44. Me, myself & I

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Tre giorni dopo, mi dimisero dall'ospedale. Non saprei se ritenermi fortunata o meno, il ritorno alla normalità -per così dire- mi spaventava. Se il piano non avesse raggiunto il mio obbiettivo, assieme a quello dei ragazzi, avrei passato il resto della vita a correre in un passato infinito. Ero stanca dei clan che si basavano sui libri, dei nazisti irlandesi i quali volevano vendetta, di morti innocenti, di bionde eccentriche e continue litigate. Volevo una vita normale, calma e tranquilla. Volevo passare il resto dei mesi con i miei amici, con il ragazzo che mi piace e del quale ero innamorata. Volevo ricominciare da capo, con Harry al mio fianco e i miei amici nel tempo libero. Tra pochi mesi ci sarebbero stati gli esami per il diploma, l'ultimo anno doveva concludersi nel migliore dei modi. Il diploma...ne ho fatta di strada. Una strada piena di ostacoli, vie distorte, amori negati e amori carnali, una notte e via, alcolici e sbronze da far paura. Pagherei per tornare indietro e prendere una strada diversa da quella percorsa, ma più ci penso più mi dico che andava bene così. Gli sbagli ti fanno crescere, formano il carattere, cambiano il proprio modo di vedere e pensare le cose. E io sono cambiata. In peggio o meglio non lo so, ma se prima vedevo tutto colorato ora vedo bianco o nero. La felicità è per pochi, come l'amore e l'amicizia. 
Che fossi una buona amica? Non lo so, forse sono troppo diretta quando espongo un mio parere, ma preferisco essere sincera che costruire troppi giri di parole per arrivare al dunque. O mentire, quello non lo sopporterei. Non è da me. Se delle volte l'ho fatto, è stato per il bene delle persone. Anche se, il più delle volte, si finiva per litigare e c'era il rischio di perdere qualcuno. Come quando non dissi ad Harry che io e Luke c'eravamo baciati, o che avevamo passato le vacanze di Natale assieme. Nel secondo caso, era colpa sua.
Che fossi una brava fidanzata? Lo chiedevo spesso ad Harry, lui mi guardava accigliato e confuso. Delle volte mi rispondeva di sì, altre che pensava che lo fossi, altre ancora di esserlo solo se gli concedevo un triangolo con la mia Allyson. Mia, esatto. 
Da una parte, che lei mi mancasse era normale; dall'altra, mi dicevo che era meglio così per entrambe, non avrebbe funzionato per un motivo soltanto: i suoi genitori erano di vecchio stampo e non gradivano certe modernità. Una di queste era l'avere una figlia lesbica, la seconda era la prenotazione online all'ufficio postale. Lo ritenevano immorale, anticonvenzionale e portatore di discussione con gli anziani. Su quest'ultimo punto, non li davo torto. Una volta dovetti spiegare ad un vecchietto come funzionasse l'app, scaricarla sul suo smartphone e rispiegargli la procedura. Al mio turno, mi urlò contro che non potevo saltare la fila senza prendere il biglietto. Il poveretto soffriva di Alzheimer. 
<<Kendall, tutto bene?>> mia sorella più piccola mi riportò nel mondo reale. Scossi la testa e portai lo sguardo su di lei, il suo sorriso era vago e preoccupato. Sarà stato un trauma per lei avermi lontana per tre settimane e non potermi parlare, non chiedermi di giocare con lei o di dormire nello stesso letto. 
<<Sì, ero in sovrappensiero>> mi chinai e la presi in braccio, per poi andare verso l'entrata di casa. Mia madre avrebbe dato di matto appena mi avrebbe vista. Sapeva che sarei tornata oggi, ma non quando. Continuavo a immaginarmi la scena di lei che mi urlava contro di essere un'ingrata e un'irresponsabile. La colpa non era mia, non quella volta né le altre. 
<<Mi sei mancata. Harry mi diceva che eri nel mondo delle principesse a lottare con i draghi>> la fervida immaginazione del mio ragazzo mi fece sorridere, l'innocenza di Leila mi scaldò il cuore. I bambini credevano a tutto ciò che dicevi, da una parte ne ero grata. Dall'altra, ero contraria. 
<<E cos'altro ti ha detto Harry?>> le domando, chiudendo la porta dietro di noi e raggiungendo la cucina con mia sorella in braccio. Aveva tagliato i capelli, due ciuffi che le incorniciavano il viso e la rendevano curiosa. Somigliava a Vanellope Von Schweetz di Ralph Spaccatutto, solo che aveva i capelli castani e non era un personaggio di un cartone.
<<Che hai incontrato un drago cattivo che ti ha fatto perdere i sensi per tutto questo tempo e saresti tornata nel mondo magico a difendere tutti noi!>> poggiai Leila sul bancone della cucina e la guardai, sorridendo leggermente e annuendo allo stesso modo. Harry, che fervida immaginazione che hai in quella testa, dissi tra me e me. Leila doveva sapere, in parte, quello che l'aspettava un giorno di questi una volta raggiunta l'adolescenza.
