capitolo 66

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A svegliarmi è la sveglia che spengo immediatamente per Zed. Mi vesto in fretta, e

poi lentamente sveglio Zed.

"Piccolino forza" lo prendo in braccio portandolo in cucina, e lui tiene Matisse stretta

come un pupazzo. Scaldo il latte a temperatura tiepida, e lo infilo nel biberon. Mentre

mi vesto lui lo tiene in mano bevendolo. Lo pettino lentamente, valorizzando i suoi

splendidi capelli mori. Lo prendo in braccio insieme e Matisse ed esco. Per fortuna

Sasha ha avuto la decenza di lascrimi il seggiolino per la macchina. Lo monto e poi lo

posizioni dietro, con in braccio quella povera gatta. Arrivo sotto casa di Dylan e mi

attacco al citofono. Dopo un po' scende in mutande

"Stai calma" sbuffa.

"Ehi piccolino ti vengo a prendere tra un po' e andiamo a comprare tutto quello che

vuoi, stai attento a Matisse"

"Ciao mamma" si attacca al mio collo, io lo lascio nelle mani di Dylan.

"Mamma?" Alza un sopracciglio

"Ti mando un messaggio per spiegarti va bene sono in ritardo" mi fa cenno con la

mano per salutarmi e poi io sfreccio verso lo studio. Mentre sto in ascensore scrivo il

messaggio è lo invio a Dylan. Katy mi sta aspettando impaziente nella sala d'attesa

"Scusa il ritardo, Zed non voleva alzarsi"

"Chi è Zed?"

"Ti spiego in viaggio andiamo?" In macchina le racconto tutta la mia strana storia, le

non sa se ridere delle mia condizione disperata o essere triste per quel bambino.

"Ehi dove stiamo?" Chiede mentre aspettiamo che ci aprono il cancello, non rispondo.

Un poliziotto ci fa mostrare i documenti, e dopo apre la sbarra.

"Ben venute nel carcere di Boston" ci sorride. Katy si gira di scatto verso di me.

"Perché siamo qui?"

"Perché devi perdonare una persona"

"Fammi scendere" dice calma

"Tra di voi ci sarà un vetro"

"Ho detto fammi scendere" urla. Io continuo indifferente e parcheggio la macchina

"Non vengo lì con te" sbraita

"Mi hai chiesto di salvarti lo sto facendo, o a modo mio o niente" mi fulmina ma poi ci

rinuncia seguendomi. All'entrata ci chiedono chi dobbiamo vedere.

"Patrik Geffris" digita il nome sul computer.

"La terza cabina prego, le vostre conversazioni sono registrate e avete massimo

mezz'ora" ci indica l'ingresso. Ci sono tante cabine trasparenti con dei telefoni

attaccati e due sgabelli per cabina, a dividerti dal crimine c'è un parete in vetro. Ci

sediamo nella cabina con scritto tre accanto. Poco dopo davanti a noi si siede un

uomo, sporco e spettinato, grosso fisicamente tra muscoli e grasso e molto alto. I

piccoli occhi neri sono circondati da alcune rughe, suppongo che le altre siano coperte

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