54. Dangerous Woman

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La solita sveglia rompipalle alle sette del mattino. La solita routine post dormita. I soliti vestiti neri, le solite cuffiette, la solita musica sparata a mille nelle orecchie. Le solite e noiose scale, i soliti complessi mentali della mia famiglia, il solito tragitto per scuola. La solita sigaretta che dava inizio ad un altro giorno. Cos'è che cambiava? Non fare tutto questo con Harry. Quattro giorni senza di lui, senza i nostri rituali, senza le nostre fughe notturne, senza i nostri abbracci mattutini. Niente era come prima.
Il solito marciapiede, le solite macchine che correvano per la strada, le moto dei ragazzi che tuonavano nel viale, le solite case bianche, noiose come il resto. Era tutto uguale, nessuna virgola fuori posto, nessuno tranne la mia vita.
Gli anfibi battevano sul cemento, calpestavano i ciuffi d'erba che fuoriuscivano dai quadratini del marciapiede, li abbattevano. Sono sempre stata una ragazza che osservava i dettagli nei loro minimi particolari, lo facevo quando ero sola. Harry non era con me e non potevo osservare lui. Delle volte mi perdevo nei miei stessi pensieri per poterlo osservare, amavo tutto di lui. Ciò che mi piaceva di più, dopo i suoi dannati occhi enigmatici e cangianti, era il suo naso. Sembrerà strano agli occhi degli altri, ma amavo quella patata. Si arricciava ogni qual volta che Harry parlava, o sorrideva, o muoveva le labbra. Delle piccole grinze si formavano sul viso, le guance si sollevavano e il suo naso si raggrinziva tutto. Era tenero e divertente contemporaneamente.
Harry mi prendeva in giro, ogni qual volta che mi rinchiudevo nel mio mondo. Diceva sempre che ero dipendente da lui, da quello che faceva, e io gli davo ragione. Ormai era diventato una parte di me e, non averlo qui al mio fianco, mi procurava un dolore atroce. Ero abituata a fare tutto con lui, eravamo diventati una sola persona. Dormivamo assieme, facevamo la doccia assieme, andavamo a scuola assieme, studiavamo assieme e pranzavamo assieme. Avevamo il nostro gruppo di amici, la nostra routine -delle volte movimentata- e stavamo crescendo assieme. Senza di lui mi sentivo sola, con un vuoto nel petto, senza nessuno accanto nessuno su cui contare. Oltre ad essere il mio ragazzo, Harry, era il mio migliore amico, il mio consigliere, un fratello presente. C'era sempre nel momento del bisogno, quando stavo male, quando qualcosa non andava, lui c'era. Era onnipresente. E lo stesso ero io per lui. Entrambi l'àncora dell'altro, il nodo che ci teneva stretti, il pericolo dell'altro. E in quel momento? In quel momento il pericolo era un altro, la paura di non riaverlo entro la fine della settimana mi uccideva. La paura mi trascinava giù negli inferi, mi avvolgeva e assorbiva tutte le mie energie. Per sopravvivere mi aggrappavo ai ricordi, a quelli importanti. Ma i ricordi erano solo delle sfumature della vita, era con l'esperienza che andavi avanti. Ma, come potevo, ad andare avanti se la mia esperienza non era al mio fianco? Come potevo pensare ad altro, se lui era in un altro mondo mentre io affrontavo il nostro più grande problema? Era impossibile.


Ci pensai a lungo durante le lezioni, ignorando per tutto il tempo i miei amici. Zayn e Louis cercavano di parlarmi, di tirarmi su il morale raccontando le barzellette peggiori della storia. La mia mente dove finiva? Alle battute pessime di Harry. Una volta ruppi il suo ego, fu divertente.
<<Vuoi sentire una battuta?>> mi chiese, nel mentre ero concentrata a schematizzare la seconda guerra mondiale per il compito di storia. Nazisti, nazisti ovunque.
<<Ho altra scelta?>> domandai, guardandolo e le sue labbra si piegarono in un sorriso innocente. Amavo quelle labbra.
<<Toc toc>> iniziava sempre così, per poi concludere con una cavolata.
<<È aperto>> risposi, e lui non mi parlò per due ore. Avevo infranto il suo ego.
Allyson provava a distrarmi mostrandomi i nuovi modelli di moto. Dove andava la mia mente? Al giorno in cui Harry e io andammo ad una mostra di veicoli vecchio stampo. Allora provava a parlarmi di calcio. Quando lo fece corsi in bagno e mi chiusi in una cabina, rimanendoci per mezz'ora. La mia mente tornava a quel maledetto giorno, allo sparo secco, al sangue sulle mie mani e sul vestito. Al ronzio delle sirene dell'ambulanza in lontananza, al terreno che crollava, alle lacrime sulle guance. Tornavo al mio incubo peggiore, niente poteva ferirmi. Niente, tranne quel giorno.