<<Noi grandi abbiamo dei problemi da affrontare, a volte ci capita di incontrare persone cattive che ci fanno del male>> presi posto ad uno sgabello, tra le gambette di Leila, e la guardai accarezzandole le caviglie. Indossava uno dei suoi vestiti colorati, la gonna si apriva a ruota e le maniche a lanterna cadevano morbide sulle braccia. Mia sorella mi guardò, gli occhioni da cerbiatto luccicavano e le labbra erano piegate in un broncio. Cercava di capire che cosa le avessi detto, cosa intendevo, a modo suo. Prese a giocare con un peluche a forma di alieno, era divertente. Un simpatico mostriciattolo verde con la lingua di fuori.
<<Chi te l'ha regalato?>> Le domando, spostando l'argomento sul suo nuovo giocattolo. Lei sorrise, alzò le spalle e lo strinse al petto sollevando la testa e ritraendo il pupazzo verso dietro.
<<Non te lo dico!>> Rispose, facendomi la linguaccia e saltando via dal bancone incominciando a correre.
<<Torna qui, Leila!>> Iniziai a seguirla per tutto il salotto, intorno al divano e alle poltrone. Percorremo la cucina, l'isola, il tavolo da pranzo e il corridoio fino l'entrata.
<<Non hai potere sul mio pianeta! La tua forza non è niente in confronto alla mia!>> Urlò, salendo le scale per il piano di sopra mentre la seguivo facendo a due a due gli scalini. Il dottore mi aveva detto di riposare, non di inseguire una bambina di sei anni per casa giocando ai marziani.
<<Leila! Vieni qui, o giuro che->> non ebbi il tempo di finire e di raggiungere il piano superiore, che mi arrivò una pallina di spugna contro. Che cavolo...sollevai lo sguardo e, accanto a Leila, Joe aveva una sparapalle tra le mani e un sorriso innocente sulla faccia. Due contro uno? È scorretto!
<<Fai un altro passo, e assaggerai la furia di Kiki!>> Joe sembrava allegra, fin troppo da chiamare la sua arma con un nome da gatto.
<<Voi siete armate, e in due! Non vale così>> loro si guardarono, impugnarono le loro sparapalle e me le puntarono addosso. Stavo per ribattere o, almeno, provare a farle ragionare sul risparmiarmi, quando qualcuno mi afferrò per il polso e mi tirò dentro una camera chiudendo subito la porta chiave. Per poco non urlai, ma mi calmai subito ritrovandomi Liam di fronte. Era ammattito anche lui e mi aveva presa in ostaggio?
<<Ero nel bel mezzo di una negoziazione>> lui ridacchiò e mi passò il suo scudo di Captain America e la sua spada laser giocattolo della fiera del fumetto. Era tutto calcolato o era una mia immaginazione? Forse ero ancora nel mio sonno profondo e fino ad ora avevo solo immaginato tutto.
<<Ti ricordi quando eravamo da nonna Rose, quelle due ci inseguivano, con mestoli e padelle in mano, e noi eravamo disarmati?>> Mi domanda, infilandosi l'elmetto del costume di Thor e prendendo una terza pistola. Ricordo perfettamente quel giorno, ho una cicatrice la quale me lo rammenta.
<<Andammo in ospedale, tu avevi una slogatura al polso e io il ginocchio sbucciato>> lo guardai, impugnando meglio scudo e spada aspettando una sua risposta.
<<Io sto per sposarmi, tu per diplomarti e mamma è al quinto figlio. Se vogliamo mantenere un orgoglio, o una dignità, dobbiamo prendere posizione>> Liam mi guardò, sorridendo leggermente e portando la mano libera sulla maniglia della porta.
<<Chiamate aiuto?>> Gli chiedo, ricordando la prima volta che lo avevamo messo in atto dopo aver visto Thor: Ragnarok al cinema. Uno spasso, mia madre è ancora convinta che Liam stesse morendo per davvero.
<<Speravo me lo chiedessi>> rispose, per poi aprire la porta e tirare la testa fuori guardando se ci fossero le nostre due sorelle. L'ora successiva, la passammo a rincorrerci tutti e quattro per casa, saltando sul divano, correndo in cucina e sulle scale, finendo in giardino e sparandoci contro palline di spugna e urlando cose insensate. Per Leila eravamo nello spazio, per Joe su una nave pirata, per Liam sul set di uno dei film Marvel. Io ero a casa, con le mie sorelle e mio fratello, a godermi uno di quei momenti spensierati della giornata. Il rientro più bello che qualcuno possa desiderare.

Finita la battaglia, e il bagno caldo rilassante, presi il cellulare e cercai il numero della psicologa. Avevo bisogno di in appuntamento con lei, sfogarmi un po' e liberare la testa dai mille pensieri. Aspettai che Mary Miller mi rispondesse, vagando per la stanza in accapatoio e i capelli bagnati che si appiccicavano sulla schiena.
