il preoccupato e il ti prendo a calci finché non svieni. Alzai le spalle e feci cadere la cenere per terra.
«Io non vado da nessuna parte se ci sei tu di mezzo!» si avvicinò di più, mettendo le mani sulle mie spalle e piantando i suoi occhi nei miei. Castano e verde iniziarono una lotta, fu come annegare in un abisso ed essere inconsapevoli di poter sopravvivere o meno. Mi staccai da lei, sentendomi invasa nel mio stesso territorio. Non volevo essere toccata da lei, anche se sapevo che non mi avrebbe fatto nulla.
«Non vi interessa il dopo» risposi, scattando con lo sguardo su di Madison e Chanel. «Vi ho fatto un favore, un regalo di inizio anno» alzai le spalle e ripresi a camminare. Mi vennero incontro, piazzandosi ai miei lati e fissandomi come se fossero due condor. Falchi pronti all'attacco, pronte a scagliarmi pietre e parole. Perché eravamo fatte così: io combinavo casini, loro blateravano e alla fine pagavo io. Ma non potevo farci niente, era la mia natura e non avrei mai smesso.
«Io non farò niente così. Se lui vuole davvero uscire con me, che venga a chiedermelo di persona, o se ne può andare al diavolo insieme alla tua fottutissima scommessa!» mi fermai, cercando di non perdere la pazienza e guardai Madison. Ribolliva di rabbia e i suoi occhi verdi divennero scuri, quasi neri. Si piazzò di fronte a me e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Mi si fermò il cuore, vedendola così fragile e con gli occhi pieni di lacrime. Presi un grosso respiro e la guardai ancora, buttando via la cicca di sigaretta.
«La stessa cosa la farò io» mormorò la bionda, chinando il capo e guardandosi le scarpe. I capelli le andarono sul viso, lei non era come Mad. Questa ti urlava in faccia tutto, ti riusciva a ferire in pochi minuti, ma io sapevo dove andare a parare. Chanel era pronta a buttarti addosso tutta la merda, ma appena i suoi occhi incrociavano uno sguardo riusciva a chiudersi in due secondi. Odiavo litigare con loro, perché io ero peggio. Ero quella parte buia e piena di problemi i quali scagliavo su di loro, rendendole piccole e insignificanti. Le lasciavo sempre, ogni volta che nasceva una discussione o una vera e propria litigata. Combinavo un casino, loro urlava e io alzavo di più la voce. Era un vizio che finiva sempre allo stesso modo, con le stesse parole.
Le guardai, ancora una volta e, prima che potessi dire qualcosa, Madison mi fermò.
«Devi smettere di prendere decisioni per le altre, smettila di giocare con la vita delle persone Kendall!» urlò più forte, facendo arrivare le parole nella mia testa. I ricordi iniziarono a scorrere come cascate. Come mare mosso, mi invasero il cervello e il corpo si infreddolì. I brividi mi fecero male alla pelle, sentii i muscoli tirarmi verso il basso e i nervi si accavallarono come cavalli impazziti. Ad un tratto divenne tutto buio attorno a me, la strada divenne campagna e il rumore di moto da corsa si fece forte nelle mie orecchie.
«Sto giocando con la mia di vita, non con la vostra» feci un passo avanti a lei e la guardai. Esistevano solo lei, le moto in lontananza e il buio. Madison fece un passo indietro, guardandomi negli occhi e notai la paura invaderle le iridi. Lei l'aveva sempre con me, era naturale.
«Non puoi mettere in ballo il tuo corpo per noi» rispose soltanto, con voce calma e preoccupata. Me ne fregai, come facevo sempre, e la ignorai. Le risposi male, con le parole che più odiava, le quali aveva imparato ad odiare per colpa mia. L'avrei fatto anche io se i ruoli fossero inversi.
«Togliti quel palo di legno che ti ritrovi tra le gambe e divertiti per una buona volta» lo dissi così freddamente che le sue lacrime iniziarono a fuori uscire. Sapevo che le avrebbe dato fastidio, che sarebbe crollata con poco e che si sarebbe allontanata per poi urlarmi in faccia. Ma mi sorprese quando una sua mano mi accarezzò la guancia e i suoi occhi chiari mi guardarono. Sentii un morsa allo stomaco e l'ansia mi assalì il petto. Di nuovo il freddo, di nuovo i motori, questa volta più forti e il finale non fu lieto.
