62. Thor and Loki

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Non pensai vivamente che le due settimane di maggio passassero così velocemente, che gli esami finissero così presto e che quel venerdì, prima del matrimonio di Liam, arrivasse in poco tempo. Tempo lontano da Harry, dal capannone, dai ragazzi. Tempo passato in camera a prepararmi per tutti gli esami, per tutti i preparativi per il matrimonio, per il discorso che avrei tenuto alla festa del diploma. Il preside aveva chiesto a me questa cortesia, vedendo gli ottimi risultati, i voti alti, e l'impegno che misi in quattro anni di liceo, e io non esitai nel dirgli che ci stavo. Ma il problema stava in quell'arco di tempo: tra meno di una settimana ci sarebbe stata la festa di diploma e io non avevo ancora un discorso. Ero talmente concentrata a ripetere la tavola degli elementi chimici, a ricordare ogni singolo processo biologico della vita, ero così impegnata a navigare tra le formule di trigonometria, che mi scordai del discorso. Cosa avrei detto? Cosa dovevo dire? Non avevo esperienza in queste cose e, mentre chiacchieravo con i professori, pensai a qualcosa da abbozzare nell'ultima settimana. Il mio unico pensiero era Harry, e l'idea di poter passare un altro giorno senza di lui mi mandava in bestia. Mi mancava, e avevo bisogno del suo sostegno per questo intoppo, e per un altro ancora più grande: ero la testimone di nozze di Liam e non avevo preparato il discorso che avrei tenuto durante il pranzo. Presi un grosso respiro e salutai con sorriso immenso i professori, i quali mi augurarono il meglio nella mia futura carriera da detective. Appena Sanchez mi chiese il perché di quella scelta, presi le redini in mano e spiegai -in breve- quello che era successo nei mesi passati. Con mia sorpresa, l'uomo sulla cinquantina il quale pareva il vecchio e scorbutico zio Scrooge prima di scoprire la magia di natale, si presentò un amorevole e apprensivo padre verso i miei confronti, raccontandomi di quanto la vita potesse risultare un ostacolo per un adolescente o un adulto, e di quanto un bambino fosse fortunato a non sentire il peso dei problemi sulle spalle. E da lì, capii che il mio esame orale si sarebbe aperto proprio su questo: alle circostanze della vita e ai suoi processi.
Perciò le parole mi uscirono così fluide e scorrevoli, che i professori rimasero ammaliati da tanta maestria nel parlare che mi dovettero fermare prima che avessi esposto loro ogni singolo volume scolastico. Una volta finito l'esame, mi augurarono buone vacanze e, firmati i fogli, uscii dall'aula buttando via una boccata d'aria che non sapevo di trattenere. Quello stesso giorno, mio fratello stava tenendo la sua laurea, e chiedemmo ai nostri genitori di non presentarsi a nessuna delle due occasioni per due semplici motivi: Liam si laureava, io mi diplomavo, e l'ansia di avere gli occhi dei nostri genitori addosso avrebbe solo causato una possibile scena muta per il chiacchiericcio loro erano intenti a creare in certe situazioni. In più, ci sarebbe stato il piccolo Payne, nato da cinque giorni, il quale richiedeva il latte con un pianto isterico e, di certo, non volevo che Christian rovinasse la laurea di mio fratello, o il mio esame orale. Alla fine Hanna Gray cedette, lasciando a me l'onore di scegliere il nome del bambino.

Quando uscii dall'aula, una sensazione di leggerezza invase il mio corpo e non potei fare a meno di sorridere per la soddisfazione che ebbi in quel momento: ero finalmente libera.
<<Oh partigiano, PORTAMI VIAAAAA!>> mi voltai divertita verso un Louis Tomlinson tutto in tiro con camicia bianca e pantaloni neri, intento a venirmi incontro con il volto sorridente di un ragazzo che stava per godersi l'estate.
<<Qualcosa mi dice che hai parlato di nazisti>> provai ad indovinare e Louis mi sorrise divertito, annuendo per poi accogliermi tra le sue braccia, stringendomi in un abbraccio. Ricambiai il gesto senza esitare e sospirai sollevata. Entrambi avevamo passato gli esami, ma ero contenta soprattutto per lui che aveva tenuto duro fino alla fine.