<<Posso dire che sei uno spettacolo in accapatoio?>> Per poco non mi venne un infarto. Da quanto era lì? E da quanto mi stava fissando?
<<Esiste la porta>> gli risposi, poggiandomi con la schiena al muro e sospirando. Da quel momento sola con Niall, provavo angoscia verso i confronti dei miei amici o, delle volte, di Harry. Quando Joe e Leila mi saltarono addosso, invece, era tutto diverso. Era un momento felice, di divertimento e la cosa non mi dava fastidio. Anzi, mi piaceva e confortava.
<<Nessuno apriva e ho pensato al piano B>> alzò le spalle e si avvicinò, tenendosi a debita distanza.
<<Luke, dovrei vestirmi o rischio di prendermi un accidente>> mormorai, tirando su il cappuccio e stringendomi nella spugna dell'accappatoio. La finestra aperta aveva raffreddato la stanza e l'aria mi stava letteralmente congelando. Ero nuda, e quello di fronte a me non era il mio ragazzo. Direi che meglio di così, non potrebbe andare.
<<Scusami, ma volevo sapere se stessi be- ti squilla il cellulare>> mi fece notare, indicando la mia mano. Scossi il capo e risposi alla chiamata allontanandomi da Luke. Lui andò a chiudere la finestra.
<<Spero di non averla disturbata>> rispondo, saltando i convenevoli sedendomi sulla scrivania dondolando le gambe. Ho gli occhi di Luke addosso, mi affiancò e poggiò le mani sul bordo della scrivania guardandomi dall'alto. Cazzo, porca puttana, mi verrebbe da dire.
<<Niente affatto, ho letto il tuo messaggio e un sospiro di sollievo è uscito dalle mie labbra. Ero in pensiero per te>> queste ultime parole mi fecero arrossire, avvampare da per tutto e attorcigliare delle ciocche di capelli bagnati tra le dita. Luke ridacchiò, lo guardai male e gli pizzicai il fianco.
<<È gentile da parte sua...>> Perché sembravo una scolaretta al primo appuntamento? E, perché Luke faceva lo stupido con delle mosse da poppante? I maschi, tutti uguali.
<<Se vuoi, tra mezz'ora ho un'ora libera e possiamo parlarne con calma nel mio studio>> ipotizzò, e non mi dilungai pensando alla risposta. Le dissi che sarei stata da lei tra mezz'ora, mi salutò e chiuse la chiamata. Ebbi un morso allo stomaco, mi sembrò di essere con Harry al nostro primo appuntamento. Lui così gentile con me, come ogni volta d'altronde, e io persa nei suoi smeraldi vivaci. Ma si trattava di una donna, con bambino piccolo e con chissà quale storia dietro. Forse era solo la mia seconda personalità ad essere così presa.
<<Ti piace la psicologa>> Luke parlò per i miei pensieri, mentre io ero intenta a vestirmi dietro il separé.
<<Sa fare il suo lavoro e non si intrufola in casa delle persone da una finestra>> gli risposi, infilando un maglione nero e un paio di jeans del medesimo colore. Fuori faceva freddo.
<<Sei arrossita quando ti ha detto che era in pensiero per te>> continuò a dire, nel contempo che infilavo gli anfibi e andavo in bagno. Dopo poco me lo ritrovai dietro, che mi seguiva, aspettava una mia risposta di contraccolpo. Certo, perché non me lo aspettavo.
<<Mi ha colto di sorpresa>> risposi, prendendo l'asciugacapelli e attaccando la spina. Luke prese la sedia, la mise di fronte a lui e la indicò guardandomi dallo specchio. Almeno si rendeva utile, oltre a farsi film.
<<Certo, io sono gay e ho una cotta per Adam Levine dei Maroon5>> disse sarcastico, guardandomi dallo specchio e sollevando le sopracciglia.
<<Jason Momoa, è più il tuo tipo> risposi a tono, sorridendo con innocenza mentre lui mi guardava con due fessure negli occhi.
<<Io ti facevo tipa da belle e dannate, non da paladine della mente>> mi canzonò, imitando la mia voce e accendendo l'asciugacapelli ridacchiando sotto i baffi. Portai una mano verso dietro e lo pizzicai sulla coscia. Fece una smorfia infastidita e cacciò la lingua. Luke, lui sapeva come farmi ridere.
<<Per tua informazione, i belli e dannati sono gli uomini. Le donne, le amo dolci e che sanno ascoltare>> alzai la voce, sovrastando il rumore del phone. Luke mi guardò, sorridendo malizioso e scosse leggermente la testa continuando ad asciugarmi i capelli. Erano cresciuti dall'ultima volta che li tagliai.
<<E io, Kendall? In che categoria sono? Belli e dannati che sanno ascoltare?>> domandò, sollevando un sopracciglio e mantenendo la malizia precedente. Sorrisi, ricordando il titolo di un libro di Kirsty Moseley.
<<Il ragazzo che entrò dalla finestra e si infilò nel mio letto>>.

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