Finite le lezioni andai nel cortile della scuola, presi l'adorata numero tre e la accesi, per poi sbuffare via il fumo. I miei pensieri vennero interrotti dal telefono che vibrava nella tasca posteriore dei jeans. Vibrava da questa mattina, ma lo ignorai completamente e lo buttai nell'armadietto fino alla fine delle lezioni. Il cellulare era il mio ultimo pensiero.
<<Mi faccia indovinare, non ha trovato a chi appartiene il capello che le ho dato>> era James. Ormai ero abituata alle sue chiamate, mi teneva informata su tutto quello che riusciva a scoprire durante le indagini. Non era professionale, ma lui aveva visto la mia disperazione riguardo la situazione e mi aveva dato la possibilità di partecipare alle indagini, di dare una mano. Non per nulla quella sera sarebbe venuto al Cosmo per controllare la situazione. Ringraziai il cielo sapendo che non avrei ballato nel locale degli Snakes.
<<Stai diventando migliore di me nello scoprire le cose>> rispose lui. Sorrisi leggermente, staccandomi dal muretto e iniziando a camminare verso i ragazzi. Come me, loro dovevano sapere.
<<Cosa non ha scoperto, detective?>> gli domandai, riprendendo a fumare la numero tre e a camminare verso i ragazzi. Erano intenti a parlottare tra di loro, a ridere e scherzare. Mi mancava la normalità, mi mancava Harry.
<<Non ho scoperto che il campione di capelli che mi hai dato appartiene ad una parrucca, una parrucca molto costosa. Come non ho scoperto che si tratta di una donna, e non di un uomo>> la notizia mi sconvolse, allo stesso tempo ridussi il campo dei possibili sospettati.
<<Taylor o Nora, non potrebbero essere che loro>> mi fermai a debita distanza dei ragazzi, sbuffai l'ultimo tiro della sigaretta e la buttai nel cestino dopo averla spenta contro il metallo di quest'ultimo.
<<Non diamo per scontato che centrino solo loro nella questione, potrebbe essere una ragazza del tuo clan o, persino, una tua amica>> sospirai, James non aveva torto. Nessuno doveva essere escluso in questa faccenda. Poggiai la schiena al muro e mi guardai attorno, il cortile era pieno di studenti. I miei amici occupavano il solito tavolo da pic-nic, quello dei popolari. Non amavo definirmi popolare. Ero più una comune mortale con mille problemi.
<<Ha qualche altra notizia da darmi?>> domandai al mio amico poliziotto. Un rumore in lontananza mi distrasse. Continuai a guardarmi intorno mentre ascoltavo James raccontarmi della sua capatina all'appartamento della nostra sociopatica. Mi spiegò che il portiere aveva cantato come un uccellino, informandolo che la numero 34b, la sospettata dell'appartamento, aveva lasciato il palazzo subito dopo che io e i ragazzi lasciammo il condominio.
<<Dovevo aspettare fuori il palazzo>> commentai, vagando con lo sguardo sul cortile cercando di capire da dove provenisse il rumore. Un fascio di luce mi colpì gli occhi, facendomi distogliere lo sguardo. Maledetto sole di mar- un attimo, c'erano solo nuvole e non un sole cocente. Cazzo, porca puttana.
<<James, credo che la nostra sociopatica si trova qui>> sussurrai, affrettando il passo verso i ragazzi e guardando a destra e manca. Una Suzuki nera era parcheggiata fuori il cancello d'entrata, il proprietario era assente. Conoscevo i mezzi di trasporto dei miei amici e dei ragazzi della scuola a memoria, quella moto non apparteneva a nessuno degli studenti. Cazzo, porca puttana.
<<Non fargli capire che la tieni sott'occhio. Descrivimi ciò che vedi>> raggiunsi i ragazzi e tolsi lo zaino dalle spalle per poi sedermi sul tavolo. Feci ai miei amici un cenno, così che potessero continuare a parlare con la stessa tranquillità.
<<Una Suzuki GSX mille, nera, è parcheggiata di fronte al cancello. Niente targa, niente proprietario>> cercai di tenere lo sguardo più vago possibile, ma i miei occhi fissavano la moto come se fosse una preda. Il rumore di alcuni scatti ebbe la mia attenzione, assieme ad un secondo fascio di luce puntato negli occhi. Fanculo la discrezione, quella figlia di puttana me l'avrebbe pagata.
<<Un metro e sessanta, abiti neri, in pelle, indossa una parrucca e occhiali da so- JAMES, TI CHIAMO DOPO!>> urlai, scendendo di corsa dal tavolo e afferrando le chiavi di Zayn sopra il tavolo e correndo verso la sua Yamaha. La sociopatica aveva incrociato il mio sguardo, scattò l'ultima foto e corse verso la sua Suzuki. Col cavolo che me la facevo scappare!
Saltai sulla moto di Zayn, eseguii una manovra a U e sfrecciai verso l'uscita del cancello, lasciando i miei amici di sasso.
<<Kendall! NON GRAFFIARMI LA MOTO O TI AMMAZZO!>> urlò il pakistano, ma poco importava. Dovevo scoprire chi diamine fosse la bastarda.

