4. Brother

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Ero indecisa cosa guardare. La figura ferma all'entrata o i pezzi di vetro per terra? Casa non sembrava più un posto sicuro, l'arredo moderno mi sembrava sconosciuto. Guardai prima il ragazzo e poi i mille pezzi sparsi sul pavimento. Mia madre mi avrebbe uccisa, spedita al mio stesso funerale. Avevo rotto uno dei suoi bicchieri di cristallo e nessuna scusa sarebbe bastata nello sfuggire ad Hannah Gray. Sospirai forte, feci attenzione a non mettere i piedi su qualche pezzo bastardo e presi la scopa nell'armadietto accanto alla porta della lavanderia. Iniziai a raccogliere i cocci, creando un rumore fastidioso. L'unica cosa buona era il fatto di non avere il parquet come rivestimento del pavimento, ma delle mattonelle di marmo opaco, o mia madre mi avrebbe uccisa anche per quello.
Finii di raccogliere il bicchiere rotto, presi la paletta dall'armadietto e trasportai i pezzi fino al secchio del vetro nel mobile sotto la finestra.
Presi un grosso respiro e guardai la figura di mio fratello, ormai seduta su uno sgabello dell'isola e con mia sorella ancora in braccio. Era cambiato parecchio, il viso più magro e il corpo snello. Le sue spalle non erano cambiate per niente, la camicia celeste gli stava bene e un po' larga in modo da non farlo sembrare uno stecchino. Guardai come le braccia, ormai piene di inchiostro, risaltavano sul colore chiaro della stoffa, come il suo viso era accarezzato da una barba leggera e come i suoi occhi cioccolato si erano fissati nei miei. Il sorriso sulle labbra mi ricordava tanto papà, insieme al naso a patata e il fisico da fighetto. I capelli ondulati li aveva presi dalla mamma, come me e Leila, i colori erano quelli. Io avevo preso quasi tutto da mamma, a parte l'altezza e il carattere. Liam era la copia di papà col carattere di entrambi i nostri genitori. Joe era un mix di entrambi, ma delle volte somigliava a me, caratterialmente. Leila era troppo piccola per avere una somiglianza con qualcuno, riguardo al carattere.
«Come stai?» la sua voce mi rimbombò in testa. Lo guardai, sembrava calmo. Mise Leila seduta sul bancone della cucina, iniziò a giocare con la mano di Liam e sorrise alla vista del fratello. Aveva quasi sei anni e sembrava del tutto sconosciuta da questa famiglia. Lei era la speranza di crescere meglio di me, di avere una vita la quale non si basava su una scommessa. Sospirai e portai lo sguardo su mio fratello
«Bene» risposi soltanto e lo guardai ancora. Un orologio al poso e un anello, lo guardai e poi fissai gli occhi su di lui. «Tu e Sasha fate sul serio?» era fidanzato con questa ragazza da ormai cinque anni, da tutto il percorso della sua vita universitaria.
«Oh, questo?» indicò la fedina argentata lucida e scosse la testa. «Non sto con Sasha da un anno. L'ho trovata a letto con il mio compagno di stanza, ironia della sorte mi sto frequentando con la sua migliore amica» parlò velocemente. Lo guardai e scossi la testa sorridendo lievemente. Io e Liam eravamo una frana nelle relazioni, per lo meno io lo ero. Lui era più sentimentale, il mio contrario, e si notava già da come ci vestivamo.
«Te l'ho sempre detto che è una puttana, ma tu eri impegnato a credere nel vostro nido d'amore universitario» scossi la testa divertita e lo guardai. Diventò malinconico, ma sospirò soltanto e mi guardò. Gli occhi gli si fecero più scuri.
«Non potresti parlare meglio? Tua sorella ha solo cinque anni e mezzo» sospirò e portò Leila sul pavimento. Poco dopo lei si mise a correre alla porta, la quale si aprì rivelando la figura di mamma. Sospirai, guardandola in tutta la sua bellezza da donna di affari. Il suo tubino nero le fasciava il corpo in maniera perfetta, i capelli castani le accarezzavano il corpo e le incorniciavano il viso giovane. Anche se era una donna di mezza età, aveva un viso perfetto come quello di una trentenne. Gli occhi caramello le brillarono appena incontrarono quelli di Liam. Lasciò cadere la borsa sul pavimento, insieme alla giacca, e si precipitò ad abbracciare il figlio maggiore. Sospirai, consapevole di non avere un rapporto così con lei e di non poterlo avere mai. Eravamo due cose diverse, non andavamo d'accordo e quella ne era la prova.