<<Kendall Payne Jackson, io sono in debito con te per i quattro anni nei quali mi hai aiutato ad apprendere che la fisica non è fisica e che la matematica non è matematica>> mi sussurrò, accarezzandomi le braccia e baciandomi la fronte sorridendo. Sorrisi a quelle parole e ai suoi gesti così amorevoli e fraterni. Louis, nell'ultimo periodo, era diventato tutto quanto per me. Un fratello, un amante, un amico su cui contare e un compagno di sbronze sempre presente. Era diventato anche lui una parte di me, assieme al resto del gruppo, e fui così felice che lui fosse tornato con Madison, chiarendo il perché del suo allontanamento nell'ultimo periodo. E lei non esitò a chiedergli scusa in tutte le lingue del mondo, per poi venire da me e ringraziarmi di aver lasciato che una ragazza si avvicinasse a lui per rubarglielo. Louis le aveva raccontato della nottata in bianco e, con mia sorpresa, a Madison andò bene. ''Preferisco che sia stata tu la sua notte in bianco, e non una fottuta nazista americana''. Le cose avevano preso un'ottima piega da quando James arrestò Niall e la sua banda. Il mondo iniziò a girare nel verso giusto.
<<Louis, non devi dirmi grazie>> mormorai al mio amico, spostandogli i capelli dalla fronte. Gli aveva rasati ai lati, lasciando che la frangia cadesse sulla fronte e sfiorasse le sopracciglia. Mi sembrava Cillian Murphy in Peaky Blinders, il che non era poco dato la somiglianza ben visibile. Soprattutto per la passione delle sigarette, gli occhi azzurri, e le guance scavate che marcavano la mascella e il collo.
<<Invece lo faccio, perché mi hai salvato il culo per quattro anni>> ribatté, piegandosi sulle ginocchia e prendendomi dalle gambe per caricarmi sulla sua spalla lasciando che soffocassi un urlo in una risata.
<<Tomlinson, mettimi giù!>> gli pizzicai il culo e lui, in risposta, mi diede uno schiaffo così forte sul mio che mugolai. Cosa aveva al posto delle mani, frustini per cavalli?
<<Sta' zitta, Payne, ho un compito da svolgere>> mi ammonì, iniziando a camminare nel corridoio per imboccare l'uscita. Raggiungemmo il cortile, dopo alcuni minuti Louis mi mise sulla sua moto, si parò di fronte a me e senza dir nulla accese il motore, fece un'inversione ad U ed uscì di tutta corsa dal cortile della scuola. Mi aggrappai a Louis per l'improvvisata e gli diedi un pizzicotto sul capezzolo. Inutile dire che lui rispose con uno schiaffo sulla coscia.

<<Perché siamo al capannone?>> domandai al mio amico, una volta fermatosi al parcheggio del Davidson. Louis allungò una mano, così che la prendessi mentre scendevo dalla moto. Sistemai il vestito verde, scelto per quel giorno, e guardai Lou sistemare la moto e dare una stirata alla sua camicia. Mi guardò, sorridendo, mentre prendeva una bandana dalla tasca dei jeans e mi faceva un cenno di girarmi.
<<Non fare domande, non vengo pagato abbastanza. Non vengo pagato proprio, in realtà>> ci scherzò su, afferrandomi dalle spalle e voltandomi, in modo che potesse legarmi la bandana sugli occhi, stringendola un po' troppo. Poi mi voltò ancora, sistemando la stoffa e togliendomi qualsiasi tipo di visuale.
<<Potrei denunciarti per sequestro di persona, e il detective James non è clemente>> borbottai, allungando le mani e testando l'aria per non cadere, Louis mi teneva a sé, con le mani sui fianchi e mi aiutava ad orientarmi nel nulla.
<<Ehi, l'idea non è mia>> rispose Louis, aiutandomi a camminare mentre con le mani mi reggevo alle sue con la paura di cadere, se avessi sporcato il vestito avrei dovuto pregare mille lingue per non subire un Hannah Gray post parto. Dopo la nascita di Christian era tornata ad essere la solita acidona la quale non mi dispiacque riavere, ma mi abituai alla sua versione docile e affettuosa verso i miei confronti che chiesi a mio padre di rimetterla incinta.