Intravidi la Suzuki, era a dieci metri da me e correva sull'asfalto con semplicità. Accelerai, sorpassai le macchine le quali mi suonarono dietro e, dopo aver ricevuto insulti da una vecchietta alla quale tagliai la strada, raggiunsi la ragazza sulla moto. Esclusi Taylor e Nora, loro non sapevano portare una moto. Mi domandai chi fosse, forse una nuova recluta dei nazisti? Tutto era possibile in quel clan di psicopatici.
La ragazza svoltò a destra, con il rosso. Fui fortunata nel seguirla, una volta che il semaforo verde scattò, Zayn mi avrebbe uccisa se fosse capitato qualcosa alla sua amata moto. Avevo la stalker sotto tiro, era veloce e abile, ma io lo ero di più. Ricordo ancora quando Niall mi costringeva a gareggiare contro di lui.<<È un modo per ampliare le tue capacità>> si giustificava così. Finivamo per sfidarci per davvero, e alla fine gli davo ragione. Grazie, Niall, per aver fatto qualcosa di buono in tre anni di relazione. La strada era piena di dossi, i capelli stavano volando nella parte opposta, e la polvere mi finiva negli occhi. La ragazza continuava a correr veloce, a fare slalom su slalom tra le macchine. La copiavo nei movimenti, acceleravo sempre di più, rischiavo di investire qualche gatto nel mentre e, finalmente, raggiunsi la psicopatica. Ero al suo fianco, a pochi metri, guardavo lei e la strada. Il cuore mi stava scoppiando, pulsava a mille, duemila, e così via. Le mani iniziarono a sudarmi, a bruciare sulla pelle del manubrio e il culo si stava appiattendo. La schiena piegata iniziò a imprecare, io assieme a lei. Stavo inseguendo la ragazza da circa quindici minuti, e questa non voleva saperne di fermarsi.
<<Prima o poi dovrai fermarti!>> le urlai, tenendo duro. Lei mi guardò, aveva perso gli occhiali da sole durante l'inseguimento. I suoi occhi azzurri avevano un non so ché di familiare, anche il taglio delle sopracciglia e il colore della pelle. Del resto non vidi nulla, era coperta da abiti neri in pelle, il casco le copriva la testa.
<<Ci vediamo all'inferno, Jackson!>> urlò, allungando una gamba verso di me e spingendomi via da lei. Svoltò a sinistra, svanì nel traffico. Fui abbastanza svelta da afferrare il manubrio, piegarmi verso terra con il peso della moto, a millimetri dalla strada e da morte certa, e passare sotto un camion merci. Il camionista mi urlò contro qualcosa. Mi sollevai con la moto e frenai di colpo ad un semaforo rosso. Il cuore mi arrivò in gola, sentii il terreno svanire e gli organi disintegrarsi. Avevo appena seguito una pazza in moto e rischiato di morire sotto un camion. Una signora anziana mi guardò spaventata, mi chiese se stessi bene. Aveva assistito alla scena.

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