«Cosa ci fai qui, Liam? Perché non hai chiamato?» la voce di mia madre era un filo. Lo guardava come se stesse vedendo un miracolo o persino un angelo.
Gli accarezzò i capelli, portò le mani sulle sue spalle e lo guardò rimanendo in piedi di fronte a lui. Mio fratello la guardò, gli si illuminarono gli occhi e sorrise leggermente.
«Ho uno stage presso l'Imperial College e volevo farvi una sorpresa» rispose con calma, prendendo le mani di mia madre e stingendole nelle sue. Mia madre si sedette al suo fianco, con un sorriso smagliante e gli occhi luminosi. Se fossi stata io a dirglielo, mi avrebbe risposto con un solo «Mhmm, sono contenta» e sarebbe finita lì, senza un sorriso o altro. Presi un altro bicchiere dalla vetrinetta e lo poggiai sul bancone dell'isola. Guardai i due, sembravano una di quelle coppie felici che si vedevano in una di quelle soap-opera ambientate nell'ottocento o roba simile.
Sbuffai, sentendoli parlottare del nuovo fantastico lavoro di Liam e del suo futuro. Riempii il bicchiere con dell'acqua fredda e iniziai a bere. Avrei voluto fosse alcol, appena uscì il discorso matrimonio dalla bocca di Liam. Sputai l'acqua e tossii, cercando di non morire prima del previsto. Forse faceva meno male la morte che questa tortura che mi stava infliggendo il castano.
«Oh cielo, Kenny! Stai bene?» la sua voce mi rimbombò nel cervello. Lo guardai per un secondo, tossendo per poco e ripulii le labbra col dorso della mano. Guardai mia madre, ignara del fatto che avrebbe potuto perdere una figlia di quasi diciotto anni.
«Sto bene» sussurrai e portai lo sguardo su di lui. Non poteva sposarsi a soli venticinque anni. Insomma quale pazzo lo farebbe rovinandosi la vita così?
«Sicura? Vuoi che ti faccia qualcosa?» domandò lui. La cosa mi stava irritando.
«Vorrei che non ti sposassi. Insomma, Liam, stai dando di matto? Hai solo venticinque anni, non puoi bloccare la tua vita organizzando una stupida cerimonia che, quanto durerebbe? Cinque mesi? Tirato tirato un anno!?» alzai la voce e lo guardai. Non era teatro il mio, ma solo la verità schiaffeggiata sulla sua maledetta faccia. Lo guardai ancora, i suoi occhi divennero scuri e notai le sue mani stringersi sempre di più fino ad avere le nocche bianche. Stava per parlare, ma mia madre lo precedette e si alzò per fare il giro e venirmi incontro. La guardai dal basso, era poco più alta di me -con i tacchi- ma non avevo paura. Quale figlio avrebbe avuto paura della proprio madre? Poi alzò la mano e mi diede uno schiaffo dritto in faccia. Sentii la guancia bollire, pizzicare e andare a fuoco. Nel mentre percepii una sensazione di bruciore sullo zigomo. Non ci credo, i suoi stupidi anelli avevano fatto centro. Mugolai soltanto e la guardai, gli occhi mi divennero scuri e non capii più niente. Lei tirava fuori il peggio di me in pochi attimi.
«Non parlare mai più in questo modo a tuo fratello. Ha fatto tanto e tu-» la bloccai con un cenno della mano, scossi la testa divertita e la sorpassai.
«Sapete che vi dico? Andatevene a farvi fottere entrambi, tanto i risultati si vedranno a breve!» salii le scale velocemente, dirigendomi in camera e sbattendo la porta con forza. La chiusi, iniziando a camminare avanti e indietro nervosa. Guardai prima l'armadio e poi la porta, niente di più semplice.

Mi spogliai, recuperando un jeans nero dall'armadio e un top del medesimo colore. Infilai gli anfibi e mi truccai con solo fondotinta, mascara e rossetto. Legai i capelli, ormai era un'abitudine farlo dopo Luke. Non li portavo quasi mai sciolti, mi rendevano nervosa tutte quelle ciocche ondulate sul mio corpo. Mi affrettai a prendere la giacca di pelle, le sigarette e il cellulare. Mi sarebbe servito poco, ma non si sapeva mai nel caso di qualche emergenza. Le lenti iniziarono a bruciare, le tolsi velocemente rimettendole della scatolina. Presi gli occhiali e aprii la porta, facendo due a due gli scalini di casa. Afferrai un paio di chiavi dalla ciotola sul mobiletto vicino la porta ed uscii, ignorando i richiami di mamma e di Liam. Quello stress andava risolto in una sola maniera, in un solo modo.