Le afferrai la mano e gliela levai, come se fosse metallo bollente il quale mi bruci. Trovai l'angoscia, quelle cara amica che mi accompagnò per vari giorni in quei mesi estivi e quelli prima di essi.
«Io l'ho fatto per voi. Fatevene una ragione e iniziate a divertirvi» mormorai, facendo un passo indietro. I loro occhi erano fuoco, mi bruciavano e le lacrime di Mad mi fecero male. Odiavo vederla piangere, trattarla così come se non valesse niente quando, invece, significava tanto. Odiavo litigare con loro, ma odiavo di più me stessa per quello che ero.
Le guardai un'altra volta, volevo parlare ma le parole si bloccarono nella gola. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, la gola cominciò a bruciare assieme alle guance. Non potevo piangere di fronte a loro.
Mi girai di spalle e portai le mani in tasca, ignorai le loro chiamate e le loro urla. Mi incamminai verso la libreria, con i miei pensieri e il casino che avevo in testa.

Il libro di algebra sembrava uno scarabocchio. Guardai i numeri e i grafici, erano confusi. Guardai prima il libro, poi il quaderno e le penne di fronte a me. Sospirai, prendendone una e cercando di concentrarmi.
Non avevo problemi nello studio, apprendevo facilmente e mi bastava poco per finire. Ma oggi no, la mente non era lucida e non stavo riuscendo a concentrarmi. Presi un grosso respiro e buttai la penna sul quaderno. Avevo ancora i vestiti addosso e sentivo il nervoso pizzicarmi la pelle. Mi alzai dal posto e sfilai i jeans, buttandoli nella cesta dei panni sporchi vicino la porta. La camicia a scacchi fece la stessa fine. Mi legai i capelli e presi un pantaloncino di tuta e un top, tolsi il reggiseno e infilai i vestiti. Andai nel mio bagno, la ragazza nel riflesso non aveva un aspetto decente, ma pessimo.
Tolsi gli occhiali e mi sciacquai il viso con l'acqua fredda. Fu un sollievo, una carezza sulle guance. Insaponai la faccia due volte, in modo da mandar via lo stress e il casino che avevo combinato. Sciacquai per la terza volta con l'acqua e quello che vidi allo specchio mi piacque. Pulita e senza trucco, senza pensieri e il ricordo di quel pomeriggio infernale. Mi guardai il naso, il piccolo foro sulla narice si stava chiudendo lentamente. Tornai in camera e girai nel baule dei gioielli, recuperai una scatolina azzurra e tornai nel bagno. Presi l'anellino d'argento al suo interno e, con cautela, lo infilai nella narice. Strinsi gli occhi per il leggero bruciore e sospirai. Disinfettai con un po' di ovatta bagnata di acqua ossigenata e mi definii a posto. Uscii dalla stanza e andai al piano di sotto dopo aver preso il cellulare. Chanel mandò più di quindici messaggi al secondo. Sembrò rassegnarsi, quando me ne arrivò un altro. Bloccai il cellulare e lo lasciai scivolare sul bancone della cucina. Aprii il frigo e presi il tè freddo fatto da mia madre. Casa sembrava così vuota quando lei non c'era. Mi piaceva, forse un po' troppo dato che, appena tornava da lavoro, sembrava una trottola con zero voglia di finire di girare. Riempii un bicchiere e bevvi il tè, chiusi gli occhi e lasciai che il freddo invadesse il mio corpo. Fu come spegnere un intero incendio, consapevole che dopo ci sarebbe stata solo cenere e fumo. Dei piccoli passi corsero per le scale e sfrecciarono verso la porta d'ingresso. Guardai mia sorella, così impaziente di scoprire chi ci fosse dietro la porta. Dopo poco questa si aprì, e vidi la piccola Leila scattare e urlare di felicità. Riuscii a capire chi fosse il portatore di felicità di mia sorella. Feci cadere il bicchiere per terra e guardai il ragazzo nell'atrio di casa.
«Ciao anche a te, Padawan».

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