<<Lou, dovresti essere a conoscenza dell'odio che ho verso le sorprese>> soprattutto se non erano da parte di un riccio con occhi verdi e spallone enormi. Sospirai e mi fermai, sentendo Louis bloccarsi dietro di me, sicuramente per aprire la porta del capannone. Fui invasa da un dolce profumino di cornetti appena sfornati e ascoltai un brusio di voci calare, una volta che Louis mi aiutò a scavalcare il gradino della porta. Camminammo per un po', sempre aggrappati l'un l'altra e poi Lou scivolò via da me dandomi un bacio sulla guancia. Rimasi immobile, voltandomi su me stessa e aspettai che accadesse qualcosa, ma non accadde nulla per circa cinque minuti. Stanca di aspettare, portai le mani sulla bandana e la sfilai, ritrovandomi immersa nella luce fioca del capannone. Dopo alcuni attimi d'attesa, i ragazzi spuntarono dai divanetti e uno di loro urlò SORPRESA! facendomi venire un mezzo infarto.
La sala era piena di palloncini e festoni, uno striscione era appeso sul soffitto e i ragazzi del clan strombazzavano trombette e lingue di gatto. Mi ritrovai sommersa da coriandoli doranti, sparati da Zayn e Louis, i quali risero alla mia espressione spaventata. Rimasi impalata a guardarmi attorno, mentre i componendi del Martin Davidson applaudivano e urlavano il mio nome in segno di riconoscimento. Poi capii il perché di tanto scalpore: la guerra nazista era finita grazie al mio impegno. Venni accolta da ogni componente, il quale mi faceva i complimenti per la mia impresa impossibile. Bastava solo crederci abbastanza per poterla rendere possibile. Quando arrivò il momento dei ragazzi, fui accolta da un uragano di emozioni e pazzi i quali mi caddero addosso, finendo così a terra con tutti loro sul mio corpo. Scoppiammo in una fragorosa risata, mentre loro si toglievano da me e mi guardavano con un volto riconoscente. Non era stato solo merito mio, ma fu anche grazie a loro che riuscimmo a risolvere un caso aperto quattro anni fa. I ragazzi mi aiutarono a rialzarmi, sorridendo ampiamente e mi riabbracciarono, con calma, stringendomi tra le loro braccia.
<<Il nostro capo clan>> mormorarono Zayn e Louis, baciandomi le guance, nel contempo che le ragazze mi avvolgevano la schiena e il petto. Aprii le braccia, così da stringere i quattro, sorridendo e lasciando che le lacrime mi rigassero il viso per la gioia di quel momento.
<<La nostra leonessa>> sussurrano Chanel e Madison, accarezzandomi i capelli e sorridendo così vivacemente che il petto si strinse alle ossa per tutte quelle emozioni. Dopo tutte le avventure, i pianti, i dolori, i sorrisi, le felicità, gli ostacoli, gli amori infranti e le gioie raccolte, trovai una famiglia la quale mi accolse per ciò che ero, diventai, e tornai ad essere.
Accolsero una ragazza fragile, innamorata dell'amore e dei colori più sgargianti dell'arcobaleno. Ripresero una ragazza col cuore spezzato, con l'anima persa, e la quale aveva una strana concezione della felicità. Felicità la quale si trovava nelle sbronze notturne, nelle notti insonni, nelle scappatelle, e nel nero, portatore di tranquillità. Tennero una ragazza la quale cambiò. Cambiò grazie all'amore, quel sentimento che disprezzava, odiava, il quale riteneva insignificante, inutile, non essenziale. Si fidarono di una ragazza che, nonostante la sua freddezza, il suo orgoglio e i suoi modi rudi di fare, riuscì a trovare se stessa nello stesso luogo in cui si perse. Riuscì a trovare l'amore, riuscì a capire cosa fosse giusto per lei e i suoi amici, riuscì a comprendere il vero significato dell'amore grazie ad un ragazzo che le diede l'impressione di essere tutto, tranne che l'amore della sua vita. E se, non fossi tornata al clan mesi fa, allora non sarei mai tornata me stessa. Se non fossi tornata, non avrei mai avuto la possibilità di vivere una storia d'amore, un'avventura, come quella che stavo vivendo con Harry. Se non fossi tornata al clan, quel giorno, non avrei capito il vero significato dell'amore: rischiare di soffrire per essere felice. Perché era questo l'amore, stare così tanto male per poi accogliere il bene. Ed Harry era il mio bene peggiore.
E, quando lo vidi entrare nel capannone con la stanchezza di chi aveva appena elencato tutti gli elementi chimici, il mio cuore fece venti capriole in avanti, venti indietro, e quattro salti mortali. Guardai Harry vagare con lo sguardo in cerca di qualcosa, di qualcuno. I miei piedi iniziarono a camminare, non so per quale motivo ripresi a piangere, questa volta per la felicità di vederlo, e sorrisi così tanto che iniziai a correre verso di lui. Verso la mia felicità.