Feci il giro di casa, aprii il garage e guardai il telo bianco posto sul mio più bel ricordo. Lo sollevai, con un gesto veloce e tossii per via della polvere. Il nero lucido mi invase gli occhi, era ancora splendente e la guardai come se fosse non so cosa. Innamorata di questa moto, tracciai il profilo della sella in pelle con le dita. Chiusi gli occhi e sorrisi leggermente, sentendo il rombo di essa e delle gare nelle orecchie. Mi chinai, accarezzando la scritta Harley Davidson incisa, sotto di essa una N e una K. Avremmo corso per sempre, insieme, come due cavalli liberi in una prateria. Mi sollevai, avvicinandomi ad uno scaffale e prendendo uno scatolone. Lo aprii, rifilando il mio casco con incisa la K argentata. Guardai il secondo, sfiorando la N e sospirando, mentre i ricordi venivano a galla. Sospirai forte, rimettendo lo scatolone al proprio posto e mettendo il casco. Le chiavi erano ancora appese alla moto, salii su di essa e girai la chiave. Chiusi gli occhi, ascoltando il rombo del motore invadere lo spazio e la mia testa ormai annebbiata dai mesi precedenti.
Ascoltai come le ruote si strusciavano sull'asfalto della strada, come i sassolini di essa svolazzavano via e di come le mie mani stringevano il manubrio. Mi sentii libera da ogni cosa, da pensieri, problemi e da casa. Non pensai a niente, solo alla velocità con cui stavo andando verso il capannone e di come il vento mi stesse schiaffeggiando il viso. Era una sensazione che non provavo da chissà quanto tempo, e mi piacque fino al punto di sorridere. Parcheggiai vicino al capannone, guardandomi intorno e sospirando forte. Tolsi il casco e scesi dalla moto, per poi poggiarlo sul sedile e aprire il giubbotto.
Guardai in fondo, notando Zayn e Louis in lontananza che parlavano con quello che aveva l'aria di essere Calum. Mi avvicinai a loro, interrompendo la conversazione.
«Ma guarda un po' chi c'è» disse l'australiano, guardandomi da capo a piede e leccandosi le labbra. Ero circondata da pervertiti, ma non potevo farci niente: questo ambiente ti cambiava nel peggio di te stesso.
«Non avevi chiuso con questo posto?» chiese Zayn, passandomi una sigaretta e guardandomi con interesse. Alzai le spalle e portai il filtro fra le labbra, aspettando che lui me l'accendesse per iniziare a fumare. Chiusi gli occhi e buttai fuori l'aria, assaporando il sapore della nicotina sulla lingua.
«Non ne posso fare a meno» alzai le spalle e lo guardai «Di che parlavate?»
«Dei prossimi eventi» rispose Louis, prendendo un foglio dalla tasca per poi passarmelo. Lo aprii, il rosso mi stava dando alla testa mentre le scritte bianche susseguivano una dopo l'altra. La settimana sarebbe stata impegnativa, sorrisi leggermente e diedi il volantino a Louis.
«Ci sarà un ritrovo questa sera, sei dei nostri?» questo era Calum. Lo guardai, gli occhi scuri erano pieni di malizia e il suo sorriso sghembo raccontava ogni cosa. Stavo per rispondere, quando una voce mi bloccò. Mi girai a guardarlo, con un sorriso leggero sulle labbra e gli occhi che brillavano. I vestiti neri e i toni chiari della sua pelle staccavano da tutto, insieme ai suoi occhi e alle labbra rosee. Lo guardai, con dei bicchieri in mano e la spensieratezza nelle sue gesta. Camminava tranquillo e mi guardava, come se fosse normale trovarmi qui. Ma io non l'avevo mai visto nei paraggi, se non quelle poche volte durante le gare. Poi riconobbi la giacca di pelle, quella che mettevamo durante le gare e i raduni. Quella con lo stemma del clan, con le lettere H e D sulle maniche, con la scritta Jackson sul retro. Allora collegai tutto e mi irrigidii: lui ne faceva parte.

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