<<Harry!>> urlai, e lui si voltò per poi ritrovarsi per terra con me addosso che sorridevo, piangevo, lo stringevo, ritornavo a casa. Lui mi strinse ridacchiando, baciandomi la fronte e guardandomi con occhi lucidi, colmi di gioia nel vedermi. Mi prese il viso tra le guance, baciandomi le labbra e strofinando i pollici sulle gote.
<<Piccola peste>> mormorò, sollevandosi con me tre le sue braccia e guardandomi. Annegai in quello splendore che si ritrovava negli occhi, in quello specchio verde in cui vedevo il mio riflesso.
<<Mi sei mancato tantissimo>> sussurrai, spostandogli i ricci dalla fronte e dandogli un bacio sulle labbra. Le sue mani mi tenevano salda la schiena, si aprirono su si essa e si chiusero diverse volte per accarezzarmi. Le sue labbra mi baciarono con lentezza, aprirono le porte per Harryland e fui così felice di tornare nel mio posto preferito tanto da avvinghiarmi e non staccarmi più.
Una sua mano scivolò via da me, procurandomi dei brividi sulla pelle scoperta e mugolai, una volta che le sue labbra presero a succhiarmi il labbro inferiore e l'altra mano si appropriava di una natica per stringerla, coinvolgendomi completamente, rendendomi succube del mio posto preferito.
<<Piccola....perdonami>> sussurrò, per poi staccarsi con il corpo dal mio. Non feci in tempo a capire cosa stesse succedendo, che mi arrivò dritta in faccia della panna montata lasciandomi spiazzata. Si susseguì una nevicata di schiuma da barba e una manciata di coriandoli dorati, impregnandosi su di me e la montagna bianca che avevo addosso. Portai le mani sul viso, togliendo l'intruglio spumoso, così che potessi fissare i tre ragazzi di fronte a me.
<<Ti amo>> mi disse Harry, sorridendo divertito mentre indietreggiava per poter correre via da me.
<<Amico, scappa>> Louis corse via a gambe levate, seguendo Harry fuori dal capannone.
<<ZAYN!>> urlai, inseguendo il diretto interessato assieme ai due bambini. Lo strano miscuglio che avevo addosso, iniziò ad assorbirsi su di me, rendendo la mia pelle rigida, infastidita dal prurito che mi provocò la schiuma da barba. Sentii i capelli inumidirsi, assieme al tessuto del vestito, e sputai un coriandolo d'orato dalla bocca mentre mi fermavo per prender fiato. Harry, Louis e Zayn erano spariti dalla circolazione, ma sentivo le loro risate a metri di distanza. Avrei castrato i due e ucciso Harry con le mie stesse mani, appena avrei avuto l'occasione di avergli tutti e tre. Sospirai sommessamente e cercai di darmi una pulita, cosa impossibile dato che i coriandoli si erano appicciati in punti a me irraggiungibili. Poi, urlai per il getto d'acqua che mi arrivò addosso, notando che Zayn aveva la pompa dell'acqua tra le mani e la oscillava in aria così che piovesse in quel venerdì di un maggio focoso. Stavo per andare a prenderlo e soffocare con la pompa, quando due mani si strinsero sui miei fianchi e mi tirarono ad un corpo a me troppo famigliare e, nonostante fossi incazzata, mi accoccolai a quelle braccia mentre Zayn bagnava il resto del clan da poco uscito dal capannone.
<<Sei un figlio di puttana, con tutto rispetto verso Anne>> ammonii Harry, dandogli un pugno sul petto, il quale lo fece ridere. Mi prese in braccio, per poi baciarmi sorridente. Inutile, non riuscivo ad essere arrabbiata con lui per più di cinque minuti.
<<Questo figlio di puttana è pazzo della sua stella>> sussurrò, accarezzandomi i capelli bagnati e sorridendo ancora mentre mi metteva con i piedi per terra. Portai le braccia attorno al suo collo, sollevandomi sulle punte così che potessi strofinare il naso contro il suo.
<<Non c'è luna che non abbia la propria stella>> mormorai, strofinando il pollice sulla sua guancia e sfiorandogli le labbra con le mie.
<<Ti amo, piccolo universo incasinato>> Harryland non era mai stata così bella.

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